Diritto

«Casalinghe lese dal divorzio»

Una recente sentenza del Tribunale federale conferma la nuova via del diritto di famiglia: chi si separa non ha più automaticamente diritto a un sostegno economico dall’ex

Le casalinghe: figure in via di estinzione. Se dopo una separazione o un divorzio, il genitore che si occupa della cura dei figli era in grado di mantenere a lungo il tenore di vita abituale grazie al sostegno finanziario dell'ex coniuge, oggi questo è sempre meno possibile. In una recente sentenza, il Tribunale federale applica la giurisprudenza degli ultimi anni, confermando il nuovo indirizzo del diritto di famiglia in senso paritario. La questione ha fatto riemergere anche il dibattito sulla suddivisione dei ruoli nelle famiglie.

Nel caso specifico, una donna chiedeva che l’ex marito le versasse più di 10.000 franchi al mese di alimenti e 4.800 franchi di spese d’alloggio. E questo fino a quando la figlia in comune avesse finito le superiori nel 2027. L'uomo, convinto che l’ex moglie, ben istruita, dovesse provvedere per sé stessa, ha presentato un ricorso al Tribunale federale contro la sentenza di divorzio del Tribunale d’appello di Zurigo. L’Alta Corte, il 25 marzo, si è pronunciata a suo favore. Fra la nascita della figlia e la separazione, la donna ha abbandonato solo per poco tempo il mercato del lavoro. La dipendenza economica dall’ex coniuge era insomma reversibile. Dopo la separazione, la donna, secondo le sue stesse dichiarazioni, ha deciso di non tentare nemmeno di tornare al lavoro e di dedicarsi interamente alla cura dei figli.

«Diritti sì, ma anche doveri»

Per i giudici di Losanna, «la sola esistenza di figli comuni» non è più sufficiente perché il genitore affidatario - di solito la madre - abbia diritto al mantenimento. La decisione è un segnale forte, hanno scritto le testate Tamedia, perché fino a poco tempo fa, come affermato anche dal Tribunale federale, una richiesta di mantenimento, con la presenza di figli in comune, era regolarmente soddisfatta. La nuova giurisprudenza, si potrebbe dedurre, influenza anche le coppie nell'organizzazione della loro convivenza. Le donne, in particolare, sono sottoposte a una crescente pressione per intraprendere un lavoro retribuito, in modo tale da essere in grado di provvedere al proprio sostentamento in caso di separazione. «Non è la giurisprudenza a influenzare i modelli familiari, ma è la nostra società a farlo, rivendicando il diritto alle pari opportunità. Il Tribunale federale ne prende atto nell'applicare il Codice civile nelle sue recenti sentenze», afferma Pietro Vanetti, presidente dell'AGNA, l’Associazione genitori non affidatari. «La nostra società rivendica sempre più diritti, ma dimentica volentieri che i diritti includono anche doveri». È fondamentale - conclude Vanetti - che entrambi i genitori riflettano bene sulle loro scelte familiari e sulle possibili conseguenze.

«La parità non è un buffet»

«La parità non è un buffet da cui si può scegliere solo il meglio. Le donne devono essere responsabili del proprio sostentamento. Ed è giusto così; per la Svizzera e per delle buone relazioni», cita un commento alla sentenza uscito sulla SonntagsZeitung.

In casa intanto, dati alla mano, sono sempre ancora le donne a svolgere la maggior parte delle mansioni. Secondo l’Ufficio federale di statistica in Svizzera, le donne compiono il 50% di lavori domestici e familiari in più degli uomini (dati del 2020). Questi, dal canto loro, li svolgono sempre più spesso.

L’esperta di studi di genere Franziska Schutzbach su Twitter scrive: «La Svizzera promuove il modello della casalinga attraverso la mancanza di strutture per la cura extra-familiare dei bambini a prezzi accessibili, la mancanza di congedi parentali, la mancanza di una parità salariale, ideologie materne conservatrici, ma poi punisce proprio queste casalinghe. È abbastanza per far venire da piangere».

In una lettera di risposta al commento della SonntagsZeitung, le attiviste della Commissione federale tua madre (EKdM) si dicono indignate: «Le strutture in Svizzera favoriscono il modello del capofamiglia».

Finché non ci sarà un’effettiva uguaglianza tra i sessi e un miglioramento reale della situazione economica di molte donne, il nuovo sistema svantaggerà proprio loro
Marina Carobbio

E il lavoro di cura?

Il mantenimento post-matrimoniale - continua la missiva - esisteva «per ammortizzare i rischi di questo modello di suddivisione dei ruoli (scelto in comune). Con la nuova sentenza, questo rischio è sopportato unicamente dalla persona che ha ridotto l'attività lucrativa a favore del lavoro familiare. Così, il rischio di povertà per le madri è ulteriormente aggravato. Già oggi, una donna su otto con figli in età scolare è dipendente dall'assistenza sociale un anno dopo la separazione. Invece di costringere le madri a svolgere un lavoro più remunerativo, dobbiamo parlare delle condizioni quadro per il loro lavoro pagato. E del valore del lavoro di cura. Stiamo aspettando la prima sentenza di una Corte federale in cui questo sia considerato come un beneficio e i diritti siano calcolati di conseguenza».

Per la «senatrice» Marina Carobbio (PS), «finché non ci sarà un’effettiva uguaglianza tra i sessi e un miglioramento reale della situazione economica di molte donne, il nuovo sistema svantaggerà proprio loro. Alla luce di questa sentenza, la politica e l’economia devono reagire rapidamente: creando le condizioni quadro per permettere l’accesso delle donne al mondo del lavoro a salari adeguati e dignitosi, aumentando le strutture per conciliare famiglia e attitivtà professionale. Nei casi concreti, i tribunali dovranno tener conto della situazione reale e spesso precaria delle donne».

«Incentivo all’egoismo»

Per la consigliera nazionale Therese Schläpfer (UDC/ZH), citata dal Tages-Anzeiger, il matrimonio è un’unione di due persone che funziona grazie al compromesso. Ma la nuova pratica ha l’effetto opposto: «Porta all’egoismo; ognuno va per la sua strada». Schläpfer è anche infastidita dal ruolo ricoperto dai giudici. «Non è compito loro regolare la suddivisione dei ruoli nel matrimonio».

Sempre sul «Tagi» Andri Silberschmidt (PLR/ZH) accoglie favorevolmente l’approccio «progressista» del Tribunale federale. Tuttavia, il consigliere nazionale è dell’opinione che ora tocca anche agli uomini mettere in pausa la loro carriera e permettere alle donne di rientrare nel mondo del lavoro.

Le cose si complicano

«In realtà sono 20 anni che si segue il principio del «clean break», secondo cui ognuno dei coniugi deve mettere a frutto le proprie forze per mantenersi autonomamente», spiega l’avvocata Mara Pedroia Manni. Spesso però si fa riferimento alla produttività economica degli ex coniugi, mentre al lavoro non retribuito non si dà valore: «Se una delle parti è quella che ha sempre fatto la spesa, questo non viene calcolato». Di solito, si trovano soluzioni transitorie per aiutare la parte senza attività remunerata finché è capace di autosostenersi, aggiunge l’esperta in diritto di famiglia. Quest’ultimo è diventato sempre più complesso. Il Tribunale federale stabilisce che ogni caso deve essere considerato individualmente. E le soluzioni pragmatiche extragiudiziali (meno care) sono diventate più difficili da ottenere.