Il punto

Chip contingentati in Svizzera, la ricerca teme delle ripercussioni

La Confederazione avrà un accesso limitato ai superconduttori USA - Un problema per le aziende e il mondo accademico - Giuffreda (CSCS): «Al momento non c’è un piano B»
©Gabriele Putzu
Giona Carcano
27.01.2025 22:00

L’intelligenza artificiale è al centro degli equilibri geopolitici internazionali. Per capirlo, basta dare un’occhiata a come hanno reagito le Borse - in particolare quelle di prodotti tecnologici, come il Nasdaq - alle notizie provenienti dalla Cina. Anche la Svizzera è, suo malgrado, toccata da vicino da questa grande battaglia commerciale. Gli Stati Uniti, infatti, hanno escluso la Confederazione dai Paesi ai quali concedere accesso illimitato ai microchip per l’intelligenza artificiale. La decisione americana è arrivata a metà gennaio per mano di Joe Biden, quando, a pochi giorni dalla fine del suo mandato, ha annunciato un giro di vite in questo settore chiave. La misura, che entrerà in vigore il prossimo anno, tocca direttamente 120 Paesi, molti dei quali europei. E di mezzo, appunto, c’è anche la Svizzera, che compare su una lista secondaria. In pratica, la Casa Bianca imporrà un tetto nazionale sulla quantità di potenza di calcolo esportabile dal territorio americano. Aziende come Nvidia, AMD e Microsoft dovranno quindi attenersi a una rigida regolamentazione. La decisione dell’Amministrazione Biden ha uno scopo dichiarato: ostacolare la crescita tecnologica e arginare l’ascesa tecnologica di Cina, Russia, Iran e Corea del Nord. I quattro Paesi, infatti, subiranno il blocco totale alle importazioni dei potenti superconduttori a stelle e strisce. Nel commentare la decisione, il «ministro» dell’economia Guy Parmelin ha spiegato che al momento «è difficile capire questa categorizzazione». Anche perché, ha ricordato, numerose aziende e centri di ricerca svizzeri utilizzano questi microchip per produrre innovazioni importanti per gli Stati Uniti. Un autogol, insomma. La Confederazione sta dunque discutendo con Washington della possibilità di essere ammessa fra le nazioni «privilegiate», senza restrizioni di approvvigionamento. Stesso discorso per quanto riguarda Bruxelles che sta cercando un modo per mantenere una catena di approvvigionamento transatlantica sicura per quanto riguarda la tecnologia IA e i supercomputer.  

Migliaia di schede grafiche

Uno dei settori più toccati dalla «black list» imposta dagli USA è la ricerca. Prendiamo il Cento svizzero di calcolo scientifico (CSCS) di Lugano: per la costruzione del supercomputer Alps, uno dei più potenti a livello mondiale, sono serviti 10.752 superchip Nvidia Grace Hopper. In futuro, quindi, dovremo rinunciare a simili imprese tecnologiche? «Alps è pienamente operativo», rassicura Maria Grazia Giuffreda, direttrice associata del CSCS. «Le nuove regolamentazioni prevedono un limite annuo di potenza di calcolo: il settore privato e quello pubblico devono rimanere entro quella soglia». Il Centro al momento non è direttamente colpito dalla misura, «ma è chiaro che a lungo termine potremmo subire un impatto non trascurabile». In futuro, dunque, grandi opere come Alps (che impiega migliaia di chip) potrebbero subire una brusca frenata: altri istituti o aziende, visto il quantitativo limitato, potrebbero «reclamare» i superconduttori.

Se la situazione non dovesse sbloccarsi in tempi brevi, la Confederazione potrebbe rivolgersi altrove, ad altri mercati. «A mio avviso, gli Stati Uniti non si sono resi conto del fatto questa misura rischia di essere un boomerang», commenta Giuffreda. «Il CSCS ha collaborato e collabora tutt’ora con Nvidia. Alps funge anche da precursore, da test. Uno scambio vantaggioso per entrambi. Mettere delle limitazioni a questi scambi, potrebbe dunque costituire un’arma a doppio taglio». Quanto al «piano B», la direttrice associata spiega che «al momento non ci sono alternative immediate». «A titolo personale, credo che la Svizzera debba fare una scelta su quale mondo appartenere, non solamente per quanto riguarda i chip. Siamo considerati dagli USA “troppo aperti” alla Cina o ad altri Paesi e questo può penalizzarci. In gioco ci sono gli interessi della Confederazione: bisogna fare una ponderazione sui pro e i contro di questa apertura. La Svizzera si vanta a giusta ragione di essere un Paese innovativo e competitivo. Ma se queste restrizioni diventeranno reali, a lungo termine ne soffriremo».