«Dalla parte dei giornalisti, dialogo e diplomazia a Palazzo»
È la prima giornalista ad avere un ruolo di primo piano all’interno del gremio che gestisce i professionisti dell’informazione a Palazzo federale. Da pochi giorni Anna Riva, corrispondente da Berna per la radio RSI, ricopre il ruolo di presidente. Dal compito di agevolare chi lavora al Centro media ai rapporti con il mondo della politica federale.
Ha assunto la presidenza dei giornalisti di Palazzo federale. Cosa comporta questa carica a livello di compiti e d’impegno?
«Si tratta innanzitutto di tutelare gli interessi dei giornalisti, o più in generale degli operatori dei media, attivi a Palazzo federale. Un onere che passa soprattutto dalla cura dei rapporti con l’Amministrazione federale, un interlocutore, o meglio, una lunga serie di interlocutori indispensabili per il nostro lavoro. L’obiettivo è rendere il meno complicata possibile la nostra attività quotidiana, già estremamente movimentata e in buona parte in balia degli eventi. Sul tavolo ci sono temi molto concreti, come per esempio lo è ciò che ruota attorno alle conferenze stampa del Consiglio federale, viste ovviamente dalla nostra prospettiva. Mi rendo conto che dall’esterno possono sembrare mere questioni marginali, ma per noi - lo garantisco - sono l’esatto opposto. Siamo così costantemente immersi in un lavoro di dialogo e di diplomazia, segnato da una maniacale cura dei dettagli e da grande tenacia, un lavoro che difficilmente è quantificabile in una percentuale».
Più precisamente di cosa vi occupate e qual è il vostro «quartier generale»?
«Tra i compiti più onerosi c’è il controllo dei nuovi arrivati, dei colleghi che approdano nel Centro media di Palazzo federale e che di conseguenza necessitano di un accredito. Un modo anche di proteggere la nostra professione, con l’intento ovviamente di non escludere coloro che hanno tutte le carte in regola per lavorare da Palazzo. Attualmente sono circa 150 i giornalisti a disporre di una tessera d’accesso permanente. Tengo a ricordare, e lo faccio con rispetto e affetto, che il Centro media è un luogo unico nel suo genere in Svizzera: in nessun altro posto ragionano e sudano fianco a fianco media di tutti i generi - radio, televisione, stampa scritta e multimediale - e provenienti da tutto il Paese, parlanti quindi (almeno) quattro lingue. Un fatto che rende la mia carica non solo più stimolante, ma anche più difficile».
Corrispondente per la RSI da Palazzo federale, già giornalista al CdT per la Confederazione, che percorso professionale sta affrontando in questi anni?
«È un percorso molto intenso. Ho avuto l’incredibile fortuna di diventare corrispondente da Palazzo molto giovane. Un privilegio immane che - almeno voglio sperare! - mi ha consentito e mi consente tuttora di collezionare esperienza a palate. Pare una banalità e forse lo è anche, ma se si segue con interesse la politica federale, se si è affascinati dai suoi meccanismi talvolta criptici e dalle sue dinamiche magari a tratti estenuanti, Berna è realmente il posto giusto. Anche oggi, a quasi quattro anni dal mio arrivo, lavoro nell’umile consapevolezza che è impossibile sapere o capire tutto di fronte ai temi di portata nazionale. La sfida è quindi tentare di carpire più elementi possibile per poi riferirne onestamente e fedelmente. Tutto questo, è forse superfluo dirlo ma giusto ricordarlo, mentre a fare da sfondo c’è un momento storico estremamente complicato per l’intero settore dei media».
Restiamo a Berna, alla sua nuova funzione. Lei è la prima giornalista ticinese in questo ruolo. Lo reputa «un caso» o (finalmente) è magari caduto qualche muro ideologico?
«Penso sia una combinazione delle due cose. Oggi si percepisce sicuramente una maggiore sensibilità verso le minoranze, di tutti i tipi, quindi anche regionali e linguistiche. Per quanto mi concerne, trovo bello e importante che la Svizzera italiana sia rappresentata ai vertici dell’associazione da una giornalista donna di Mendrisio dai tratti curiosamente non caucasici, e lo dico con il sorriso. Credo, in fin dei conti, che non sia però che l’inizio di un’evoluzione che ormai nessuna congiunzione astrale o movimento tellurico potranno mai arrestare. A volte qui a Berna si tende a cedere un po’ alla narrazione sconfortante secondo cui le cose, le cose che contano, sono in mano loro, degli svizzero-tedeschi e in seconda battuta dei romandi. Da parte mia, ho preso tempo fa la decisione che è meglio tentare di reagire piuttosto che lasciarsi travolgere dallo scoramento. L’inerzia a volte può giocare brutti scherzi».
Lei vive tutto l’anno a Berna. Lì i cittadini percepiscono di vivere nella capitale e che nelle vie si incontrano senza difficoltà consiglieri federali e parlamentari?
«Non posso ovviamente riprodurre la percezione di tutti. Ma ritengo che sì, si avverte di vivere nella città federale. Non solo nel corso delle quattro sessioni parlamentari annuali, anche se - certo - in quei casi la cosa è amplificata. Una sensazione che però - devo dire - mi colpisce relativamente: il nostro Paese è caratterizzato da un sistema di milizia, i politici non sono star ma persone normali integrate nel tessuto lavorativo, e la limitatezza del territorio consente più che altrove una certa vicinanza. O forse semplicemente non sono una persona da selfie con Guy Parmelin o Albert Rösti, può anche essere!».
Però il luogo nel quale lavorano i giornalisti accreditati a Palazzo federale, il Centro media appunto, si popola soprattutto durante le sessioni delle Camere federali. Possiamo parlare di due momenti e di due mondi?
«Vi accennavo prima: non parlerei di due mondi distinti, anche se la differenza è notevole. Ma la politica federale non si congela al di fuori delle sessioni, anzi: molto - tra sedute di Consiglio federale, commissioni parlamentari e lanci di iniziative popolari - succede proprio in quelli che a volte possono erroneamente sembrare momenti di relativa tranquillità».
Il giornalismo vive di notizie e di concorrenza tra le testate. A Berna la situazione è tranquilla o c’è un po’ di esasperazione?
«Mi sento di dire che da ticinese la situazione è - pur non essendo comoda - un po’ meno turbolenta: noi giornalisti italofoni siamo davvero pochi, e a volte si finisce per darsi una mano tra le differenti testate. Diverse sono invece le cose per i media svizzero-tedeschi, e in misura minore quelli romandi. In quegli universi la corsa allo scoop è o può essere notevole. Chi batterà chi? Chi, oggi, avrà l’onore di essere ripreso - e quindi citato - da tutti, con una notizia o una storia che - al di là della connaturale diversità delle varie prospettive - è in grado di interessare l’intero Paese? Non di rado i grandi giornali germanofoni o francofoni beneficiano - fisiologicamente - di contatti privilegiati e particolarmente paganti, per così dire, dentro e fuori dall’Amministrazione federale. Con questo non voglio dire che per loro il gioco sia necessariamente più semplice. Di nuovo: si può guardare alla cosa con rammarico, oppure prenderla con filosofia e tentare di fare del proprio meglio alla luce delle specifiche circostanze».