L'intervista

Dieter Vranckx: «Un ritorno di Swiss a Lugano rientra nel campo delle possibilità»

A tu per tu con il CEO della compagnia di bandiera elvetica, al passo d'addio: a partire da luglio, infatti, ricoprirà un nuovo incarico in seno alla casa madre Lufthansa
© KEYSTONE
Marcello Pelizzari
05.06.2024 06:00

Dieter Vranckx ci accoglie negli uffici di Swiss, a Kloten, non molto lontano dall’aeroporto. «Prego» afferma con un sorriso, indicando la sedia e, soprattutto, i cioccolatini con logo e nome della compagnia. «Come se fossimo a bordo di uno dei nostri aerei, no?». Dalla finestra, alle sue spalle, durante la chiacchierata scorgiamo e seguiamo parecchi atterraggi. Il motivo del nostro incontro, principalmente, è uno: dopo oltre tre anni, era stato nominato amministratore delegato di Swiss nel gennaio del 2021, Vranckx lascerà l’incarico. Lo attende, da luglio, un nuovo ruolo in seno alla casa madre, Lufthansa, quello di Chief Commercial Officer.

Signor Vranckx, cominciamo proprio dalla fine: che effetto le fa salutare quella che, a suo tempo, aveva definito come una famiglia?
«Devo dire che, al momento, non ho ancora avuto modo di realizzare al 100% quello che succederà alla fine di giugno. E questo perché sono ancora l’amministratore delegato di Swiss. Poi, certo, so bene quanto mi mancherà la compagnia e quanto mi mancheranno la squadra e i colleghi. Ci sono, tuttavia, due elementi che mi spingono a pensare che, nonostante tutto, rimarrò molto vicino a Swiss: rimarrò a vivere in Svizzera assieme alla mia famiglia, mentre a luglio entrerò nel Consiglio di amministrazione di Swiss. Non solo, il mio incarico in seno a Lufthansa consisterà nel mantenere i rapporti con le cosiddette compagnie hub. E Swiss è una di queste».

La sua storia con Swiss va ben al di là di questi tre anni e mezzo come amministratore delegato. Se si guarda indietro che cosa vede?
«Ho trascorso 17 anni della mia carriera lavorando per Swiss o Swissair. Non continui, perché più volte mi è capitato di partire e poi tornare. La differenza, ora, è che quando rimetterò piede in Swiss, diciamo da luglio, non sarà più in un ruolo operativo».

Se dovesse giudicare il suo mandato, che voto si darebbe? Detto in altri termini, lascia con qualche rimpianto o con la consapevolezza di aver fatto tutto il possibile, in particolare durante la pandemia?
«Se valuto l’intero mandato, sono contento di quello che abbiamo raggiunto, insieme, come Swiss. Rispetto alle conoscenze che abbiamo oggi, è chiaro che probabilmente prenderei alcune decisioni in modo diverso. Ma parliamo di un periodo molto, molto difficile».

Che mesi sono stati, ad esempio, i suoi primi come amministratore delegato?
«Era il 2021. Venivo in questi uffici. Ma erano vuoti. Il fatto di aver avuto, in precedenza, delle esperienze in seno a Swiss mi ha aiutato all'inizio. Non partivo da zero. Eppure, quei primi mesi sono stati complicati. C’era il coronavirus, noi – come molte altre aziende – eravamo rimasti in piedi solo grazie agli aiuti e, soprattutto, a un certo punto abbiamo dovuto optare per una ristrutturazione a livello di forza lavoro. Tutte esperienze, queste, che resteranno dentro di me. Come resteranno gli aspetti positivi: la ripresa nel 2022 e il fatto di essere tornati, proprio quell’anno, nelle cifre nere, ma anche il raggiungimento degli obiettivi che ci eravamo posti durante la ristrutturazione e gli accordi CLA (i nuovi contratti collettivi di lavoro per il personale, ndr) che abbiamo raggiunto».

Che obiettivi erano, scusi?
«Uscire più in fretta degli altri dalla crisi, tornare il prima possibile a essere competitivi. Una velocità, la nostra, che ci ha permesso di ripagare i nostri debiti prima, molto prima rispetto a quanto avevamo preventivato. In linea di massima, credo che il sistema messo in piedi dalle banche e dalla Confederazione abbia funzionato: abbiamo versato 62 milioni di franchi di soli interessi. Il 2023, infine, è stato l’anno dell’uscita, definitiva, dalla coda pandemica. Swiss ha finalmente potuto aumentare la capacità e rimettersi sui binari giusti. Un successo, il nostro, favorito certamente dagli accordi sindacali firmati con i piloti e con il sindacato del personale di cabina».

Nel 2021 e nel 2022, è vero, potenzialmente su alcuni aspetti avremmo potuto agire altrimenti. In quel momento, tuttavia, era l’unica opzione che avevamo

Come giudica le critiche che, allora, erano state indirizzate a Swiss? Una su tutte: avete tagliato troppo presto, e con numeri troppo alti, sul personale.
«Quelle critiche erano comprensibili. Per noi, per contro, era importante non soltanto sopravvivere alla crisi ma, come spiegavo, ripartire. Al più presto. Nel 2021 e nel 2022, è vero, potenzialmente su alcuni aspetti avremmo potuto agire altrimenti. In quel momento, tuttavia, era l’unica opzione che avevamo. Quella scelta, per quanto drastica, ci ha permesso di ritrovare le citate cifre nere molto più velocemente e, di conseguenza, di tornare ad avere i mezzi necessari per investire, di nuovo, nel personale».

Ecco, quanto avete investito nel personale?
«100 milioni di franchi nel 2022 e 130 milioni l’anno scorso. A volte, bisogna passare dalle decisioni più dure e difficili per poi avere i risultati sperati».

Le diamo un assist: va anche detto che la pandemia è stata, in assoluto, il peggio che potesse capitare a Swiss e, allargando il campo, all’aviazione commerciale nel suo insieme.
«Se mettessimo insieme le crisi degli ultimi venti, trent’anni, dall’Undici Settembre alla crisi finanziaria del 2008, non arriveremmo comunque al livello di ciò che abbiamo vissuto con il coronavirus. In poche, pochissime settimane abbiamo perso l’80% della nostra cifra d’affari. È stato un qualcosa di mai visto e sperimentato. Quindi sì, la pandemia è stata la peggiore di tutte le crisi. Di sicuro, lo è stata per l’aviazione. Il lato positivo è che da questo periodo siamo usciti più forti, e più sani, rispetto all’epoca pre-pandemia».

La crisi, ora, sta assumendo i contorni del cambiamento climatico. Una sfida che Swiss intende vincere, anche se le autorità europee vi hanno appena accusato di greenwashing. Che cosa può dirci al riguardo?
«Ci siamo posti degli obiettivi, come la riduzione del 50% delle emissioni di CO2 entro il 2030 e la neutralità carbonica entro il 2050. Il nostro è un piano dettagliato, che si sviluppa lungo tre direttrici: l’acquisto di aerei sempre più efficienti, l’uso di carburante sostenibile, ovvero il SAF, e le innovazioni tecnologiche come aeroSHARK, una sorta di pellicola che applichiamo ai nostri Boeing 777 e che ci permette di ridurre il consumo di carburante e, quindi, le emissioni».

Quindi le accuse sono infondate?
«La nostra comunicazione e le nostre azioni, in merito alla riduzione di emissioni, sono basate su quelli che chiamo proof points. Possiamo dimostrare, concretamente, che mettiamo in pratica tutto quello che annunciamo. Non parliamo né ragioniamo per ipotesi, non diciamo che cosa potremmo fare. Abbiamo firmato accordi con vari partner, ci siamo impegnati per milioni e milioni di franchi e crediamo, con fermezza, nella transizione. Mi risulta difficile pensare a Swiss come a un’azienda che pratica del greenwashing».

Il problema è che i carburanti SAF costano da quattro a sei volte tanto rispetto al normale cherosene. Inoltre, sono disponibili solo in quantità molto limitate. Anche per questo Swiss spinge a livello di produzione

Fra i problemi legati ai carburanti sostenibili c’è il costo. Conferma?
«Quelli che acquistiamo noi, consentono un risparmio di CO2 di almeno l'80%. Parallelamente, abbiamo avviato una collaborazione con Synhelion, una società svizzera attiva nel ramo dei carburanti solari, che in futuro produrrà un combustibile quasi neutro dal punto di vista delle emissioni di CO2. Il problema è che i carburanti SAF costano da quattro a sei volte tanto rispetto al normale cherosene. Inoltre, sono disponibili solo in quantità molto limitate. Anche per questo Swiss spinge a livello di produzione: vogliamo che nel settore i volumi di SAF aumentino e che, un domani, questi volumi soddisfino la domanda».

Alcuni esperti dubitano che, fra SAF e aerei a idrogeno, per tacere di quelli elettrici per il corto raggio, l’aviazione raggiungerà davvero la neutralità carbonica. O, meglio, c'è chi dice che l'aviazione farà fatica a far combaciare sostenibilità e domanda.
«Sono obiettivi davvero ambiziosi. E per raggiungerli è necessario il contributo di tutti. Comprese le compagnie aeree, i clienti, la scienza e la politica».

A proposito di corto raggio: lo sa che ha scaldato il cuore di molti luganesi affermando che un domani potrebbe tornare il collegamento fra Agno e Zurigo qualora sul mercato arrivasse un aereo elettrico affidabile?
«E io, quelle parole, le confermo in toto. Aggiungo che, alle giuste condizioni, potrebbe tornare non solo il volo da Agno a Zurigo ma anche quello da Agno a Ginevra. A patto, appunto, che sul mercato arrivi un aereo elettrico. A mio avviso, però, ci vorrà ancora qualche anno».

Non è che ci sta dando un cioccolatino per calmare, definitivamente, le acque dopo il vostro addio, burrascoso, nel 2019? Il compianto sindaco di Lugano Marco Borradori, all’epoca, giurò che non sarebbe mai più salito a bordo di un aereo Swiss.
«No, non è un cioccolatino. Detto questo, tutto passa dall’arrivo o meno sul mercato di un aereo elettrico. C’è molto movimento, nel settore, al riguardo. Anche se una certificazione del genere, per un velivolo totalmente nuovo, normalmente richiede dei tempi molto lunghi. Tradotto: non sarà domani. Tuttavia, per Swiss un ritorno a Lugano rientra nel campo delle possibilità».

Magari potreste valutare, in futuro, di impiegare un aereo elettrico anche per la tratta Ginevra-Zurigo. Una tratta da tempo oggetto di critiche da parte della politica e di molti ambientalisti ma che Swiss, nonostante l’ottima collaborazione con le FFS, ha deciso di mantenere. Perché?
«Penso che prima di giudicare la rotta Ginevra-Zurigo bisognerebbe conoscere un po’ più a fondo l’aviazione. Se noi togliessimo questa rotta, non cambierebbe nulla sul fronte delle emissioni di CO2».

Abolire il volo da Ginevra a Zurigo avrebbe senso se tutti i nostri passeggeri fossero disposti a prendere il treno invece dell’aereo. Sappiamo, però, che al momento non è così

Può spiegarsi meglio?
«Perché altre compagnie aumenterebbero la capacità da Ginevra verso altri hub, come Parigi, Londra o Dubai. Le persone che, in Romandia, hanno voglia di visitare Hong Kong, Los Angeles o New York continueranno a farlo. Ma non partiranno più da Zurigo grazie a una connessione con Swiss. Abolire il volo da Ginevra a Zurigo avrebbe senso se tutti i nostri passeggeri fossero disposti a prendere il treno invece dell’aereo. Sappiamo, però, che al momento non è così. Pur offrendo il servizio in collaborazione con le FFS, sono pochi ancora i nostri passeggeri che ne usufruiscono. Il volo offre ancora alcuni vantaggi evidenti, come la possibilità di fare il check-in a Ginevra e non preoccuparsi più dei bagagli fino a destinazione raggiunta, via Zurigo».

Torniamo a lei: il fatto che passerà alla casa madre ci permette di chiederle se, e in che modo, deciderà ancora per Swiss. E in generale quanto è indipendente Swiss rispetto a Lufthansa. Un tempo c’è chi aveva coniato il termine Swisshansa…
«Swiss è una compagnia svizzera, basata in Svizzera, con persone che lavorano in Svizzera. Una compagnia che paga le tasse qui e che investe molto, se non moltissimo in questo Paese. Fra il 2022 e il 2023 abbiamo assunto circa 2 mila persone. In generale, Swiss ha una forte connessione con la Confederazione e con la cultura elvetica. Lo vediamo anche dai prodotti che offriamo a bordo, dal cioccolato ai menu per le classi premium preparati dai migliori chef svizzeri. E tutta questa swissness, questa svizzeritudine, rimarrà anche in futuro».

Si può dire, quindi, che a dispetto delle resistenze iniziali il Paese ora si riconosce in questa compagnia? Che, insomma, l’eredità di Swissair è passata a Swiss?
«Sì, certo. Nessuno, è chiaro, può ignorare quanto successe nei primi anni Duemila. Allo stesso tempo, Swiss ha lavorato sodo per recuperare proprio quell’eredità e per profilarsi come compagnia svizzera».

Lei passerà a Lufthansa e Lufthansa, in questi mesi, sta cercando di convincere le autorità europee della bontà dell’acquisto di ITA Airways. Fronte Swiss, che cosa significherebbe avere un partner (ma anche un concorrente) a sud della Svizzera, con hub a Roma-Fiumicino?
«Sarebbe importante, per il nostro gruppo, avere una base anche in Italia. Parliamo di una delle economie più grandi d’Europa mentre una possibile integrazione di ITA non avrebbe impatti negativi per Swiss».

Il fatto che, invece, Air France abbia investito in Scandinavian provocandone l’uscita da Star Alliance, l’alleanza dei cieli di cui Swiss è membro, vi crea qualche grattacapo nel Nord Europa?
«No, anche perché come gruppo Lufthansa negli anni abbiamo costruito una posizione molto forte in questo mercato».

Swiss non ha i 737 MAX, è vero. Operiamo il Boeing 777-300ER, che è molto affidabile. Naturalmente, seguiamo con attenzione gli sviluppi e siamo fiduciosi che Boeing trovi un modo per uscire da questa crisi

È vero che Swiss non ha alcun 737 MAX in flotta, ma la crisi in cui è sprofondata Boeing la preoccupa?
«Swiss non ha i 737 MAX, è vero. Operiamo il Boeing 777-300ER, che è molto affidabile. Naturalmente, seguiamo con attenzione gli sviluppi e siamo fiduciosi che Boeing trovi un modo per uscire da questa crisi».

Presto, Swiss sostituirà i suoi A340 con i nuovissimi A350. È possibile che, quando si tratterà di sostituire i Boeing 777, la compagnia punterà ancora sugli A350 per formare una flotta a lungo raggio esclusivamente firmata da Airbus?
«Al momento, ogni porta è aperta e percorribile. A corto termine, una decisione circa la sostituzione degli A340 è stata presa. È probabile che, quando si tratterà di sostituire i 777, ci rivolgeremo ancora ad Airbus e all’A350. Questo ci permetterebbe di semplificare e standardizzare la flotta a lungo raggio. La complessità, nell’aviazione, genera costi». 

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