Dieter Vranckx: «Un ritorno di Swiss a Lugano rientra nel campo delle possibilità»
Dieter Vranckx ci accoglie negli uffici di Swiss, a Kloten, non molto lontano dall’aeroporto. «Prego» afferma con un sorriso, indicando la sedia e, soprattutto, i cioccolatini con logo e nome della compagnia. «Come se fossimo a bordo di uno dei nostri aerei, no?». Dalla finestra, alle sue spalle, durante la chiacchierata scorgiamo e seguiamo parecchi atterraggi. Il motivo del nostro incontro, principalmente, è uno: dopo oltre tre anni, era stato nominato amministratore delegato di Swiss nel gennaio del 2021, Vranckx lascerà l’incarico. Lo attende, da luglio, un nuovo ruolo in seno alla casa madre, Lufthansa, quello di Chief Commercial Officer.
Signor Vranckx,
cominciamo proprio dalla fine: che effetto le fa salutare quella che, a suo
tempo, aveva definito come una famiglia?
«Devo dire che, al momento, non ho
ancora avuto modo di realizzare al 100% quello che succederà alla fine di
giugno. E questo perché sono ancora l’amministratore delegato di Swiss. Poi, certo, so
bene quanto mi mancherà la compagnia e quanto mi mancheranno la squadra e i
colleghi. Ci sono, tuttavia, due elementi che mi spingono a pensare che,
nonostante tutto, rimarrò molto vicino a Swiss: rimarrò a vivere in Svizzera
assieme alla mia famiglia, mentre a luglio entrerò nel Consiglio di
amministrazione di Swiss. Non solo, il mio
incarico in seno a Lufthansa consisterà nel mantenere i rapporti con le
cosiddette compagnie hub. E Swiss è una di queste».
La sua storia con Swiss va ben al di là di questi tre anni e
mezzo come amministratore delegato. Se si guarda indietro che cosa vede?
«Ho trascorso 17 anni della mia carriera lavorando per Swiss o Swissair. Non continui, perché più volte mi è capitato di partire e poi
tornare. La differenza, ora, è che quando rimetterò piede in Swiss, diciamo da
luglio, non sarà più in un ruolo operativo».
Se dovesse giudicare il suo mandato, che voto si darebbe?
Detto in altri termini, lascia con qualche rimpianto o con la consapevolezza di
aver fatto tutto il possibile, in particolare durante la pandemia?
«Se valuto l’intero mandato, sono contento di
quello che abbiamo raggiunto, insieme, come Swiss. Rispetto alle conoscenze che
abbiamo oggi, è chiaro che probabilmente prenderei alcune
decisioni in modo diverso. Ma parliamo di un periodo molto, molto difficile».
Che mesi sono stati, ad esempio, i
suoi primi come amministratore delegato?
«Era il 2021. Venivo in questi uffici. Ma erano vuoti. Il
fatto di aver avuto, in precedenza, delle esperienze in seno a Swiss mi ha
aiutato all'inizio. Non partivo da zero. Eppure, quei primi mesi sono stati
complicati. C’era il coronavirus, noi – come molte altre aziende – eravamo
rimasti in piedi solo grazie agli aiuti e, soprattutto, a un certo punto
abbiamo dovuto optare per una ristrutturazione a livello di forza lavoro. Tutte
esperienze, queste, che resteranno dentro di me. Come resteranno gli aspetti
positivi: la ripresa nel 2022 e il fatto di essere tornati, proprio quell’anno,
nelle cifre nere, ma anche il raggiungimento degli obiettivi che ci eravamo
posti durante la ristrutturazione e gli accordi CLA (i nuovi contratti collettivi di lavoro per il personale, ndr) che abbiamo raggiunto».
Che obiettivi erano, scusi?
«Uscire più in fretta degli altri dalla crisi, tornare il
prima possibile a essere competitivi. Una velocità, la nostra, che ci ha
permesso di ripagare i nostri debiti prima, molto prima rispetto a quanto
avevamo preventivato. In linea di massima, credo che il sistema messo in piedi
dalle banche e dalla Confederazione abbia funzionato: abbiamo versato 62
milioni di franchi di soli interessi. Il 2023, infine, è stato l’anno
dell’uscita, definitiva, dalla coda pandemica. Swiss ha finalmente potuto
aumentare la capacità e rimettersi sui binari giusti. Un successo, il nostro,
favorito certamente dagli accordi sindacali firmati con i piloti e con il sindacato
del personale di cabina».
Come giudica le critiche che, allora,
erano state indirizzate a Swiss? Una
su tutte: avete tagliato troppo presto, e con numeri troppo alti, sul
personale.
«Quelle critiche erano comprensibili. Per noi, per contro,
era importante non soltanto sopravvivere alla crisi ma, come spiegavo,
ripartire. Al più presto. Nel 2021 e nel 2022, è vero, potenzialmente su
alcuni aspetti avremmo potuto agire altrimenti. In quel momento, tuttavia, era l’unica opzione che avevamo. Quella scelta, per quanto drastica, ci ha permesso di
ritrovare le citate cifre nere molto più velocemente e, di conseguenza, di
tornare ad avere i mezzi necessari per investire, di nuovo, nel personale».
Ecco, quanto avete investito nel personale?
«100 milioni di franchi nel 2022 e 130 milioni l’anno scorso.
A volte, bisogna passare dalle decisioni più dure e difficili per poi avere i
risultati sperati».
Le diamo un assist: va anche detto che la pandemia è stata, in
assoluto, il peggio che potesse capitare a Swiss e, allargando il campo,
all’aviazione commerciale nel suo insieme.
«Se mettessimo insieme le crisi degli ultimi venti,
trent’anni, dall’Undici Settembre alla crisi finanziaria del 2008, non
arriveremmo comunque al livello di ciò che abbiamo vissuto con il coronavirus.
In poche, pochissime settimane abbiamo perso l’80% della nostra cifra d’affari.
È stato un qualcosa di mai visto e sperimentato. Quindi sì, la pandemia è stata
la peggiore di tutte le crisi. Di sicuro, lo è stata per l’aviazione. Il lato
positivo è che da questo periodo siamo usciti più forti, e più sani, rispetto
all’epoca pre-pandemia».
La crisi, ora, sta assumendo i contorni del cambiamento
climatico. Una sfida che Swiss intende vincere, anche se le autorità europee vi
hanno appena accusato di greenwashing. Che cosa può dirci al riguardo?
«Ci siamo posti degli obiettivi, come la riduzione del 50%
delle emissioni di CO2 entro il 2030 e la neutralità carbonica entro il 2050.
Il nostro è un piano dettagliato, che si sviluppa lungo tre direttrici:
l’acquisto di aerei sempre più efficienti, l’uso di carburante sostenibile,
ovvero il SAF, e le innovazioni tecnologiche come aeroSHARK, una sorta di
pellicola che applichiamo ai nostri Boeing 777 e che ci permette di ridurre il
consumo di carburante e, quindi, le emissioni».
Quindi le accuse sono infondate?
«La nostra comunicazione e le nostre azioni, in merito alla
riduzione di emissioni, sono basate su quelli che chiamo proof points. Possiamo dimostrare, concretamente, che mettiamo
in pratica tutto quello che annunciamo. Non parliamo né ragioniamo per ipotesi,
non diciamo che cosa potremmo fare. Abbiamo firmato accordi con vari partner, ci
siamo impegnati per milioni e milioni di franchi e crediamo, con fermezza,
nella transizione. Mi risulta difficile pensare a Swiss come a un’azienda che
pratica del greenwashing».
Fra i problemi legati ai carburanti sostenibili c’è il costo. Conferma?
«Quelli che
acquistiamo noi, consentono un risparmio di CO2 di almeno l'80%.
Parallelamente, abbiamo avviato una collaborazione con Synhelion, una società
svizzera attiva nel ramo dei carburanti solari, che in futuro produrrà un
combustibile quasi neutro dal punto di vista delle emissioni di CO2. Il
problema è che i carburanti SAF costano da quattro a sei volte tanto rispetto
al normale cherosene. Inoltre, sono disponibili solo in quantità molto limitate.
Anche per questo Swiss spinge a livello di produzione: vogliamo che nel settore
i volumi di SAF aumentino e che, un domani, questi volumi soddisfino la
domanda».
Alcuni esperti dubitano che, fra SAF e aerei a idrogeno, per
tacere di quelli elettrici per il corto raggio, l’aviazione raggiungerà davvero
la neutralità carbonica. O, meglio, c'è chi dice che l'aviazione farà fatica a far combaciare sostenibilità e domanda.
«Sono
obiettivi davvero ambiziosi. E per raggiungerli è necessario il contributo di
tutti. Comprese le compagnie aeree, i clienti, la scienza e la politica».
A proposito di corto raggio: lo sa che ha scaldato il cuore di molti luganesi affermando che un domani potrebbe tornare il collegamento fra
Agno e Zurigo qualora sul mercato arrivasse un aereo elettrico affidabile?
«E io, quelle parole, le confermo in toto. Aggiungo che, alle
giuste condizioni, potrebbe tornare non solo il volo da Agno a Zurigo ma anche
quello da Agno a Ginevra. A
patto, appunto, che sul mercato arrivi un aereo elettrico. A mio avviso, però, ci vorrà ancora qualche anno».
Non è che ci sta dando un cioccolatino per calmare,
definitivamente, le acque dopo il vostro addio, burrascoso, nel 2019? Il
compianto sindaco di Lugano Marco Borradori, all’epoca, giurò che non sarebbe
mai più salito a bordo di un aereo Swiss.
«No, non è un cioccolatino. Detto questo, tutto passa dall’arrivo o meno sul mercato di un aereo
elettrico. C’è molto movimento, nel settore, al riguardo. Anche se una
certificazione del genere, per un velivolo totalmente nuovo, normalmente richiede dei tempi molto lunghi. Tradotto: non sarà
domani. Tuttavia, per Swiss un ritorno a Lugano rientra nel campo delle
possibilità».
Magari potreste valutare, in futuro, di impiegare un aereo
elettrico anche per la tratta Ginevra-Zurigo. Una tratta da tempo oggetto di
critiche da parte della politica e di molti ambientalisti ma che Swiss,
nonostante l’ottima collaborazione con le FFS, ha deciso di mantenere. Perché?
«Penso che prima di giudicare la rotta Ginevra-Zurigo
bisognerebbe conoscere un po’ più a fondo l’aviazione. Se noi togliessimo
questa rotta, non cambierebbe nulla sul fronte delle emissioni di CO2».
Può spiegarsi meglio?
«Perché altre compagnie aumenterebbero la capacità da Ginevra
verso altri hub, come Parigi, Londra o Dubai. Le persone che, in Romandia, hanno voglia di visitare Hong Kong, Los
Angeles o New York continueranno a farlo. Ma non partiranno più da Zurigo grazie a una connessione con Swiss.
Abolire il volo da Ginevra a Zurigo avrebbe senso se tutti i nostri passeggeri
fossero disposti a prendere il treno invece dell’aereo. Sappiamo, però, che al
momento non è così. Pur offrendo il servizio in collaborazione con le FFS, sono
pochi ancora i nostri passeggeri che ne usufruiscono. Il volo offre ancora
alcuni vantaggi evidenti, come la possibilità di fare il check-in a Ginevra e
non preoccuparsi più dei bagagli fino a destinazione raggiunta, via Zurigo».
Torniamo a lei: il fatto che passerà alla casa madre ci
permette di chiederle se, e in che modo, deciderà ancora per Swiss. E in generale quanto è
indipendente Swiss rispetto a Lufthansa. Un tempo c’è chi aveva coniato il
termine Swisshansa…
«Swiss è una compagnia svizzera,
basata in Svizzera, con persone che lavorano in Svizzera. Una compagnia che paga le tasse qui e che investe molto, se non
moltissimo in questo Paese. Fra il 2022 e il 2023 abbiamo assunto circa 2 mila
persone. In generale, Swiss ha una forte connessione con la Confederazione e con
la cultura elvetica. Lo vediamo anche dai prodotti che offriamo a bordo, dal
cioccolato ai menu per le classi premium preparati dai migliori chef svizzeri. E tutta questa swissness, questa svizzeritudine, rimarrà anche in futuro».
Si può dire, quindi, che a dispetto delle resistenze iniziali
il Paese ora si riconosce in questa compagnia? Che, insomma, l’eredità di
Swissair è passata a Swiss?
«Sì, certo. Nessuno, è chiaro, può ignorare quanto successe
nei primi anni Duemila. Allo stesso tempo, Swiss ha lavorato sodo per
recuperare proprio quell’eredità e per
profilarsi come compagnia svizzera».
Lei passerà a Lufthansa
e Lufthansa, in questi mesi, sta cercando di convincere le autorità europee
della bontà dell’acquisto di ITA Airways. Fronte Swiss, che cosa significherebbe avere un partner (ma
anche un concorrente) a sud della Svizzera, con hub a Roma-Fiumicino?
«Sarebbe importante, per il nostro gruppo, avere una base
anche in Italia. Parliamo di una delle economie più grandi d’Europa mentre una
possibile integrazione di ITA non avrebbe impatti negativi per Swiss».
Il fatto che, invece, Air France abbia investito in
Scandinavian provocandone l’uscita da Star Alliance, l’alleanza dei cieli di
cui Swiss è membro, vi crea qualche grattacapo nel Nord Europa?
«No, anche perché come gruppo Lufthansa negli anni
abbiamo costruito una posizione molto forte in questo mercato».
È vero che Swiss non ha alcun 737 MAX in flotta, ma la crisi
in cui è sprofondata Boeing la preoccupa?
«Swiss non ha i 737 MAX, è vero. Operiamo il
Boeing 777-300ER, che è molto affidabile. Naturalmente, seguiamo con
attenzione gli sviluppi e siamo fiduciosi che Boeing trovi un modo per uscire da questa
crisi».
Presto, Swiss sostituirà i suoi A340
con i nuovissimi A350. È possibile
che, quando si tratterà di sostituire i Boeing 777, la compagnia punterà ancora
sugli A350 per formare una flotta a lungo raggio esclusivamente firmata da
Airbus?
«Al momento, ogni porta è aperta e percorribile. A corto
termine, una decisione circa la sostituzione degli A340 è stata presa. È probabile che, quando si tratterà di sostituire i
777, ci rivolgeremo ancora ad Airbus e all’A350. Questo ci permetterebbe di semplificare
e standardizzare la flotta a lungo raggio. La complessità, nell’aviazione,
genera costi».