I centri sociali, figli di scontri e lunghe lotte

I centri sociali e la richiesta di spazi per fare cultura alternativa in Svizzera: una storia lunga e caratterizzata da lotte. Una storia che ha segnato quasi tutte le città, soprattutto quelle più grandi. A Lugano non è mai stata trovata una soluzione definitiva e proprio in questi giorni - dopo gli scontri in stazione - la politica è tornata a parlare di sgombero dell’ex Macello. Ed è possibile che giovedì il Municipio prenda una decisione. La situazione in Ticino ci ha spinto a voler ampliare gli orizzonti e a tentare di capire come altre reltà elvetiche - Zurigo e Berna in particolare - hanno affrontato la situazione.
La rivolta del Teatro dell’Opera
Chi pensa a un centro sociale alternativo a Zurigo pensa alla Rote Fabrik, l’ex fabbrica dai mattoni rossi nel quartiere di Wollishofen. Una realtà che oggi è parte integrante della città e della sua scena culturale e che è stata accettata e regolarizzata di fatto solo dopo duri scontri fra i movimenti giovanili alternativi di allora e le autorità zurighesi. Sostenuta dalla politica, è una realtà sovvenzionata. Il primo centro autogestito giovanile zurighese ha invece avuto vita breve, di fatto due miseri (e complicatissimi) anni: stiamo parlando dell’AJZ.
Quel fatidico 30 maggio
Ma andiamo con ordine: la sera del 30 maggio 1980 alcune centinaia di giovani si riuniscono davanti all’Opera di Zurigo. Sono arrabbiati con la politica cittadina, che ha approvato un prestito di 60 milioni di franchi per la ristrutturazione del Teatro dell’Opera, ma ha respinto le richieste giovanili di offerte culturali alternative. Una richiesta fatta da decenni assieme a quella, soddisfatta solo minimamente, di un centro giovanile. La maggior parte dei soldi vanno ai grandi istituti di cultura, per i piccoli e gli alternativi non rimane nulla.
Nel corso della manifestazione, alla quale si è aggiunta parte del pubblico di un concerto di Bob Marley, la protesta si trasforma in scontri violenti: contro la polizia volano sacchetti colmi di vernice e uova. Le forze dell’ordine rispondono con l’uso di pallottole di gomma e gas lacrimogeni. I disordini continuano fino alle prime ore del mattino.
È la cosiddetta rivolta del Teatro dell’Opera. Il preludio di una fase di conflitto durata due anni, caratterizzata da proteste di strada degenerate ripetutamente in violenza, ma anche da nuove forme di manifestazioni culturali e politiche intorno al Centro autogestito della gioventù (AJZ). Un centro inaugurato nel 1980 con il sostegno del PS dietro la stazione centrale di Zurigo e demolito solo due anni più tardi, sotto il peso di un sempre più frequente consumo e spaccio di droga.
Il fallimento
«L’utopica idea di un luogo anarchico è morta quando i coordinatori di questo centro, che si erano stufati dei problemi fra i frequentatori stessi, sempre più spesso spacciatori, e le autorità hanno deciso di abbandonare il progetto», ci spiega Nadine Zberg, storica dell’Università di Zurigo che ha contribuito a un libro che uscirà a breve per il 40. della Rote Fabrik.
Negli anni successivi alla demolizione dell’AJZ_furono però soddisfatte numerose richieste politico-culturali del movimento giovanile. Fino al 1990, con il nuovo, più dinamico sindaco liberale radicale Thomas Wagner, il budget della città per la cultura alternativa è infatti decuplicato. In rapida successione si sono aperti non solo il Centro culturale Rote Fabrik, ma anche la Kanzlei e il centro giovanile Dynamo.
Allo stesso tempo, però, la fine dell’AJZ ha fatto sì che la scena della droga, che fin dai primi anni Settanta si era spostata tra diversi luoghi del centro città, sia tornata a essere senza dimora e, dopo una nuova fase di migrazione, si stabilisse nell’area del Platzspitz, vicino all’ex AJZ, dal 1986 in poi.


Sovvenzioni milionarie
Se l’AJZ fu un fallimento non si può dire lo stesso della Rote Fabrik, che oggi viene sostenuta dalla Città. Questa non solo presta al centro lo stabile in cui oggi è di casa (valore annuo del prestito: 2,23 milioni di franchi), ma, come conferma un portavoce della Città, contribuisce annualmente con 3,2 milioni per la gestione.
«Nel 1977 gli elettori avevano adottato un’iniziativa del PS per la trasformazione dell’ex fabbrica dai mattoni rossi in un centro di incontro e di cultura. Tuttavia l’attuazione da parte della Città era stata fatta ritardare», ci spiega ancora Zberg. «La fase di scontri e le violenze hanno poi infine fatto accelerare le cose». A differenza dell’AJZ, la Rote Fabrik era caldeggiata da più parti: «Non solo dal movimento giovanile e dalla sinistra, ma anche da membri dei partiti borghesi e da chi rappresentava la cultura». Fu questa la sua fortuna. Nella seconda metà degli anni Settanta, infatti, spazi della Rote Fabrik erano già stati affittati dalla Città all’Opera e ad artisti. Eventi culturali alternativi co-organizzati dall’amministrazione comunale si erano già tenuti alcune volte nello stabile rosso.
Snobismo all’inverso
Diventare come la Rote Fabrik è proprio quello che non vogliono fare i ben più radicali occupanti della Reitschule di Berna. «Questa, nata da un’occupazione, resta decisamente meno adattata, più ribelle», conferma la storica. Dal momento che un centro gode di supporto finanziario dalla politica si può dire ancora autogestito? Per Nadine Zberg la risposta è sì: «L’autonomia e l’autogestione sono sempre state una priorità molto alta per il gruppo che ha preso in mano la gestione della Rote Fabrik. Di conseguenza, soprattutto nella fase iniziale (prima che diventasse un progetto permanente dal 1988 in poi), ci sono stati proprio per questo motivo frequenti conflitti con le autorità, che hanno cercato di avere una certa influenza. È stato un vero e proprio tiro alla fune: da un lato le autorità non volevano rinunciare completamente al controllo, dall’altro l’amministrazione comunale era giunta alla conclusione di accogliere con favore il fatto che il centro sarebbe stato gestito da un ente indipendente, perché altrimenti avrebbe causato un enorme lavoro per le autorità».
Sostegno è la parola chiave
La stessa Reitschule d’altronde viene sostenuta dalla Città di Berna. L’edificio ricoperto di graffiti a est della stazione è stato lasciato dal Comune ai giovani nel 1987, inizialmente per singole serate o giornate. Nel corso del tempo il vecchio maneggio è diventato un’istituzione. Una realtà permanente. Fra il 1999 e il 2004 la Città ha investito 13 milioni per la ristrutturazione dell’edificio.
Oggi il centro autogestito ha un contratto con la sua Città. Il testo regola sia le sanzioni in caso di mancato rispetto degli obblighi del centro sia l’assunzione da parte di Berna dei costi annuali di locazione (circa 318.000 franchi all’anno) e del pagamento dei contributi alle spese accessorie. Molte le votazioni (quasi una all’anno) per decidere del futuro del centro. Finora i bernesi hanno sempre scelto di sostenere i giovani autogestiti. E questo nonostante i regolari scontri con le autorità.

«Occupazioni abusive, ecco perché tolleriamo»
Autogestione fa rima con occupazione. A Zurigo la Città ha una lunga esperienza con il fenomeno. Che oggi viene sovente tollerato. Almeno fino a un certo punto. Attualmente, ci conferma Mathias Ninck, portavoce del Dipartimento presidenziale della Città, gli stabili occupati abusivamente sono una decina. La proprietà occupata più conosciuta è quella del Koch-Areal ad Altstetten. Il sito appartiene alla Città. «Le altre sono private, ragione per cui su queste non forniamo informazioni».
Trent’anni fa Zurigo ha definito la politica che ha deciso di seguire in questi casi. «Il concetto di base è:_un’evacuazione deve essere permanente», spiega Ninck. Prima di adottare questo principio, gli stabili occupati venivano sempre evacuati non appena il proprietario presentava una denuncia penale. «La proprietà veniva svuotata dalla Polizia e poco dopo veniva occupata di nuovo, liberata, occupata, liberata, occupata... in un gioco fra gatto e topo che non andava a vantaggio di nessuno. Così, da 30 anni, l’occupazione abusiva è tollerata fino a quando il proprietario dello stabile non ha un permesso di costruzione legalmente vincolante o fino a quando non è stato determinato il cambio di destinazione d’uso. Questa politica di tolleranza funziona bene e ha molto successo».
Lo stesso Koch-Areal sarà evacuato. Gli occupanti hanno preso il sito nel 2013. Nonostante i conflitti con le autorità e con UBS, l’ex proprietaria, gli inquilini abusivi vi sono rimasti fino ad oggi, abitando nella proprietà e gestendo un programma culturale variegato. La Città vuole costruirvi un nuovo quartiere entro il 2024 con 340 appartamenti, un parco e spazi commerciali.
Le occupazioni abusive che hanno fatto la storia della Città sulla Limmat sono varie. In primavera è stato sgomberato lo Juch-Areal. L’ex centro di accoglienza per asilanti è stato occupato alla fine dell’ottobre 2019. Ora deve essere utilizzato temporaneamente per il cantiere del nuovo stadio di hockey su ghiaccio.
La prima importante occupazione è stata quella di Wohlgroth, nella Josefstrasse, sgomberato quasi 27 anni fa e diventato famoso anche per il graffito e dichiarazione anticapitalista «Zureich» (combinazione di «zu reich», ovvero «troppo ricchi», e «Zürich», «Zurigo») visibile direttamente sui binari della stazione principale. All’epoca l’occupazione, durata due anni, era stata la più lunga della città. Altre pillole storiche accanto.
La Svizzera, nazione in tumulto
I primi anni anni ’80 furono gli anni delle manifestazioni giovanili. Scontri violenti si sono svolti anche a Basilea, Berna e Losanna (Lôzane bouge) nel 1980/81. A Basilea il terreno dell’Alte Stadtgärtnerei diventò un punto centrale della cultura giovanile, mentre a Berna le dispute ruotavano attorno al villaggio di tende e carri di Zaffaraya e al maneggio (la Reitschule di cui scriviamo a sinistra).
Anche a San Gallo e Lucerna si sono formati piccoli movimenti giovanili. Nel 1980 a Winterthur, nel canton Zurigo, si svolsero anche manifestazioni, ma solo negli anni successivi una scena giovanile radicale attirò l’attenzione con una serie di attacchi con vernice, fuoco ed esplosivi, culminati nell’agosto del 1984 con uno (che non fece feriti) organizzato davanti alla casa del consigliere federale PLR_Rudolf Friedrich.
Come ricorda il Dizionario storico della Svizzera, «gran parte dei politici borghesi e della stampa considerava il movimento di protesta giovanile come opera di pochi istigatori di formazione teorica e di qualche centinaio di seguaci (...) estremisti ed esigeva una coerente applicazione dell’ordinamento giuridico contro le dimostrazioni, spesso non autorizzate».
In Europa
A livello internazionale all’inizio degli anni Ottanta vi erano movimenti giovanili analoghi, ad esempio a Berlino Ovest, Amburgo o Amsterdam. Il movimento degli anni 1980-90 diede forti impulsi alla politica e all’arte: sensibilizzò la società alle esigenze dei giovani promuovendo la creazione di progetti mediatici e culturali indipendenti.