Criminalità organizzata

I signori degli Anello

La ‘ndrina vibonese avrebbe trafficato armi e droga dal nostro Paese dalla fine degli anni Ottanta – Secondo gli investigatori l’uomo arrestato in Argovia avrebbe fatto una fortuna gestendo le finanze del capobastone – Il sessantenne residente in Ticino sarebbe, stando a un pentito, tra coloro a cui il boss diceva le cose più intime della cosca
©CdT/Archivio
John Robbiani
Nico Nonella
23.07.2020 06:00

Quello del clan Anello con la Svizzera è un legame che risale addirittura alla fine degli anni Ottanta.Droga, armi e denaro riciclato attraverso attività che, nell’appartenza, sembrano lecite. Tanto denaro. «Hanno fatto una fortuna in Svizzera - spiega un pentito riferendosi al 53.enne residente in Argovia e al 60.enne residente ne Luganese - gestendo il denaro di Rocco Anello». Quello inferto martedì dall’operazione congiunta italo-svizzera è un colpo forse decisivo alla ‘ndrina vibonese, definita dagli investigatori uno dei sodalizi più potenti e pericolosi dell’area. Il grosso dell’inchiesta si svolge a Filadelfia (vicino a Vibo Valentia) ma ancora una volta emergono legami con la Svizzera.

Un nome ricorrente

Uno dei nomi ricorrenti nelle oltre 3.300 pagine del Decreto di fermo della Procura di Catanzaro è quello di Rocco Anello, capobastone della cosca insieme al fratello Tommaso. Di lui ha parlato un collaboratore di giustizia, che ha affermato di averlo conosciuto tra l’89 e il ‘90 per il tramite di un uomo soprannominato «u niguro». «Quest’ultimo - spiega il pentito - mi aveva chiesto se avessi conoscenze in Svizzera in modo tale da far trasportare delle armi a Rocco Anello». Il nome di Anello compare anche nelle carte dell’inchiesta «Gentlemen», condotta a Catanzaro e conclusasi nel febbraio di 5 anni fa con 45 incriminazioni. In quell’occasione delle intercettazioni avevano portato alla luce contatti tra Anello e il 53.enne arrestato nel canton Argovia e il 60.enne interrogato in Ticino. Durante questi contatti «si parlava genericamente di import/export di pneumatici, mezzi meccanici e derivati del marmo». Ma secondo gli investigatori il linguaggio nascondeva ben altro, tanto da rinvenire in queste intercettazioni «spunti investigativi assolutamente importanti», soprattutto se si considera che «i collaboratori di giustizia più recenti parlano di investimenti e/o di attività di riciclaggio che gli Anello hanno da tempo imbastito in Svizzera». Dopo l’arresto di Rocco Anello, nel 2016, era emerso che la cosca «ha ramificazioni in territorio elvetico dedite alla gestione di attività commerciali, prevalentemente nel settore della ristorazione». Per questo motivo la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro aveva inoltrato al Ministero Pubblico (MPC) della Confederazione una «comunicazione spontanea di informazioni» a seguito della quale l’MPC aveva aperto un’inchiesta nei confronti di tre persone, tra le quali il 53.enne argoviese. Il resto, come si suol dire, è storia.

L’agente infiltrato

Per far luce sui collegamenti in Svizzera, la Fedpol ha infiltrato un agente sotto copertura, che ha confermato l’esistenza «di un legame criminale tra la cosca e due residenti nella Confederazione». Questi ultimi avrebbero aiutato il clan a reperire e trafficare armi dal territorio elvetico, a spacciare denaro falso, a gestire attività commerciali in territorio elvetico attraverso prestanomi di comodo (in particolare nella gestione di locali notturni) e a trasportare valuta verso la Calabria. Sempre stando al Decreto di fermo, il 53.enne «è particolarmente attivo nello svolgimento di attività economiche come l’edilizia, dalla gestione delle quali vengono generate considerevoli somme di denaro contante che vengono trasportate fuori dai circuiti bancari verso la Calabria». Insomma, il 53.enne e il 60.enne residente nel Luganese (che si dichiara innocente) sarebbero stati «uomini di fiducia» del capobastone, che addirittura avrebbe parlato con loro «degli affari più intimi della cosca», come ad esempio «il danneggiamento di pozzi di una fabbrica di imbottigliamento di acqua minerale».

La punta dell’iceberg?

Insomma, se comprovate in sede giudiziale, le connessioni con la Svizzera del clan vibonese sono un campanello d’allarme non indifferente, soprattutto se si considera che la ‘ndrina degli Anello è una delle 150-400 che si stimano essere operative in Calabria. Se anche solo la metà di queste avesse simili connessioni con il nostro Paese ci sarebbe davvero da preoccuparsi.

Nella Confederazione «per fare impresa» e riciclare denaro

«A casa vostra, dopo i soldi della mafia, arriveranno anche i mafiosi». Sono parole che Giovanni Falcone disse, negli anni Ottanta, all’allora procuratore pubblico Paolo Bernasconi. Falcone aveva ragione. Da anni - o decenni - la Svizzera non interessa più alle cosche solo per nascondere e ripulire il denaro (operazione resa più complicata negli ultimi anni dall’allentamento del segreto bancario). Per la criminalità la Svizzera è un luogo in cui far soldi, a volte anche in modo lecito. O perlomeno apparentemente lecito. Camorra, Cosa Nostra e ‘ndrangheta controllano bar, ristoranti e locali notturni. Un settore in cui è relativamente facile riciclare (pompando gli incassi) ma che serve anche - come dimostrato dall’inchiesta Stige - a imporre prodotti (famoso è diventato in questo senso il vino «zio Lorenzo») realizzati dalle cosche. In più inchieste - la più grande è stata forse «Isola felice», che ha ricostruito i traffici del clan Ferrazzo (di Mesoraca) - la Svizzera figura come il luogo in cui la criminalità si rifornisce di armi. Ma «reati spia» che lasciano intendere infiltrazioni mafioso sono stati registrati anche nell’edilizia, e la guardia resta alta quando si parla di grandi appalti se si pensa che perfino una delle società in prima linea nella costruzione di AlpTransit (la Condotte SpA) è sospettata di aver partecipato a un giro di tangenti per la realizzazione della Siracusa-Gela. Senza dimenticare Gennaro Pulice, il killer che in Ticino aprì un bar, un mobilificio e una pseudosocietà di consulenza approfittando della facilità con cui si può entrare in possesso di una società anonima o di una sagl.

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