«Il successore non abbandoni la via di Francesco»

Monsignor Jean-Marie Lovey, 74 anni, è vescovo di Sion dal 2014. È stato lui a rappresentare a Roma, ai funerali del Papa, la Conferenza dei vescovi svizzeri.
Monsignor Lovey, che giornata è stata quella del funerale di Papa Francesco?
«Una giornata storica, davvero. Il mondo intero si è ritrovato a Roma: una testimonianza impressionante della portata universale di questo Papa».
Era la prima volta che un funerale papale veniva celebrato secondo il nuovo rito voluto da Francesco. Come ha vissuto la cerimonia?
«È stata una celebrazione semplice, essenziale, anche se lunga. Una messa riconoscibile ovunque: nulla di straordinario, se non per il numero imponente di partecipanti e il grande dispiegamento della liturgia».
Si è parlato molto della presenza dei capi di Stato, talvolta più del rito stesso. Le è sembrato fuori luogo?
«Al contrario, credo sia stato un segno importante. Sono grato che il cardinale Re abbia saputo riportare l’attenzione sui temi cari a Francesco: la povertà, l’immigrazione, la pace, l’apertura della Chiesa. Era il momento opportuno per ribadirli».
Appunto: durante l’omelia, il cardinale Re ha evidenziato l’impegno sociale di Francesco. È un’eredità che la Chiesa dovrà preservare?
«Senza dubbio. Papa Francesco ha posto con forza l’accento sull’accoglienza dei poveri e dei migranti, sull’apertura della Chiesa al mondo. Ha aperto strade che ora non devono essere abbandonate. Mi auguro che il suo successore continui su questa via».
Lei ha incontrato più volte papa Francesco. Quale ricordo personale conserva?
«L’ho incontrato una decina di volte. La prima volta lo ringraziai per Evangelii Gaudium e, scherzando, gli dissi che gli avevo “rubato” il titolo per farne il mio motto episcopale. Lui sorrise e mi disse: “Non basta farne una frase, bisogna farne un programma pastorale”. Ed è davvero ciò che lui ha fatto».
Che tipo di figura dovrebbe essere il nuovo Papa?
«Mi auguro che sia qualcuno capace di proseguire il cammino di apertura iniziato da Francesco: una Chiesa senza confini, pronta ad accogliere tutti, mostrando il volto misericordioso di Dio. La misericordia è il cuore del Vangelo e dovrà restare il cuore della missione ecclesiale».


Come mai era l’unico rappresentante della Conferenza dei Vescovi svizzeri presente al funerale?
«Gli altri confratelli avevano impegni improrogabili, come le cresime, già fissati da tempo. Io sono riuscito a liberarmi e sono andato anche a nome loro. Ho scritto loro che portavo la preghiera dell’intera Conferenza accanto al Santo Padre».
Quali sono, oggi, le principali sfide della Chiesa cattolica in Svizzera?
«Anzitutto la trasmissione della fede: la cultura locale si è allontanata dai ritmi e dai valori cristiani. C’è una forte necessità di nuova evangelizzazione. Poi, vi è la sfida dell’unità interna, da costruire pazientemente nonostante tensioni e difficoltà».
La pluralità delle confessioni cristiane in Svizzera rappresenta un ostacolo?
«È una sfida, certo, ma anche una grande opportunità. In Svizzera abbiamo sviluppato un’esperienza ecumenica preziosa: una collaborazione concreta e profonda tra Chiese diverse. Non esiste ancora una piena comunione, ma il cammino è promettente, soprattutto in continuità con il percorso sinodale recentemente avviato».
Papa Francesco ha dato nuovo impulso al dialogo ecumenico e interreligioso. È una direzione che la Chiesa dovrà continuare a seguire?
«Sì. Francesco ha favorito incontri storici, come quello con il patriarca Cirillo a Cuba, e ha mantenuto legami profondi con il patriarca di Costantinopoli. Ma va ricordato che fu già Giovanni Paolo II, con l’incontro di Assisi del 1986, ad aprire un cammino di dialogo interreligioso straordinario. Francesco ha rafforzato e proseguito quel percorso, e sarà fondamentale andare avanti su questa strada».
Se dovesse scegliere un messaggio di Papa Francesco da custodire, quale sarebbe?
«La gioia del Vangelo. Accogliere il Vangelo come una buona notizia, una fonte di vita e di slancio. È il messaggio che ho scelto anche come motto episcopale».