La Cina, la grande assente del Bürgenstock

Volodymyr Zelensky, sul Bürgenstock, ha parlato di un passo. Il primo, nello specifico. «Verso una pace giusta» volendo usare le sue parole. La Conferenza sulla pace in Ucraina apertasi nella splendida cornice del resort che domina il Lago dei Quattro Cantoni, però, difficilmente sortirà effetti concreti. Detto in altri termini, l'assenza della Russia pesa. E pure parecchio. Per tacere della Cina e dei leader di altri Paesi che, in questi due anni e passa di guerra, non si sono schierati in maniera netta contro il Cremlino: l'India, il Brasile e infine la Turchia, oltre (a livello europeo) l'Ungheria. «Kiev e Mosca dovrebbero trovarsi a metà strada» è, non a caso, il messaggio che arriva da questo fronte.
L'Ucraina, quantomeno, ha ottenuto qualche cosa: ha riunito attorno a un tavolo i rappresentanti di un centinaio di Paesi. Gli alleati di sempre, certo, ma anche diversi Paesi africani e del Sudamerica. Restii, finora, a sostenere lo sforzo difensivo di Kiev per non rischiare di compromettere le relazioni con la Russia. Andava letto in quest'ottica, d'altro canto, il tentativo fatto dallo stesso Zelensky per convincere la Cina a partecipare al vertice svizzero. Pechino, tuttavia, lo ha ribadito anche il vice-rappresentante cinese al Consiglio di Sicurezza dell'ONU, come detto ritiene che Russia e Ucraina debbano trovare un compromesso. Che debbano incontrarsi, appunto, a metà strada. Con quali garanzie da parte russa, per contro, non è dato saperlo. Quella cinese, ha detto il diplomatico Geng Shuang, è una posizione «coerente e chiara». Una posizione, agli occhi di Pechino, di Paese mediatore.
La NATO, al contrario, ritiene la Cina un attore attivo di questa guerra. Attivo e, evidentemente, al fianco di Mosca. Come è stato detto, ancora, durante il vertice del G7 in Puglia. Nel comunicato finale, per dire, sono state rinnovate le accuse a Pechino: aiuta Mosca a eludere le sanzioni occidentali, fornendo componenti e tecnologie per amarsi volendo sintetizzare al massimo. L'invito, pena ulteriori sanzioni secondarie nei confronti del Dragone, è quello di smettere immediatamente.
Nella Svizzera centrale, dicevamo, manca anche il leader della Turchia, con il presidente Erdogan che, da tempo, si fregia di aver favorito un'intesa fra Russia e Ucraina. Quella sul grano nei primi mesi di guerra. Ankara, finora, ha mantenuto una politica di equilibrismo e, verrebbe da dire, opportunismo: ha fornito droni a Kiev e, al contempo, mantenuto aperto il dialogo con Putin. In mezzo, la decisione di non applicare le sanzioni occidentali alla Russia, in controtendenza rispetto agli altri membri NATO.
Quanto all'India, gli appelli affinché Modi sfrutti la sua posizione per spingere la Russia a fermare la sua guerra di aggressione finora sono caduti nel vuoto. Al contrario, Nuova Delhi ha rafforzato i rapporti con Mosca. Basti pensare alle importazioni di petrolio russo, necessario ai fabbisogni del subcontinente e venduto a prezzi stracciati.
Lo smarcamento del Brasile, infine, secondo esperti e analisti va letto più che altro nell'ottica di un'uscita, da parte di Lula, dall'orbita statunitense. L'idea del leader verdeoro, infatti, è quella di riaffermare il Brasile come guida del cosiddetto Sud mondiale.
Turchia, India, Brasile e, a livello europeo, Ungheria hanno inviato solo dei rappresentanti sul Bürgenstock. Erdogan, Modi e Lula, al contrario, hanno preferito non partecipare in prima persona. Eppure, erano a breve, se non brevissima distanza visto che si trovavano tutti e tre al vertice del G7 in Puglia, ospiti di Giorgia Meloni. Non solo, in quell'ambito hanno incontrato Volodymyr Zelensky. La pace giusta che intende trovare e raggiungere il presidente ucraino, giocoforza, passerà anche da questi tre leader. Ma le loro sedie, sulla montagna nidvaldese, sono rimaste vuote.