La domanda per i viaggi in America rimane stabile, nonostante Donald Trump

E l’aviazione? Nessun problema, o quasi. Se è vero che l’Europa e gli Stati Uniti, più o meno, sono ai ferri corti, complici le minacce (commerciali) di Donald Trump e le contromisure dell’Unione, è altrettanto vero che la domanda di voli transatlantici non sta subendo alcuna flessione. Anzi, il mercato resta forte. Certo, le cronache riferiscono di controlli più approfonditi alle dogane, inasprimenti vari e, addirittura, di turisti rispediti indietro o, peggio, mandati in centri detentivi.
I tre attori principali del Vecchio Continente, Air France-KLM, Lufthansa e IAG, che raggruppa British Airways e Iberia, non sembrano in ogni caso preoccuparsi. Anzi, hanno risposto praticamente all’unisono: no, a discapito delle tensioni geopolitiche e della guerra a suon di dazi il mercato nordamericano rimane centrale. E, di riflesso, «sicuro».
Per dire: il direttore generale di Air France-KLM Benjamin Smith, come riferisce il quotidiano economico francese La Tribune, non vede «alcun cambiamento importante nelle riservazioni da o verso gli Stati Uniti». L’amministratrice delegata di Air France, Anne Rigail, pur ammettendo che il vettore è «estremamente vigile» circa possibili scossoni, è della stessa lunghezza d’onda: «In questo momento, non vediamo alcuna flessione». Carsten Spohr, amministratore delegato del gruppo Lufthansa, si spinge oltre: «Continuiamo a vedere una domanda molto forte sul Nordamerica, con un mercato robusto e durevole». Per Nicholas Cadbury, direttore finanziario di IAG, la dinamica «forte» è confermata.


Anche Swiss, la compagnia di bandiera elvetica, parte del citato gruppo Lufthansa, contattata dal Corriere del Ticino afferma: «Il Nordamerica rimane una delle nostre regioni di traffico più importanti e la domanda dalla Svizzera è stabile. Le prenotazioni sono all’incirca in linea con l’anno precedente e non abbiamo notato alcuna anomalia nel comportamento delle prenotazioni o delle cancellazioni».
Le rassicurazioni, se così vogliamo chiamarle, seguono una certa logica. Il mercato nordamericano è stato centrale, se non centralissimo, nelle performance realizzate da gruppi e vettori europei nel 2024. A detta di Smith, ad esempio, l’America è stato «il punto forte» in termini di vendite mentre Spohr e, quindi, il gruppo Lufthansa hanno notato, lo scorso anno, una crescita decisamente più netta di questa fetta rispetto ad altri mercati. Risultati, questi, in un certo senso già figli del ritorno di Donald Trump: eletto nel novembre del 2024, il tycoon aveva sin da subito minacciato dazi nei confronti di Canada, Messico ed Europa.
Il mercato nordamericano, soprattutto, rimane il settore più redditizio, grazie al profilo tipo dei clienti, siano essi viaggiatori d’affari o per piacere. «I voli transatlantici rimangono la nostra principale fonte di profitti e, dunque, sono la nostra priorità assoluta» per dirla con Spohr. I ritardi nelle consegne dei nuovi aerei, tuttavia, spingono il massimo dirigente del colosso tedesco a un cauto ottimismo circa le prospettive di crescita, mentre IAG, come conferma il direttore generale Louis Gallego, intende continuare a investire «in questo mercato» dal momento che prevede una domanda sostenuta nel lungo periodo. IAG, rispetto agli altri gruppi, ha un vantaggio competitivo enorme: la possibilità di schierare gli Airbus A321 XLR con Iberia e Aer Lingus.
I numeri, come spiega il portale specializzato OAG, aiutano a comprendere l’importanza del mercato nordamericano: nel 2024, rappresentava qualcosa come 114 milioni di posti e una cifra d’affari di 43 miliardi di euro. Se dovesse verificarsi il citato effetto Trump, le cose si metterebbero male. Molto male, pensando anche alla regione Asia-Pacifico che sta ancora faticando a recuperare terreno, complici da un lato un’uscita più complicata dalla pandemia e, dall’altro, lo spazio aereo russo chiuso ai vettori occidentali.


C’è, infine, la questione del dollaro contro l’euro. Se il dinamismo del biglietto verde ha reso l’Europa piuttosto appetibile per gli americani, l’inversione degli ultimi giorni potrebbe contribuire a un cambio di orizzonte se la situazione dovesse prolungarsi. Protourisme, in Francia, ha comunque rilevato – scrive Le Figaro – un calo del 25% nelle intenzioni di viaggio dei francesi verso gli Stati Uniti la prossima estate. Ma parliamo, invero, di intenzioni. I biglietti continuano a essere venduti a un ritmo sostenuto.
Anche in Ticino, venendo ai viaggi in generale e non solo al settore aereo, l’effetto Trump non preoccupa. Davide Nettuno, portavoce per la Svizzera italiana di Hotelplan, afferma a tal proposito che «gli Stati Uniti, rispetto al boom del 2023 e del 2024, sono una meta leggermente in calo» ma, aggiunge, «le motivazioni non sono necessariamente collegabili a Trump, alla situazione geopolitica e alla questione dazi, anche perché chi dovesse andare in America non si ritroverebbe certo confrontato ad aumenti improvvisi». E ancora: «Nessuno, per intenderci, si è presentato in agenzia dicendo chiaramente di non voler prenotare una destinazione come gli Stati Uniti. Parallelamente, chi vuole andarci lo fa a prescindere dal clima politico e dalle tensioni commerciali fra Europa e America». La paura, almeno stando a Nettuno, non ha fatto capolino in agenzia.