«La ristorazione? Il settore è ottimista sul futuro, ora pensiamo al contratto collettivo»

«Siamo l’antitesi dei social media». Beat Imhof è stato eletto quale nuovo presidente di GastroSuisse lo scorso 18 giugno, battendo la concorrenza di Massimo Suter (134 voti contro 83). Subito - anzi, ancor prima di essere scelto - aveva dichiarato la propria intenzione di muoversi con maggior cautela rispetto al suo predecessore, Casimir Platzer. E in un’intervista al Tages-Anzeiger aveva ammesso: «Il settore ha un problema di immagine, che si riflette anche nel fatto che sempre meno giovani scelgono di formarsi nel settore della ristorazione. A volte ho la sensazione che ciò sia dovuto anche al fatto che siamo troppo reattivi, reagiamo solo quando qualcosa non va bene invece di impostare noi stessi argomenti positivi». Proprio in questo senso, una volta eletto, ha rivelato l’intenzione di riprendere, dopo uno stop lungo cinque anni, le trattative per il contratto collettivo di lavoro.
«Una vocazione»
Lo abbiamo raggiunto, anche per conoscerlo meglio, per conoscere meglio il suo pensiero. «Crediamo nel futuro e nelle innumerevoli opportunità per tutti gli imprenditori creativi e ambiziosi del nostro settore. Il nostro settore è resiliente, dinamico e si adatta rapidamente alle esigenze dei nostri ospiti. L’industria si è ripresa dal punto di vista delle vendite, anche se l’aspetto dei costi resta molto impegnativo. La ristorazione, in tutti i casi, è e rimane socialmente e sistematicamente rilevante. Mi piace definirla l’antitesi dei social media». Nonostante questo ritratto positivo, lo stesso Imhof riconosceva la crisi delle «vocazioni». Oggi ribadisce: «Siamo orgogliosi dei risultati che i nostri membri raggiungono ogni giorno. La gastronomia, come l’alberghiera, non è solo lavoro, è in effetti una vocazione». E poi cita l’iniziativa «Avanti! La qualità del settore alberghiero e della ristorazione svizzero», pensata proprio per rispondere alla carenza di personale qualificato. «Una delle principali sfide del momento». L’idea è di riuscire ad attrarre un numero sufficiente di lavoratori e a trattenerli a lungo termine. «Uno degli obiettivi è la promozione dei giovani talenti. Con la nostra iniziativa, dimostriamo la passione, quanta ispirazione, diversità e opportunità di sviluppo ci sono nel nostro settore e nelle nostre professioni. Vogliamo far progredire il nostro settore e cambiare l’immagine in modo positivo. Vogliamo far appassionare le persone al nostro settore. È anche importante consentire ai nostri membri di fare ancora di più per garantire che i dipendenti non lascino nuovamente il settore. Ciò richiede un alto livello di consapevolezza della leadership e molto impegno nei confronti delle proprie squadre». Insomma, non il solito richiamo ai clienti, alle istituzioni, bensì una chiara presa di responsabilità anche dal settore stesso. Beat Imhof introduce anche un dato positivo, quello relativo all’apprendistato. «Dopo il declino, e poi la stagnazione, i contratti di apprendistato sono tornati ad aumentare da due anni», spiega. «L’industria stipula circa tremila nuovi contratti di apprendistato ogni anno. Le nostre professioni offrono una gamma estremamente ampia di opportunità, che possono anche condurre lontano in termini di carriera».


Spetta ai presidenti cantonali
Certo, va considerato l’aspetto dei salari, della sicurezza contrattuale, delle prospettive di crescita anche sul piano della remunerazione. Appena lo scorso anno, era il mese di luglio, fallivano le trattative sui salari minimi nel settore. Ora si parla di riprendere le trattative per il contratto collettivo. Imhof argomenta: «I salari, nel settore dell’ospitalità, sono per lo più ben al di sopra dei salari minimi. E questi si sono anche sviluppati al di sopra della media negli ultimi anni. Nell’ambito del partenariato sociale, i salari vengono rinegoziati ogni anno. Il contratto collettivo garantisce stabilità nel settore. E se non negoziamo, non possiamo migliorare nulla. Il mio obiettivo è quello di sedermi al tavolo con i sindacati ancora quest’anno. Se riusciremo realmente a farlo, sarà deciso in ultima analisi dalla Conferenza dei presidenti, l’organo di tutti i presidenti cantonali. Possiamo compiere progressi solo insieme, attraverso il dialogo con le parti sociali. Vogliamo rafforzare il settore e contribuire attivamente nel rappresentare le preoccupazioni dei nostri membri». Insomma, il nuovo presidente va in una direzione ben precisa. Lo stesso Massimo Suter, da noi intervistato nelle scorse settimane, sembrava temporeggiare: «È chiaro che discutere, avere un continuo scambio di opinioni, è importante. Lo è per il bene del settore. Con la nuova presidenza e la nuova struttura, c’è stata una sterzata verso sinistra da parte degli organi direttivi, per cui questa apertura ai sindacati non mi meraviglia. Non dico che il concetto sia sbagliato, non lo critico, ma insomma è giusto parlarne. E poi bisognerà vedere ciò che si deciderà, rispetto alle proposte di una parte e dall’altra».
L’evoluzione
Di sicuro c’è che il settore è in continua evoluzione. La pandemia ha contribuito a velocizzare alcune dinamiche, basti pensare all’entrata in scena dei servizi di consegna a domicilio. «Sì, è un canale di vendita in crescita, il che è positivo per il nostro settore. I servizi di consegna possono generare entrate aggiuntive per i ristoranti. In particolare, le soluzioni complete - piattaforma di ordinazione e servizio di corriere - possono essere interessanti per le aziende di catering: il ristorante si concentra sul core business della “cucina”, ma utilizza canali di vendita aggiuntivi e quindi riceve più ordini. Nel caso della consegna di cibo, il ristorante beneficia anche di un’aliquota IVA più bassa del 2,6%». Tuttavia, fa notare ancora il presidente di GastroSuisse, questi vantaggi sono compensati da sfide. «Il cibo deve essere adatto alla consegna e consegnato in tempo, anche nelle ore di punta, senza compromettere la qualità per l’ospite del ristorante. Anche le commissioni elevate per la consegna e la sensibilità al prezzo dei clienti limitano il margine». In tutti i casi, «il settore dell’ospitalità ha dimostrato tutta la sua resilienza e flessibilità. E così, molte aziende guardano al futuro con fiducia».