Il caso

L'aereo sul Monte Rosa e la tragedia sfiorata: «Solo la fortuna ha evitato un incidente fatale»

L'istruttore Aaron Rezzonico, esperto di volo in montagna, prova a ricostruire quanto accaduto sabato sul ghiacciaio: «La prudenza avrebbe dovuto portare chi era a bordo a prediligere una zona diversa o, meglio, a rinunciare all’atterraggio»
© Luca Calzone/Instagram
Marcello Pelizzari
28.04.2025 09:30

I fatti: sabato, un aereo è atterrato su uno dei ghiacciai del Monte Rosa, a pochi metri dagli scialpinisti intenti a salire verso il rifugio Capanna Margherita, seminando il panico fra i presenti. Uno di loro, Luca Calzone, ha filmato l'intera scena e, in seguito, ha pubblicato il video sui social: «Una manovra del genere sfiorando delle persone è follia, è veramente un gesto criminale, volontario. Per miracolo non è successo niente, ma avrebbe potuto esserci più di un morto». Una domanda, più di tutte, si impone: come è stato possibile? Riformuliamo: perché mai il pilota ha deciso di effettuare una manovra simile, in un contesto di per sé complicato, mettendo a serio rischio l'incolumità di chi, in quel momento, stava salendo verso il rifugio?

Una prima risposta, parziale, va ricercata negli atterraggi sui ghiacciai: non sono una rarità, anzi. Aaron Rezzonico, istruttore di volo, in questo senso è un esperto di volo in montagna. Lo abbiamo interrogato per capirne appunto di più. E per cercare un senso a quanto accaduto: «Faccio una premessa» dice. «Il volo in montagna è un’attività molto impegnativa, che richiede grande concentrazione ed esperienza. Non è una scienza esatta. L’errore umano, quindi, è una variabile importante. Sempre».

Durante la formazione dei piloti di montagna, un'estensione della normale licenza di volo, «bisogna eseguire numerosi voli e atterraggi» precisa il nostro interlocutore. Un minimo di 250 «prima di essere abilitati». Nel dettaglio, «si apprendono le nozioni e i segreti che riguardano l’incidenza della luce sulle superfici innevate, si studiano le molteplici forme nella quale può trovarsi la neve e si impara a valutare l’effetto del vento». E ancora: «Ci si allena a manovrare in spazi ristretti quali valli e gole e, naturalmente, ad atterrare e decollare su qualunque tipo di pendio. Una delle cose fondamentali che gli istruttori cercano di trasmettere è il rispetto degli altri utenti della montagna così come della fauna. Si impara così a non sorvolare gruppi di persone o animali selvatici e a cambiare preferibilmente zona proprio per evitare conflitti e potenziali incidenti. Il manuale di volo del quale sono autore (Flying and landing in a mountainous environment) e che viene largamente utilizzato in Svizzera per questa formazione contiene tutte queste nozioni fondamentali».

Nel caso specifico, ribadisce Rezzonico, «posso fare solo delle valutazioni sommarie ma occorre ricordare che la quota di quella zona oltrepassa abbondantemente i 4 mila metri». Un aspetto, questo, fondamentale, poiché «ha delle ripercussioni» non di poco conto. In particolar modo, «la potenza del motore ancora a disposizione è ridotta ai minimi termini». Il pilota, dunque, «potrebbe aver sottovalutato questo aspetto e di conseguenza aver dovuto affrontare una corsa di decollo molto più lunga di quanto stimato. Con il Trofeo Mezzalama in corso e la presenza di numerosissimi scialpinisti nella zona, sarebbe comunque stato auspicabile anche da parte degli organizzatori dell’evento informare l’Ufficio federale dell’aviazione civile, che avrebbe potuto emettere un’informazione ai piloti (NOTAM)».

Resta comunque sotto completa responsabilità del pilota, conclude l'esperto, «aver scelto di atterrare in quel luogo e in quelle condizioni. Una delle regole fondamentali è che il decollo non avvenga mai in direzione di ostacoli o persone, anche se non nelle immediate vicinanze. La prudenza avrebbe dovuto portare chi era a bordo a prediligere una zona diversa o, meglio, a rinunciare all’atterraggio. Solo la fortuna ha evitato un incidente che avrebbe potuto avere esiti fatali».