Marina Carobbio: «Una riforma non necessaria, l'AVS garantita anche in futuro»
Voi avversari della riforma AVS 21 sostenete che l’AVS stia meglio di quanto si dica, contestate le previsioni finanziarie ufficiali e relativizzate il problema demografico. Sulla base di quali elementi?
«Sulla base dei dati presentati dall’Amministrazione federale: nel 2021 l’utile dell’AVS era di 2,6 miliardi di franchi, ben più di quanto previsto, e il capitale dell’AVS corrispondeva a 49,7 miliardi. Alcuni mesi fa l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali ha rivisto le previsioni sulla base dell’andamento della produttività e dei salari, migliorando le stime per i prossimi anni. Non vi è quindi la necessità di proporre una riforma che prevede 7 miliardi di franchi di risparmio sulle spalle delle donne. Proprio mercoledì scorso il Consiglio federale ha approvato il rapporto sulle differenze di reddito tra donne e uomini, che mostra come la rendita complessiva annuale di tutti i pilastri della previdenza per la vecchiaia delle donne è del 35% inferiore a quella degli uomini. Un divario pensionistico che è addirittura aumentato negli ultimi anni. È qui che occorre agire, non peggiorare la situazione delle donne nel primo pilastro».
Il risultato positivo dell’ultimo biennio è condizionato anche dai 2 miliardi in più legati alla riforma fiscale delle imprese, il cui impatto benefico è destinato a svanire in pochi anni. Non state dipingendo una situazione fin troppo rosea?
«Non si tratta di dipingere una situazione troppo rosea, bensì di tener conto che, oltre al fattore demografico, ci sono anche altri elementi che incidono sull’andamento dell’AVS, come l’aumento della massa salariale e della produttività e una maggiore partecipazione delle donne al mondo del lavoro. È da oltre 20 anni che ci sono regolarmente esposti scenari catastrofici sul futuro dell’AVS. Previsioni che vengono regolarmente corrette e migliorate, proprio perché tengono conto di questi fattori, come avvenuto nel maggio scorso. Evidentemente, le stime sono anche influenzate da decisioni prese dal Parlamento, come nel caso della riforma fiscale che porta appunto 2 miliardi all’anno in più nelle casse dell’AVS».
Non vi fidate di un dipartimento a guida socialista e di un Ufficio delle assicurazioni sociali diretto da un ex consigliere nazionale PS?
«È una questione di ruoli, di come funziona il nostro sistema politico e soprattutto di come si valuta questa riforma, non di fiducia. Mi spiego: dopo il no alla Previdenza vecchiaia 2020, il Consiglio federale ha incaricato il consigliere federale Berset di presentare una riforma dell’AVS, quella sulla quale voteremo a breve. Il consigliere federale ha poi anche incaricato i partner sociali di presentare un compromesso per affrontare i problemi del secondo pilastro. Entrambe le riforme non possono essere valutate singolarmente, ma solo nel contesto delle importanti disparità a svantaggio delle donne, sia a livello salariale sia nel mondo del lavoro e anche per quanto attiene alle rendite pensionistiche. Una situazione che si aggiunge alla pressione sul secondo pilastro. Oltre a ciò non va dimenticata l’inflazione, che pesa sia sulle persone attive sia sui pensionati».


L’invecchiamento della popolazione e il pensionamento della generazione del baby-boom sono un dato di fatto. Secondo voi quest’ultimo ostacolo è solo transitorio? Come superarlo?
«L’evoluzione demografica è un fattore, certo. Ma nonostante il numero di attivi sia diminuito la massa salariale è aumentata e l’AVS è sempre stata in grado di garantire le rendite. Il numero di persone della cosiddetta generazione del “baby boom” che andrà in pensione diminuirà dopo il 2030-2032».
Secondo voi, quindi, dopo il no popolare a Previdenza 2020 (2017) un ulteriore responso negativo delle urne non metterebbe a repentaglio la solidità del primo pilastro?
«Sono convinta che l’AVS sarà garantita anche in futuro e che essa deve essere rafforzata perché per molte persone non è più sufficiente per vivere. Ancora oggi molte donne vivono solo dell’AVS e dipendono dalle prestazioni complementari. È irresponsabile peggiorare la situazione di donne che lavorano come cassiere o infermiere, per citare solo alcune categorie, e chiedere loro al contempo di lavorare un anno in più».
Con cosa finanziare però le rendite se ci sono sempre più pensionati che vivono più a lungo? I soldi della BNS, viste le ultime forti perdite semestrali, possono davvero essere una fonte certa e costante?
«L’aumento della produttività e la reale attuazione della parità salariale tra donne e uomini porteranno 800 milioni all’anno in più nelle case dell’AVS. Saranno parallelamente necessarie misure, come asili nido a prezzi accessibili, per permettere una maggiore partecipazione delle donne al mondo del lavoro. Ancora oggi molte donne interrompono la loro attività professionale o lavorano a tempo parziale per occuparsi dei figli. E se sarà necessario perché non pensare a una tassa sulle transazioni finanziarie a favore dell’AVS, come ha chiesto di approfondire il consigliere agli Stati del Centro Beat Rieder? Anche se può non sembrare il momento adatto, credo che in futuro si imporrà una seria riflessione per quanto riguarda il finanziamento dell’AVS tramite una parte degli utili della BNS».


Perché dite che un sì sarebbe il primo passo per l’aumento a 67 anni dell’età pensionabile per tutti? Una proposta simile sarebbe comunque oggetto di una nuova votazione popolare.
«Perché una proposta in questo senso è già davanti al Parlamento. Si tratta dell’iniziativa dei giovani PLR che chiede di aumentare l’età di pensionamento per tutti, donne e uomini. Inoltre, nell’ambito della riforma AVS21, il Parlamento ha detto chiaramente che entro il 2026 dovrà essere presentata un’altra riforma che affronti le “questioni strutturali”. È evidente che un sì alla riforma AVS21 il 25 settembre faciliterebbe un aumento generalizzato dell’età di pensionamento».
Sta di fatto che molti Paesi europei hanno già organizzato o stanno organizzando il sistema pensionistico in funzione della speranza di vita. Sbagliano?
«È sempre difficile paragonare i sistemi di assicurazioni sociali di diversi Paesi. La speranza di vita aumenta, ma non per tutti allo stesso modo. Per i redditi bassi e per chi fa lavori precari essa è più bassa. A ciò si aggiunge che un aumento dell’età di pensionamento porterà a un incremento del numero di disoccupati “anziani”. Già oggi, nonostante il calo della disoccupazione e dei posti vacanti in diversi settori, il numero di disoccupati più alto si registra nella fascia di età al di sopra dei 60 anni».
Dite che la riforma si fa sulle spalle delle donne, ma nel primo pilastro le donne non sono discriminate. Differenze semmai esistono a livello di LPP. Non siete fuori bersaglio?
«Ma proprio qui sta il punto. In questa campagna di voto, da parte dei fautori di AVS21 si fa sempre riferimento alla riforma del secondo pilastro, che - si dice - porterà a un miglioramento delle pensioni delle donne. Tuttavia non è ancora assolutamente chiaro se le pensioni delle donne saranno effettivamente migliorate con la riforma della LPP. Intanto però si propone di peggiorare la situazione delle donne nell’AVS. Ricordo che una donna su tre non ha accesso al secondo pilastro e quando hanno una rendita LPP, essa è solo la metà di quella versata agli uomini. Per chi lavora nei settori “tipicamente” femminili, le rendite del secondo pilastro si situano fra i 500 e gli 800 franchi al mese».


Lo Stato però prevede leggi e strumenti per cercare di contrastare le differenze salariali. Portando al limite l’argomento delle discriminazioni, le donne potrebbero rifiutarsi di pagare tutte le imposte.
«Strumenti che non sono ancora abbastanza efficaci e che devono essere rapidamente migliorati. Proprio il rapporto sul divario di genere, presentato mercoledì dal Consiglio federale e che citavo in precedenza, mostra come questo scarto salariale sia importante. La domanda che devono porsi le cittadine e i cittadini che andranno a votare è se la parità deve iniziare dall’aumento dell’età di pensionamento o se non sia più importante correggere prima le disparità di genere che esistono durante la vita attiva, a partire da quelle salariali. Ma non solo: globalmente le pensioni delle donne sono di un terzo inferiori a quelle degli uomini. E ora con AVS21 si chiede alle donne di lavorare un anno in più, pagare più contributi e perdere di fatto 1.200 franchi all’anno, ossia in totale 26.000 (24.000 per le coppie). Non si può certo parlare di una riforma equilibrata».
Che cosa risolverebbe dal profilo della parità salariale mantenere il pensionamento a 64 anni?
«Non posso che ripeterlo: un’effettiva parità salariale è nell’interesse di tutti, anche delle finanze dell’AVS: grazie a salari più alti e giusti, le donne pagheranno più contributi salariali e porteranno più di 800 milioni di franchi all’anno nelle casse dell’AVS».
Perché le misure di compensazione per la generazione di transizione (1961-1969) per voi sono insufficienti?
«Queste compensazioni non sono così generose come sembrano. Riguardano solo le donne che andranno in pensione entro i primi 9 anni dall’entrata in vigore della riforma. Inoltre, il supplemento di rendita massimo lo riceveranno solo 40.000 donne nate nel 1964 e nel 1965. Molte donne ci perderanno rispetto ad oggi. Faccio un esempio concreto: attualmente, una donna nata nel 1964 che ha un reddito di 60.000 franchi andando in pensione a 64 anni riceverà una rendita AVS di 2.046 franchi. Con AVS21, se questa donna vorrà andare in pensione a 64 anni, riceverà una rendita di 1.995 franchi».
Oltre alle donne, non pensate anche alle giovani generazioni (di entrambi i sessi)?
«Certo, è proprio anche nell’interesse delle giovani generazioni che dobbiamo rafforzare l’AVS, il cui rapporto costi-benefici è molto più favorevole anche per i giovani rispetto al risparmiare per il terzo pilastro».
Perché vi opponete anche all’aumento dell’IVA?
«L’aumento dell’IVA è legato a un peggioramento dell’AVS e viene portato avanti in un momento in cui i prezzi aumentano e i premi cassa malati esplodono».