«Milizia, un valore aggiunto nell'era della ciberdifesa»
Il dibattito sul finanziamento dell’esercito è fra i più accesi a livello federale. Ma basta dare più soldi per renderlo capace di rispondere alle enormi sfide che comporta l’attuale recrudescenza dei conflitti armati in Europa e nel Mediterraneo? E il nostro sistema di milizia è adeguato alle guerre in corso nell’era della ciberdifesa? Di questi temi il CdT ha parlato con il numero due dell’esercito, il comandante di corpo Hans-Peter Walser, che sarà a Lugano il 15 ottobre invitato da ARMSI, in occasione del decimo anniversario dell’Associazione.
L’esercito riceverà nei prossimi anni, entro il 2028, quasi 30 miliardi di franchi. Quattro miliardi in più di quanto proposto dal Consiglio federale. Bastano per rispondere alle enormi sfide dovute alle nuove tecnologie e a un mondo sempre più in preda a conflitti armati?
«Nel Rapporto ‘Rafforzare la capacità di difesa’, l’esercito svizzero ha indicato che per l’ammodernamento materiale occorrono 40 miliardi e 10 miliardi per le munizioni e le scorte. Prima avremo messo a disposizione questi mezzi finanziari e prima potremo raggiungere la capacità di difesa necessaria e auspicata».
In quali settori deve investire prioritariamente questi fondi? In quali oggi il nostro esercito risulta insufficientemente performante?
«Molti dei sistemi di cui si avvale l’esercito sono ormai o vecchi o vicini alla fine del loro sfruttamento. La pianificazione dell’esercito prevede, in una prima fase che costerà 13 miliardi, di rinnovare un terzo delle truppe di terra per poi svilupparne le capacità. In un secondo tempo intendiamo investire nella difesa dello spazio aereo medio e inferiore. Altri mezzi finanziari sono previsti per la sorveglianza dello spazio aereo e i trasporti aerei tattici. Tutto ciò può sviluppare i propri effetti solo se contemporaneamente promuoviamo la digitalizzazione e rafforziamo il settore Ciber».
Quando l’esercito sarà nuovamente e pienamente capace di difesa? Negli ultimi anni si è smantellato molto.
«Dipende primariamente da quanti soldi saranno messi a disposizione. Ma su questo alla fin fine decide la politica. Se devo esprimere il punto di vista dell’esercito, per noi le cose stanno così: più rapidamente ci vengono messi a disposizione i mezzi necessari e prima possiamo ristabilire e rafforzare la capacità di difesa del nostro Paese».
Nel 2012 la Commissione Milizia del Dipartimento della difesa ha pubblicato uno studio realizzato grazie alla consulenza di Mc Kinsey. Questo studio ha dimostrato che l’esercito di milizia svizzero comporta un importante beneficio per il nostro Paese. Lei sottoscriverebbe oggi quelle conclusioni?
«L’esercito svizzero produce sicurezza. E la sicurezza è un elemento basilare per tutto: per la nostra società, per la nostra convivenza e la nostra economia. Sono profondamente convinto che l’esercito di milizia fornisce al nostro Paese un grande valore aggiunto. Noi approfittiamo del fatto che giovani uomini e donne con eccellente formazione civile entrano a far parte dell’esercito. In cambio, noi ridiamo all’economia del nostro Paese giovani che dispongono di una formazione di quadri e in generale e soprattutto di un’esperienza pratica di gestione e di conduzione preziosa per le aziende. L’esercito svizzero svolge anche una preziosa funzione di integrazione sociale. In quale altro gremio uno studente di filosofia di Novazzano e un fabbro di Basilea si siedono attorno al medesimo tavolo e dialogano del più e del meno?».
Quanto costa la formazione nel nostro esercito di milizia? È un beneficio oppure solo un costo? Un esercito di professionisti non sarebbe meno dispendioso?
«Nel nostro esercito di milizia orientato alla difesa è difficile cifrare i costi della formazione separatamente. È tuttavia certo che un esercito di professionisti costerebbe molto di più. L’esercito svizzero approfitta durante la formazione del know how acquisito e di cui dispongono i militi. Inoltre, un esercito di professionisti, anche in numero ridotto e pagato male, genererebbe costi salariali di diversi miliardi di franchi. Sono inoltre convinto che in Svizzera un esercito permanente non sarebbe accettato per ragioni sociali e politiche».
Lei ha appena detto che l’esercito di milizia approfitta delle competenze civili dei soldati e degli ufficiali. Ma è davvero ancora così? Anche nell’era del digitale e della quarta rivoluzione industriale? E se sì, potrebbe farmi degli esempi?
«Posso assicurarle che è proprio così. A fortiori nell’era della cyberdifesa possiamo trarre beneficio dalle competenze della milizia. In questo campo lavoriamo in stretto contatto con l’industria privata. E comunque non si vive solo di digitalizzazione. Un’esercito del Ventunesimo secolo ha bisogno non solo di programmatori ma anche di meccanici o di cuochi: di militi che hanno competenze in svariati campi e che sono in grado di guidare dei carri armati o di svolgere il loro compito nella fanteria».
Oggi le guerre tradizionali sono condotte coi droni e quelle nuove con attacchi cyber. In questi campi non c’é bisogno soprattutto o soltanto di specialisti? Più che di soldati o ufficiali di milizia?
«Come detto, la forza dell’esercito di milizia consiste proprio nel fatto che si compone di specialiste e di specialisti. Esercitazioni condotte all’estero con gli eserciti di altri Paesi ci confermano che il nostro sistema di milizia è in grado di formare in poco tempo soldatesse e soldati che non temono la concorrenza nel confronto internazionale».
Robot guidati dall’intelligenza artificiale sostituiranno presto soldati in carne e ossa (di milizia o professionisti)?
«Effettivamente i droni giocano già un ruolo importante nei moderni conflitti armati. E anche l’importanza della robotica cresce. Per questa ragione l’esercito svizzero ha creato un centro di competenza in droni e robotica. Sono fattori aggiuntivi sul terreno, ma che non sostituiscono gli esseri umani. Le guerre, anche oggi, vengono condotte e vinte prioritariamente da soldatesse e soldati ben formati e ben equipaggiati».
Il consigliere nazionale Fabian Molina ha detto recentemente che il nostro esercito è un’associazione folcloristica. Lei cosa risponde a questa provocazione?
«Ho molto rispetto per le associazioni folcloristiche. Giocano un ruolo importante nel salvaguardare gli usi e costumi popolari del nostro Paese. Anche il nostro esercito ha come compito, e ha a cuore, la salvaguardia del nostro Paese e dei nostri valori comuni. Il paragone è fatto però per svilire l’impegno dei cittadini e delle cittadine che si impegnano nel servizio militare. Un impegno che non è un divertimento ma un servizio per la sicurezza del nostro Paese. Se necessario anche a costo della propria vita».