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Pigioni commerciali, legge silurata anche dagli Stati

Dopo il «no» espresso dal Nazionale, oggi anche la Camera alta ha respinto la soluzione federale volta a sgravare gli affitti degli esercizi commerciali per il periodo di chiusura forzata della scorsa primavera
© CdT/Chiara Zocchetti
Ats
02.12.2020 11:58

Non ci sarà alcuna soluzione federale volta a sgravare gli esercizi commerciali dalle pigioni per il periodo durante il quale sono dovuti restare chiusi a causa del lockdown della scorsa primavera.

Dopo il «no» alla legge espresso lunedì dal Consiglio nazionale, oggi il Consiglio degli Stati ha respinto l’entrata in materia per 30 voti a 14 sul progetto del Consiglio federale, elaborato in risposta a due mozioni simili trasmesse dalle Camere federali. Con questo voto, il disegno di legge è definitivamente archiviato.

Il progetto

Il progetto del Consiglio federale, elaborato sulla base delle mozione adottate in giugno dal parlamento, prevedeva che i gestori di esercizi commerciali avrebbero pagato «solo» il 40% della pigione dovuta per tutto il periodo di chiusura forzata decisa in primavera dal governo. Tale soluzione sarebbe stata valevole fino a un tetto massimo di 20 mila franchi di affitto mensile. Per chi ha dovuto solo ridurre l’attività, questa soluzione si sarebbe applicata per due mesi al massimo.

Per le pigioni comprese tra 15 e 20 mila franchi, le parti - affittuario e proprietario - avrebbero potuto decidere di non applicare il disciplinamento. Eventuali accordi già conclusi tra le parti sarebbero restati inoltre validi. La legge prevedeva anche che i locatori avrebbero potuto chiedere un’indennità alla Confederazione nei casi di rigore.

Costituzionalità in forse

Il plenum ha seguito la raccomandazione della sua commissione preparatoria. La maggioranza del plenum ritiene che questa legge intervenga inopportunamente retroattivamente nei rapporti contrattuali privati e potrebbe creare una grande incertezza giuridica. Insomma, si tratta di un attacco ad alcuni principi costituzionali, come la non retroattività, o la sicurezza della proprietà.

Un’opinione condivisa anche dal consigliere federale Guy Parmelin, il quale ha ricordato che il Consiglio federale si è messo al lavoro solo perché glielo ha chiesto il parlamento, ma di aver sempre espresso scetticismo per una norma che s’insinua nei rapporti di diritto privato.

Pur essendo preoccupato per la seconda ondata e per le ripercussioni sull’economia, il ministro dell’economia ha rammentato che esiste pur sempre la possibilità per le parti coinvolte di mettersi d’accordo o di ricorrere alla legge Covid-19 per i casi di rigore: A tale riguardo, il governo ha promesso di stanziare un miliardo di franchi.

Meglio soluzioni su misura

Oltre a ciò, diversi Cantoni hanno elaborato soluzioni ad hoc per risolvere questo problema, segno che è sempre possibile trovare soluzioni tagliate su misura per realtà diverse. Parmelin ha anche sottolineato che la proposta all’esame rischia di violare il principio di uguaglianza, sia perché farebbe pagare maggiormente i proprietari, sia perché non include i gestori di commerci proprietari del loro locale che devono continuare a pagare gli interessi ipotecari e gli altri costi, senza godere di alcun vantaggio.

Un’opinione, quest’ultima, difesa anche da Brigitte Häberli-Koller, secondo cui proprio quest’ultima categoria di imprenditori rischia di essere penalizzata. Secondo Thomas Minder (indipendente/SH), anche in situazioni eccezionali lo Stato non può fare ciò che vuole; nei rapporti di diritto privato deve rimanere neutrale. Ogni intervento dello Stato nella libertà contrattuale è «tabù».

Per Daniel Fässler (PPD/AI), dallo scorsa primavera, ossia da quando praticamente tutte le attività economiche sono rimaste chiuse su ordine del Consiglio federale per arginare la pandemia, la situazione è migliorata. In molti casi, proprietari e pigionanti hanno potuto mettersi d’accordo. I primi ad avere interesse a una soluzione amichevole sono proprio i proprietari di locali e immobili, ha aggiunto.

Ci vuole coerenza

Nella sua articolata prolusione, Carlo Sommaruga (PS/GE) ha accusato i contrari di poca coerenza dopo che molti di essi avevano accolto la mozione in giugno sfociata nel progetto governativo. Insomma, bisogna andare fino in fondo, anche perché ci sono migliaia di persone che non hanno ancora trovato un accordo con i proprietari e che attendono impazienti una risposta dalla politica.

Addentrandosi negli anfratti giuridici più problematici, Sommaruga ha sostenuto che le opinioni in materia, ossia circa l’intromissione nei rapporti di diritto privato e nel principio di non retroattività o del rispetto della proprietà, le opinioni sono assai disparate. Le riduzioni di affitto, ha spiegato, sono quasi sempre retroattive, giacché un giudice decide sempre ex post.

Oltre a ciò, una legge nazionale è benvenuta poiché finora solo 7 cantoni, soprattutto romandi, hanno escogitato una soluzione che metta d’accordo locatori e locatari. Per il «senatore» ginevrino si tratta anche di una questione di giustizia: la soluzione federale costerebbe ai proprietari 212 milioni di franchi, a fronte di perdite per gli affittuari per mancati ricavi pari a circa 3,7 miliardi.

Un voltafaccia

Anche nel suo intervento Christian Levrat (PS/FR) ha dichiarato di non capire il voltafaccia dei colleghi contrari alla legge, un comportamento che demoralizza i molti gestori di esercizi commerciali in difficoltà. Per il friburghese si tratta di un segnale di grande debolezza a fronte invece di quei cantoni che hanno scelto di agire. A suo avviso non è giusto privilegiare la rendita immobiliare a scapito del lavoro.

Piccato per quest’ultima considerazione, Charles Jullliard (PPD/JU) ha rispedito al mittente le accuse, sottolineando che Parlamento e Governo hanno messo a disposizione miliardi per salvare il maggior numero di impieghi. Certo, ha ammesso, non per tutti è stato possibile trovare una soluzione amichevole, ma per questo sono a disposizione fondi per i cosiddetti casi di rigore e le soluzioni cantonali.

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