Quando Swissair rimase a terra
Mario Corti aveva lottato. Contro il tempo. Contro i capricci delle banche e i tentennamenti del Consiglio federale. L’amministratore delegato aveva lottato, sì. Con tutte le sue forze. Come un leone ferito. Attorno a lui, però, si era scatenato il caos. Equipaggi e voli bloccati; passeggeri in rivolta a Kloten; creditori sul piede di guerra. I soldi per tenere in vita Swissair, semplicemente, erano finiti. Ne servivano, all’istante, una vagonata. Nessuno sembrava disposto a concederli. Chiamato al capezzale della compagnia solo pochi mesi prima, Corti visse quel 2 ottobre 2001 attaccato al telefono. Aggrappato a promesse e accordi. Alla speranza di salvare capra e cavoli dopo anni di decisioni e strategie scellerate. Di riuscirci nonostante un debito massiccio, accentuato dall’11 settembre. Di ripartire grazie a UBS e Credit Suisse. Grazie a Crossair, sorta di figliastro ribelle. L’ultima chiamata, poco dopo le tre e mezza, fu la più difficile. «Interrompete le operazioni di volo» disse. Silenzio. Assordante. Eccolo, il cosiddetto grounding. La storia di come un martedì qualunque si trasformò nella tomba dell’aviazione svizzera. Di come un simbolo dei cieli e di un’intera nazione rimase a terra.
Un pensionato (quasi) felice
«Molto è stato detto e scritto in questi vent’anni» spiega, oggi, Corti. Lo abbiamo raggiunto negli Stati Uniti, dove vive e, si mormora, continua a volare come pilota privato. Quando è lassù, fra le nuvole, l’emozione è ancora fortissima. «È un miracolo, è il trionfo dell’uomo sulla natura» ripete. L’allora amministratore delegato di Swissair, nel 2021, è un uomo che ha trovato la pace interiore. Non era evidente, dopo le settimane concitate che portarono al grounding. E dopo il lungo iter processuale, «di cui conoscete il risultato», apertosi in seguito al fallimento del vettore e conclusosi, per gli ex dirigenti e i membri del consiglio di amministrazione di SAirGroup, dopo diciotto anni e varie cause intentate. «Sul fronte penale – prosegue Corti – sono stato completamente assolto da tutte le accuse. A livello civile, nessuna delle numerose cause del liquidatore ha avuto successo. L’ultima sentenza della Corte Federale è stata emessa alla fine del 2019, più di diciotto anni dopo il grounding».
«Mi avete cercato in tanti» dice. E qui, beh, il ricordo si ferma. Corti ci rimanda a vecchie interviste. «Dopo tutto quello che ho vissuto, non vi sorprenderà sapere che il mio desiderio di parlare di nuovo pubblicamente è limitato» chiarisce. «Oggi sono in pensione e non c’è molto altro da dire».
Ma dove sono i soldi?
La nostra mente ritorna lì, a quel maledetto martedì. Nero, nerissimo. «Afferra i tuoi sogni prima che scivolino via» cantava Mick Jagger in Ruby Tuesday. «Non è scortese la vita?». Un sogno lungo settant’anni morì fra le mani dell’amministratore delegato, lungo una giornata nata male e finita pure peggio. Corti si sedette nel suo ufficio, il volto e il corpo affaticati, la fronte madida di sudore e gli occhi lucidi. Quando spense le luci e andò a casa, ai suoi impiegati disse: «Scusatemi». Gli venne riconosciuto l’onore delle armi, dall’opinione pubblica e sul fronte legale. Uscì di scena con una convinzione: il grounding si sarebbe potuto evitare. Dovuto, anche. D’altronde, lo stesso Corti avvisò le banche: l’annuncio della moratoria concordataria, il 1. ottobre, avrebbe alzato di colpo le richieste di liquidità per l’indomani. «Non credevo mi sarei trovato a chiedere soldi in ginocchio» dichiarò allora. Ma i due giganti bancari del Paese rimasero immobili, l’anticipo tanto atteso non arrivò. Quel 2 ottobre, Corti aveva riserve sufficienti per garantire appena le operazioni del mattino: 4,2 milioni di franchi. Per portare a termine una giornata normale ne sarebbero serviti 17, ma con i creditori alla porta la cifra si era alzata vertiginosamente: di milioni, beh, ne servivano 150. Subito.
Gli equipaggi sparsi per il mondo si ritrovarono con le carte di credito bloccate. Alcuni vennero perfino sbattuti fuori dagli hotel. A tutti, da Kloten, fu ordinato di tornare alla base in un qualche modo. Diverse compagnie offrirono passaggi gratuitamente, altre (come Crossair) chiesero di farsi pagare per il disturbo. 262 voli vennero cancellati e 19 mila passeggeri si videro costretti a trovare piani alternativi. Il Consiglio federale bacchettò UBS e Credit Suisse. «Non si può distruggere un simbolo così» tuonò Kaspar Villiger.
Il grounding proseguì il 3 ottobre, con 470 voli cancellati e 39 mila passeggeri coinvolti. Berna decise di iniettare nella compagnia, oramai morta, 450 milioni di franchi per riprendere le operazioni. Il 4 ottobre Swissair riguadagnò l’aria con un programma ridotto al 30%. A terra, invece, a tenere banco era la telenovela fra le banche e Corti, con in mezzo il patron di Crossair Moritz Suter.
Un’intesa fra UBS e Credit Suisse, con la regia del Consiglio federale, venne infine trovata. L’operazione Phoenix, proprio quella. Il rilancio dell’aviazione svizzera tramite una nuova compagnia, nata sulla base di Crossair e ribattezzata Swiss. L’ultimo volo targato Swissair, sigla SR145 in provenienza da San Paolo, atterrò il 1. aprile del 2002 a Kloten. La fine di un’epoca. E di una serie di appellativi che il vettore si era guadagnato negli anni. Uno su tutti: la banca volante.
Galeotta fu l’Europa
Ma perché quella banca volante, all’improvviso, si ritrovò senza soldi e prospettive? Il destino, triste, cui è andata incontro la compagnia è legato a doppio filo alla liberalizzazione dei cieli voluta dall’Unione europea, avviata nel 1983. Trovatasi in una posizione di svantaggio, tarpata dalla bocciatura popolare all’adesione allo spazio economico europeo del 1992, Swissair reagì stringendo e creando alleanze. Una fusione con KLM, SAS e Austrian naufragò per i troppi campanilismi. Il passo successivo fu la strategia Hunter, che nelle intenzioni avrebbe dovuto permettere al vettore di creare un proprio sistema globale di trasporto aereo. Nacque il gruppo SAir e, quasi contemporaneamente, nacquero i problemi. Quasi tutti i partner nei quali Swissair aveva investito lamentavano problemi finanziari. Il quadro generale si complicò con il disastro di Halifax, mentre il disavanzo, nel 2000, sfiorò i tre miliardi di franchi. Il collasso del traffico aereo in seguito all’11 settembre accelerò la caduta. Fino a quella frase: «Interrompete le operazioni di volo».