Il caso

Quella «guerra del cioccolato» tra il Piemonte e la Lindt

La regione italiana vuole ottenere la denominazione di Indicazione geografica protetta per il gianduiotto — Ma il gruppo svizzero si oppone e chiede che vengano fatte alcune modifiche alla ricetta originale
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Federica Serrao
09.11.2023 20:30

La Svizzera e il cioccolato. Il cioccolato e la Svizzera. Un po' in tutto il mondo, il nostro Paese è conosciuto per essere la patria del buon cioccolato. Cailler, Frey, Toblerone e Lindt, solo per menzionarne alcuni, sono tra i produttori elvetici più noti e apprezzati, anche al di fuori dei confini. Ma proprio Lindt, negli ultimi tempi, è finita sotto i riflettori per quella che molti definiscono «la guerra del cioccolato». Una guerra che l'azienda svizzera sta combattendo con la vicina regione Piemonte, per la ricetta del gianduiotto. Vediamo, nel concreto, di cosa si tratta. 

Tutto ha origine in Piemonte. Regione che, da qualche tempo, sta lottando insieme a Comitato del gianduiotto IGP, per far sì che il cioccolatino in questione ottenga la denominazione di Indicazione geografica protetta. Denominazione che viene attribuita dall'Unione Europea ai prodotti agricoli alimentari di alta qualità, strettamente legati a un territorio di origine. Il prerequisito fondamentale per ottenere la denominazione IGP prevede infatti che almeno una parte della produzione, della lavorazione o della preparazione del prodotto avvenga nella località originaria, a cui si vuole attribuire il riconoscimento. Fin qui, nulla di strano. Ma, a quanto pare, Lindt avrebbe deciso di incrociare le braccia, frenando Piemonte e comitato e proponendo, addirittura, di modificare la ricetta del gianduiotto.

Ma andiamo con ordine. Cosa c'entra Lindt in questa faccenda? Per capirlo è doveroso ripercorrere i passaggi che, in Italia, consentono a un prodotto di ottenere la denominazione IGP. Per prima cosa, la certificazione deve essere approvata dalla regione da cui proviene il prodotto, in seguito dal ministero dell'Agricoltura e della Sovranità alimentare e, in ultimo, anche dalla Commissione Europea. Nel caso del gianduiotto, la prima richiesta presentata alla Regione Piemonte dal Comitato del gianduiotto di Torino IGP arrivò nel marzo del 2022, e venne accolta lo scorso settembre dal presidente regionale Alberto Cirio. Ottenuto il primo via libera, la richiesta era quindi stata inviata al ministero dell'Agricoltura e della Sovranità alimentare. Ed è qui, insomma, che sono iniziati i problemi. 

Durante la fase di consultazioni con le associazioni di categoria e le aziende coinvolte, ha fatto capolino anche la Lindt, in qualità di produttrice di gianduiotti con il marchio Caffarel. Vale a dire, la storica azienda piemontese a cui si riconosce la paternità della ricetta del gianduiotto, che sarebbe avvenuta più di 150 anni fa, ne 1865. Acquisita poi, nel 1997, proprio da Lindt & Sprüngli che ora, va da sé, hanno voce in capitolo nella vicenda. E non hanno tardato a dimostrarlo. 

Col latte e con meno nocciole

Durante le prime consultazioni, il gruppo svizzero ha quindi presentato una serie di richieste che non solo si opporrebbero alla richiesta piemontese, ma addirittura ne modificherebbero la ricetta originale. Innanzitutto, Lindt propone di preparare i gianduiotti aggiungendo del latte in polvere. Un ingrediente che non viene utilizzato nella ricetta originale, pur essendo diventato abbastanza frequente in molte preparazioni. A seguire, l'azienda chiede anche di abbassare la percentuale minima di nocciole utilizzate dall'attuale 30% al 28%. Richieste che al Piemonte e al Comitato, come si può ben immaginare, non sono piaciute per niente. 

Secondo i media italiani, la Lindt avrebbe iniziato questa «guerra» per ragioni puramente economiche. Una sensazione confermata anche da Antonio Borra, avvocato del Comitato del gianduiotto di Torino IGP. «Oggi il gianduiotto vale 200 milioni di euro all'anno. Un gruppo svizzero non può far naufragare un progetto europeo», ha dichiarato Borra. La questione, tuttavia, è stata presa molto seriamente ed è stata affrontata anche dal commissario europeo per l'Agricoltura, Janusz Wojciechowski, e da Giorgio Calabrese, medico specializzato in Scienza dell’alimentazione e presidente del Comitato nazionale per la sicurezza alimentare, che ha dichiarato di voler portare la faccenda in sede ministeriale.

Un passo indietro?

Tuttavia, nelle scorse ore, il gruppo svizzero ha inviato un comunicato stampa in cui specificava che Caffarel non si oppone alla proposta di IGP, ribadendo piuttosto la volontà di «identificare un accordo di valore», con l'auspicio che si possa giungere a una soluzione «comune» che accontenti tutte le parti coinvolte. Una mossa che è stata vista come un passo indietro rispetto a quanto comunicato inizialmente, ma che ancora non risolve la questione. 

Ma cosa potrebbe succedere, dunque, concretamente, se Lindt dovesse continuare a «mettere i bastoni fra le ruote» al Piemonte? Tutto sta nelle mani dell'Unione Europea. L'ultima a dover essere interpellata nella faccenda, ma il cui voto sarà decisivo. Qualora decidesse di approvare la richiesta, classificando la ricetta piemontese del gianduiotto come unica «tradizionale», Piemonte e Comitato riuscirebbero a ottenere la denominazione IGP. A quel punto, Lindt (e come lei altre aziende) potrebbero continuare a produrre il cioccolatino usando ingredienti diversi, ma non potrebbero inserire la denominazione IGP sui prodotti in questione. E dunque, il cioccolatino della storica Caffarel, il gianduiotto «per eccellenza», finirebbe per non essere considerato un prodotto IGP.