Se l'attivista anti-Putin resta ai margini del Forum di Davos
Finanziere, attivista anti-Putin, frequentatore abituale del (discusso) World Economic Forum di Davos. Parliamo di Bill Browder, amministratore e co-fondatore del fondo Hermitage Capital Management. Ne parliamo perché, dopo 27 anni di militanza, a questo giro non parteciperà al citato Forum. Il motivo? Una disputa sul biglietto di ingresso: l’organizzazione voleva addebitare a Browder 250 mila dollari, oltre il triplo di quanto pagava le altre volte. Tanto, troppo evidentemente. Anche per chi, va da sé, avrebbe tutti i mezzi per garantirsi l’accesso.
«È vero – ha detto il diretto interessato – il Forum di suo era già molto costoso, ma ho sempre pagato». Proprio per poter «sfidare» i russi dallo stesso palco. Browder, in ogni caso, sarà a Davos. Dove sosterrà, a modo suo, l’attivismo anti-Putin. Motivo per cui, ha ribadito, si sarebbe aspettato un ingresso gratuito da parte dell’organizzazione, in quanto attivista per i diritti umani.
Le parole del WEF
Il portavoce del Forum, Adrian Monck, ha risposto a una sollecitazione di Semafor in tal senso. Specificando che Browder, in passato, ha sempre preso parte alla kermesse davosiana quale amministratore delegato di Hermitage. E che, soprattutto, i biglietti gratuiti vengono riservati per persone con «risorse notevolmente inferiori».
Qualunque fosse la sua veste, va detto che Browder a Davos ha spesso sollevato questioni ignorate dai più, in particolare nel mondo economico: la presenza, ingombrante, di governi autocratici se non dittatoriali. Governi capaci di fare rete con imprese che, tradizionalmente, popolano il Forum.
Prima della guerra, ad esempio, il finanziere-attivista ha osservato come il World Economic Forum fosse piuttosto aperto (eufemismo) ai leader russi. Offrendo, parallelamente, una piattaforma per promuovere gli investimenti nella Federazione Russa.
Nel 2011, leggiamo, Browder ha affrontato a muso duro l’allora vice primo ministro russo Igor Shuvalov durante una sessione pubblica. Browder conosce molto bene la Russia: c’è stato un periodo in cui era il più grande investitore straniero nel Paese. Proprio per questo ha sempre diffidato di chi, come i funzionari governativi, ha sempre promosso la Federazione come un investimento affidabile e sicuro. Credibile, anche. Ha sempre diffidato perché, banalmente, in Russia era diventato la vittima di un piano di corruzione e, ancora, aveva visto il suo avvocato arrestato, torturato e ucciso.
La Russia? Non c'è
Quest’anno, complice la guerra, al World Economic Forum non ci saranno oligarchi, imprese e corporazioni russe. Né tantomeno leader politici. Nessuno. Addio, fra le altre cose, alle famose feste di Oleg Deripaska fra magnum di Dom Perignon e tonnellate di caviale. Anche Browder, però, rimarrà ai margini del Forum.
Il che, come detto, non significa che il finanziere-attivista non si darà da fare. Anzi, questa settimana organizzerà degli incontri per ribadire che i 350 miliardi di dollari della Banca Centrale russa attualmente congelati dovrebbero essere dati all’Ucraina.
Nonostante la Russia, nel frattempo, sia considerato un paria internazionale, le denunce di Browder non sembrano fare la felicità dell’organizzazione di Davos. A proposito di denunce, il finanziere ha dedicato due libri al complesso e strutturato schema di corruzione all’interno della Russia. Uno schema che aveva coinvolto (e travolto) anche altri Paesi, Stati Uniti compresi. Parliamo di Red Notice e Freezing Order.
Il Magnitsky Act
Browder, da anni, è uno degli obiettivi principali del Cremlino. Putin in persona lo rivorrebbe in Russia per, ha spiegato più volte, consegnarlo alla giustizia. Il finanziere, per praticità e protezione, ha rinunciato alla cittadinanza americana per abbracciare quella britannica. Le sue visioni sulla Russia hanno ispirato più di un giornalista occidentale, a cominciare da David E. Hoffman, già caporedattore dell’ufficio di Mosca del Washington Post, mentre nel 2019 Browder aveva contestato pubblicamente un reportage dello Spiegel sulla morte di Sergei Magnitsky, l’avvocato citato in precedenza. La cui morte, nel 2009, provocò forti tensioni nei rapporti internazionali tra la Russia e gli Stati Uniti: il Congresso americano reagì approvando, nel 2012, il cosiddetto Magnitsky Act, che istituiva una «lista nera» di ufficiali russi coinvolti nella gestione del caso e comunque in violazioni dei diritti umani; l’amministrazione Putin, per contro, reagì vietando le adozioni di bambini russi da parte di cittadini statunitensi. In quel frangente, il tribunale di Mosca ritenne comunque necessario riunirsi e, in netto contrasto con un diffuso principio del diritto penale, pronunciò sentenza di condanna per frode fiscale contro il defunto.