Anniversario

Suffragio femminile: «C’è l’intera evoluzione della società dietro questo diritto»

A cinquant’anni dall’ottenimento del diritto di voto e di eleggibilità ripercorriamo i motivi che hanno portato a quel «sì» nel 1971
©KEYSTONE/PHOTOPRESS-ARCHIV/Joe Widmer
Leila Bakkers
07.02.2021 13:07

Oggi, festeggiamo i 50 anni dall’ottenimento del diritto di voto e di eleggibilità delle donne svizzere. Ma perché questo diritto in Svizzera è arrivato così tardi? La storia del suffragio femminile porta con sé i motivi di un simile ritardo. A parlarne, ai microfoni della Tribune de Genève, è la professoressa ordinaria di storia transnazionale della Svizzera all’Università di Ginevra, Irène Herrmann che non ha dubbi: «C’è l’intera evoluzione della società dietro l’ottenimento di questo diritto».

Cinquant’anni fa qualcosa è cambiato

Iniziamo ritracciando i principali passi che compongono la storia del suffragio femminile in Svizzera. È il 7 febbraio 1971 quando gli uomini svizzeri accordano alle donne il diritto di voto e di eleggibilità. La Svizzera arriva 78 anni dopo la Nuova Zelanda. 26 anni dopo l’Italia. Alle donne questo diritto è concesso 123 anni dopo rispetto agli uomini, che lo ottennero nel 1848 (e in questo caso la Svizzera si dimostro all’avanguardia a livello europeo e mondiale).

Fino al 1971 quindi, a livello federale, le donne non avevano diritti politici: erano considerate come minorenni. Tra i cantoni, qualcuno aveva già concesso il diritto di voto alle donne: il primo fu il canton Vaud, nel 1959, seguito a ruota da Neuchatel. Sempre tra i primi (fu il sesto in Svizzera), anche il Ticino, nel 1969. Fanalino di coda, lo sappiamo, Appenzello Interno, che concesse il diritto di voto alle donne solo nel 1990, su ordine del Tribunale federale, appena sette mesi dopo aver rifiutato ancora una volta il proposito nel corso dalla Landsgemainde.

Eppure le rivendicazioni non hanno atteso tanto: già dall’ultimo terzo del XIX secolo le donne si radunano in assemblee ed associazioni e si uniscono nella lotta per ottenere il diritto di voto.

In molti Paesi le donne hanno ottenuto il diritto di voto a seguito delle guerre mondiali: come una sorta di riconoscimento per il loro ruolo e l’impegno profuso durante gli anni di conflitto

Il diritto di voto e la percezione elvetica

Come mai così tardi in Svizzera, dunque? «Gli ostacoli sono legati al funzionamento del diritto di voto in Svizzera», spiega Herrmann. «In molti Paesi le donne hanno ottenuto il diritto di voto a seguito delle guerre mondiali: come una sorta di riconoscimento per il loro ruolo e l’impegno profuso durante gli anni di conflitto, quando gli uomini erano al fronte». In Svizzera, la guerra non ha però lasciato gli stessi segni. «La Confederazione ha sì mobilitato molti uomini durante i conflitti mondiali: questi hanno avuto il ruolo di presiedere le frontiere. Non sono però stati costretti a recarsi al fronte e non sono morti sotto le armi. Questo, sul piano politico, ha contribuito a ravvivare un’antica idea secondo cui avessero di voto coloro che difendono il bene comune, ossia i soldati, meritevoli di aver tutelato la patria», dice la professoressa.

Nel ‘57, viene spesso rammentato parlando del suffragio femminile, si introdusse la possibilità di associare la figura femminile alla difesa civile della patria. Questo permise ai sostenitori del diritto di voto alle donne di confutare l’argomento che aveva finora legato questo stesso diritto alla tutela del territorio nazionale: se le donne vi partecipavano, non c’era più ragione di negare loro il diritto di voto. Le autorità federali quindi nel 1959 si videro costrette a rimettere in discussione l’argomento proponendo questo proposito ai cittadini. Il no, lo sappiamo, fu secco: il 66,9% degli uomini aventi diritto respinse il suffragio femminile.

Al loro posto sono invece arrivati uomini più giovani, abituati a vedere la donna assumere ruoli sempre più importanti anche sulla piazza economica

«Un cambio di generazione provvidenziale»

Ma cosa è cambiato nei 12 anni successivi per trasformare quel 66,9% di contrari, in un sì schiacciante, nel 1971, quando il voto alle donne fu accolto con il 65,7% di sì contro il 34,3% di no? «Ci fu un cambio generazionale, se così possiamo dire», dichiara Herrmann. «Parte di quelli che avevano votato contro nel 1959 - cioè coloro che avevano difeso le frontiere durante le guerre - sono venuti meno, per ragioni fisiologiche di invecchiamento della popolazione. Al loro posto sono invece arrivati uomini più giovani, abituati a vedere la donna assumere ruoli sempre più importanti anche sulla piazza economica». Anche a livello internazionale la situazione evolve: «Nel 1971 ci sono anche molti più Paesi esteri che hanno accordato il voto alle donne e tra questi, soprattutto, ci sono Paesi che nell’immaginario elvetico sono considerati in qualche modo sottosviluppati. Si crea quindi un’immagine contrastante della Svizzera: da un lato quella di un Paese all’avanguardia che già nel 1848, prima di molti altri, aveva concesso il diritto di voto ai suoi cittadini maschi, e dall’altro quella invece di un Paese che si ritrova ad inseguire gli altri sul suffragio femminile»

Concedere il diritto di voto alle donne mostrava quindi che la Svizzera non era quel piccolo paese conservatore e ripiegato su se stesso, come veniva dipinto

L’immagine internazionale della Svizzera conta

Un ruolo poco considerato, ma tuttavia rilevante secondo Herrmann, lo giocò anche la reputazione della Confederazione a livello internazionale. «Le autorità elvetiche in quegli anni volevano sottoscrivere la Convenzione europea dei diritti umani», racconta la titolare della cattedra di storia trasnazionale della Svizzera, aggiungendo: «Questa convenzione prevedeva però che gli Stati-membro avessero accordato il diritto di voto alle donne. Si era comunque considerato di fare un’eccezione per la Svizzera, ma diventava sempre più complicato sostenere una simile adesione». L’iniziativa Schwarzenbach fu un altro aspetto determinante: «Quest’iniziativa, mai accolta dal popolo, fu presentata nel 1970 e chiedeva che fosse fissato un tetto massimo per la presenza di stranieri in Svizzera. Il testo ha rischiato di essere accolto in votazione e a livello internazionale gravò moltissimo sulla reputazione del Paese, passando come un chiaro segno di xenofobia della Svizzera. Il danno di immagine non fu indifferente sebbene l’iniziativa non fosse stata accolta dal popolo. Concedere il diritto di voto alle donne mostrava quindi che la Svizzera non era quel piccolo paese conservatore e ripiegato su se stesso, come veniva dipinto».

Nel corso degli anni 60, la rivendicazione di diritti con proteste e manifestazioni si fece via via più frequente a livello internazionale

«Le proteste, una forma di richiesta meglio accettata»

Altro fatto da considerare per Herrmann è la veemenza della richiesta. «Si è iniziato a rivendicare il diritto di voto in modo molto pacato, chiedendo gentilmente che fosse accordato», dice. «Man mano però la domanda si fece sempre più insistente e feroce, portando con se a tratti le caratteristiche della protesta. Ne è conseguito un rifiuto che stava a significare: “Se non siete in grado di chiedere civilmente questo diritto non siete mature per ottenerlo”. Nel corso degli anni 60, tuttavia, la rivendicazione di diritti con proteste e manifestazioni si fece via via più frequente a livello internazionale. Fu una modalità adottata anche per sostenere altre cause e venne pian piano accettata come segno di una solida volontà anziché come una mancanza di responsabilità o rispetto da parte di chi la metteva in atto. Anche questo ha permesso alle donne di far valere la loro richiesta».