«Svizzera nel Consiglio di sicurezza ONU? Successi, ma anche limiti»
Giunge al termine il mandato della Svizzera quale membro non permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. In questi suoi due anni ha conseguito dei successi, ma è stata pure confrontata alla realtà dei limiti imposti dalle grandi potenze.
Il Consiglio federale anticipa un bilancio ufficiale e dettagliato all'inizio del nuovo anno. Nel frattempo l'ambasciatrice svizzera presso l'ONU a New York Pascale Baeriswyl torna sulla seconda presidenza di turno elvetica del Consiglio, lo scorso ottobre. Un periodo molto intenso, con gli attacchi israeliani in Iran e in Libano che sono venuti ad aggiungersi ai conflitti nella Striscia di Gaza, in Ucraina e in Sudan. Diversi paesi si sono congratulati con la Svizzera.
«Abbiamo cercato di gestire tutto ciò e siamo riusciti - ne sono orgogliosa - a riunire il Consiglio diverse volte», afferma la Baeriswyl all'agenzia Keystone-ATS. «Ad esempio su una dichiarazione di sostegno all'UNIFIL, la Forza di interposizione in Libano delle Nazioni Unite, dopo che sono state colpite svariate postazioni dei caschi blu.» L'ambasciatrice aggiunge che «i membri eletti e quelli permanenti hanno apprezzato la calma che la Svizzera ha apportato ai dibattiti.»
In due anni la Confederazione ha partecipato a circa 810 riunioni dell'organo più potente delle Nazioni Unite. Ha promosso o co-diretto sette risultati concreti, tra cui quattro risoluzioni; tra queste figurano due testi in ambito umanitario - uno dei temi su cui più ci si aspettava dalla Svizzera - tra cui una sulla protezione del personale umanitario e dell'ONU. Essa ha anche contribuito al rinnovo di missioni politiche.
Ad eccezione della Russia in relazione al vertice sull'Ucraina dello scorso giugno sul Bürgenstock (NW), Berna ha subito poche critiche quanto alla sua neutralità. Mosca è anche stata l'unica a declinare un invito ai membri del Consiglio di venire a Ginevra. La Svizzera ha invece attirato critiche soprattutto per la sua posizione sul Medio Oriente: in particolare la decisione di astenersi sul riconoscimento di uno Stato palestinese è stata presa di mira da diverse organizzazioni non governative (ONG).
Una riunione recente tra esperti, tenutasi sotto la copertura dell'anonimato, ha concluso che la Confederazione ha ottenuto dei successi, ma con certi limiti. L'opinione comune è che la politica di pace della Svizzera sia stata rafforzata.
Le ricercatrici Lucile Maertens del Graduate Institute di Ginevra e Sara Hellmüller del Politecnico federale di Zurigo ritengono che le tensioni politiche estreme attorno all'Ucraina impediscano ai membri non permanenti «di sfruttare appieno il proprio mandato»: «la loro influenza è messa in dubbio» mentre sono confrontati ai «limiti della politica di potenza» tra i grandi paesi, hanno spiegato recentemente in un dibattito.
Ma il mandato dimostra pure che «possono assumere ruoli importanti» su tematiche o determinate regioni, hanno aggiunto le due ricercatrici che guidano uno studio di tre anni su questa partecipazione elvetica. La Svizzera ha inoltre contribuito a nuovi metodi operativi. Per la prima volta una risoluzione - quella sul cessate il fuoco nella Striscia di Gaza - è stata sostenuta insieme dai dieci membri non permanenti e Berna ha svolto un ruolo importante.
«Bisognerà vedere, a corto termine, se la Svizzera potrà capitalizzare sul suo profilo internazionale ai più alti livelli», hanno proseguito la Maertens e la Hellmüller. Stessa cosa per le relazioni con le cinque grandi potenze del Consiglio (USA, Russia, Cina, Regno Unito e Francia).
A medio termine il mandato potrà avere un impatto sulla Ginevra internazionale, promossa sistematicamente durante questi ultimi due anni. Dopo un'assenza di sei anni, in gennaio la Confederazione tornerà nel Consiglio per i diritti umani dell'ONU per un mandato di tre anni e la presidenza per il 2025 sarà assunta dall'ambasciatore svizzero presso le Nazioni Unite a Ginevra Jürg Lauber.
Più a lungo termine la valutazione dei successi ed insuccessi elvetici avrà un'influenza sulla volontà di ottenere un secondo mandato, hanno affermato le due ricercatrici. Un paese della grandezza della Svizzera può pretendere di sedere circa ogni vent'anni nel Consiglio di sicurezza.