Religione e società

Un esame nazionale per diventare preti: la Chiesa cattolica svizzera detta le nuove regole

Presentato questa mattina dai vescovi il «Rapporto intermedio sull’attuazione delle misure contro gli abusi e il relativo occultamento»
Un'immagine d'archivio di un'ordinazione sacerdotale nella diocesi di Lugano. ©Fiorenzo Maffi
Dario Campione
27.05.2024 19:00

Giudicare i colpevoli, assistere le vittime, ridurre al minimo il rischio di violenze, garantire che in futuro possano servire la Chiesa «soltanto le persone idonee». A nove mesi di distanza dalla presentazione dello studio «pilota» (commissionato all’Università di Zurigo) dal quale è emerso che «i sacerdoti e i membri degli ordini religiosi in Svizzera hanno commesso, dal 1950, oltre mille abusi sessuali - anche se è probabile che il numero di casi non denunciati sia più elevato», la Chiesa cattolica svizzera ha reso noto oggi un «Rapporto intermedio sull’attuazione delle misure contro gli abusi e il relativo occultamento».

Un testo molto innovativo, diviso per punti (6 in totale) tutti strutturati in parti distinte: «situazione iniziale», «obiettivi e possibili soluzioni», «risultati provvisori» e «passi successivi e sfide». La Chiesa elvetica, nelle sue tre più importanti articolazioni - la Conferenza dei vescovi (CVS), la Conferenza centrale cattolica romana (RKZ) e la Conferenza delle unioni degli ordini religiosi e delle altre comunità di vita consacrata (KOVOS) - sembra quindi fare sul serio. E in attesa che l’ateneo di Zurigo completi la ricerca storica iniziata nel 2023 (lo studio finale è atteso per la primavera 2027), adotta alcuni provvedimenti che cambiano strutturalmente la fisionomia di una istituzione sin qui apparentemente immutabile.

Due sono, in particolare, le scelte radicalmente nuove. La prima riguarda l’innalzamento della barriera d’ingresso alla vita consacrata. «Nell’ambito della formazione di sacerdoti e di altri operatori pastorali, già oggi sono effettuati colloqui psicologici - si legge nel rapporto - Tuttavia, il modo di attuare tali colloqui e di gestirne i risultati non è uniforme a livello nazionale. Inoltre, non sono esaminati altri collaboratori ecclesiastici che lavorano a contatto con le persone in ambienti sensibili della Chiesa. I collaboratori ecclesiastici saranno quindi sottoposti a esami standardizzati a livello nazionale per valutare la loro idoneità al servizio pastorale. Ciò contribuirà a ridurre i rischi, a identificare tempestivamente personalità problematiche e ad adottare provvedimenti idonei». La vocazione, da sola, non sarà insomma più sufficiente.

La seconda è relativa all’istituzione del Tribunale penale ecclesiastico nazionale, sostitutivo dei Tribunali diocesani e funzionale all’obiettivo di una «giurisprudenza uniforme in tutte le diocesi. Da oltre 1000 anni la Chiesa cattolica romana dispone di un proprio sistema giuridico - si legge nel rapporto - Il vescovo rappresenta l’autorità suprema della singola diocesi e non vi è una separazione dei poteri. Conflitti di interessi tra il personale giudiziario ecclesiastico e il vescovo in quanto datore di lavoro e committente possono tuttavia rendere più difficili l’indipendenza delle indagini e l’emanazione di una sentenza». Di qui, la necessità di una struttura unica nazionale. Va da sé che, «nei casi di abuso o altri crimini nel contesto ecclesiale, le leggi penali e civili svizzere hanno comunque la precedenza e le autorità penali devono essere coinvolte. Mentre i Tribunali delle diocesi si occupano in via integrativa delle infrazioni contro il diritto canonico».

Il passaggio non è così scontato come sembra. Alla fine dello scorso anno, il presidente dei vescovi elvetici, monsignor Felix Gmür, e il responsabile del gruppo di lavoro sugli abusi in Svizzera, il vescovo di Coira monsignor Joseph Bonnemain, hanno incontrato il Papa per discutere della nuova istituzione. E ancora pochi giorni fa, conferma la stessa CVS, «ha avuto luogo un ulteriore colloquio con la Segnatura Apostolica - il supremo Tribunale e ministero della Giustizia del Vaticano - per determinare il margine d’azione nel contesto della legislazione ecclesiastica universale». Peraltro, la Chiesa svizzera non è l’unica a volere il Tribunale penale nazionale. Nella stessa direzione si muovono i vescovi tedeschi e quelli austriaci, mentre esperienze simili sono in corso in Olanda, Francia e Inghilterra.

Restano in ogni caso da chiarire alcuni punti essenziali, tra cui le modalità di integrazione delle «disposizioni ecclesiastiche generali in un nuovo sistema», come ottenere l’allineamento «più coerente possibile ai principi del diritto statale» e, soprattutto, dove insediare e come finanziare la nuova struttura.

Una cosa, comunque, appare certa: il futuro Tribunale penale ecclesiastico nazionale, qualora dovesse entrare in funzione, non sarà composto soltanto da rappresentanti della Chiesa, ma coinvolgerà altri specialisti, di ambo i sessi, in psicologia e scienze giuridiche. Segno di una ulteriore apertura verso la società civile, un obiettivo che i vescovi svizzeri giudicano ormai irrinunciabile.