L'analisi

Urne vuote, democrazia stanca: perché i cittadini disertano il voto

Secondo il politologo Andrea Pilotti «un concorso di cause determina questa situazione» – Il dato strutturale è probabilmente anche legato alla crisi di rappresentanza dei partiti storici – La possibilità del suffragio per corrispondenza non è riuscita ad attenuare il calo
©Gabriele Putzu
Dario Campione
12.03.2025 06:00

Urne vuote, democrazia stanca. Sono molti gli osservatori e gli studiosi della politica che, negli ultimi anni, e non soltanto in Svizzera, hanno tentato di dare una spiegazione plausibile alla fuga dei cittadini dal voto. A Soletta, domenica scorsa, il rinnovo del Governo e del Parlamento ha fatto segnare il secondo peggior risultato in termini di partecipazione a un’elezione cantonale: 35,5%. Lo scorso anno, sia in Argovia sia in Turgovia, l’astensionismo aveva sfiorato il 70%. Più in generale, nei 26 cantoni della Confederazione nemmeno la corsa agli Esecutivi e ai Legislativi cantonali sembra più essere in grado di mobilitare una maggioranza di cittadini. Perché accade? 

Secondo Andrea Pilotti, politologo e ricercatore dell’Osservatorio della vita politica regionale dell’Università di Losanna, «il dato di Soletta conferma quanto già evidenziato anche in altri contesti: c’è disaffezione verso questo tipo di appuntamenti elettorali. E per fattori diversi tra loro. Il 35,5% di votanti è sicuramente una percentuale bassa, ma non bisogna considerarla un dato acquisito per sempre, quindi immutabile. Alcuni studi dimostrano che, in realtà, il tasso di astensionismo di coloro i quali non partecipano in maniera sistematica è più basso. Assistiamo tuttavia, e in misura sempre maggiore, a un astensionismo selettivo. Intendo dire che nel 65% di coloro che si sono astenuti lo scorso weekend a Soletta ci sono elettori potenzialmente mobilitabili in altri contesti». 

Il dato di fondo, concorda comunque Pilotti, è che «in un’elezione per il Governo o il Parlamento cantonali, superare a fatica il 30 o anche il 40% dovrebbe interpellare i partiti e la politica, chiamarli a una riflessione». Soletta, peraltro, non è un caso isolato. «È più facile contare sulle dita di una mano i cantoni nei quali alle elezioni cantonali o comunali i tassi di partecipazione abbiano superato ampiamente il 50 o 60% di quanti invece siano sotto questa soglia; e ciò vale in particolare anche per grandi città come – Zurigo, Losanna o Ginevra – dove spesso si arriva al massimo al 40-45%», dice ancora il politologo ticinese. Il quale individua in «un insieme di cause» i motivi di questo astensionismo ormai perdurante: disillusione nelle istituzioni, offerta politica giudicata insufficiente, vero e proprio disinteresse.

 «Come dicevo prima, non c’è un unico fattore che spiega la bassa partecipazione - sottolinea Andrea Pilotti - Vero è che la figura tipo di chi si astiene è spesso la persona disinteressata, magari costretta a vivere in una situazione di precarietà, economica ma non solo. Tra chi non vota ci sono però anche coloro i quali vivono una buona situazione socioeconomica ma scelgono deliberatamente di astenersi come forma di protesta nei confronti dell’offerta politica. In generale, alcune parti di elettorato non votano poiché convinte che le elezioni non siano foriere di un reale cambiamento». 

Il fenomeno dell’astensionismo, come detto, non è soltanto svizzero. Riguarda tutto l’Occidente. Ma è più attenuato dove c’è una lotta politica molto accesa. In Germania, ad esempio, la possibile avanzata dell’estrema destra ha spinto i cittadini alle urne. Lo stesso era accaduto in Francia lo scorso anno. Questo vuol dire che la mobilitazione è possibile. Bisogna soltanto trovare il grimaldello per aprire la porta della partecipazione.

«La diminuzione globale del tasso di partecipazione elettorali è un dato strutturale - dice ancora Pilotti - soprattutto nei Paesi occidentali, ed è legata alla crisi dei partiti. Storicamente, essi avevano un elettorato d’appartenenza che si attivava spesso a prescindere dai contenuti più specifici dell’offerta politica. Un’appartenenza connessa anche a tradizioni familiari. Negli ultimi 30 anni, tutto questo è venuto a mancare, anche in Ticino tra l’altro. Il voto è diventato più volatile e, per mobilitare gli elettori, i partiti hanno dovuto lavorare e insistere sui singoli temi». 

Ma una democrazia nella quale vota un terzo dell’elettorato è una democrazia stanca, una democrazia a rischio o, paradossalmente, una democrazia così solida che non ha bisogno neanche di un consenso ampio? «Sicuramente - risponde Pilotti - è una democrazia che ha un problema. Credo che ci si debba sempre interrogare sui motivi per cui un terzo solo dell’elettorato decida di votare. Certo, globalmente siamo in una fase che taluni definiscono di “stanchezza” politica, che però dovrebbe porre ai partiti e ai movimenti che emergono una nuova sfida: captare i bisogni e le esigenze, molto più mutevoli rispetto al passato, di un elettorato, giovane ma non solo che si mobilita su alcune tematiche ma è difficile da fidelizzare». 

A proposito di stanchezza, molti si chiedono se il sistema svizzero, che chiama alle urne almeno 4 o 5 volte all’anno i propri cittadini, in qualche modo possa contribuire ad alimentare la disaffezione al voto, a produrre appunto “stanchezza”. «È una lettura che talvolta viene effettivamente evocata, ma credo che non bisognerebbe guardare al numero, quanto piuttosto agli oggetti delle consultazioni, talvolta relativi a questioni complesse che richiedono uno sforzo supplementare ai cittadini per farsi un’opinione pienamente informata - Sostiene Andrea Pilotti - questo è anche un po’ il prezzo, inevitabile, della democrazia diretta, che chiama a decisioni sulle quali non si è necessariamente già preparati». 

In Svizzera, nemmeno il voto per corrispondenza è riuscito ad attenuare la crescita dell’astensionismo. Non sono, quindi, i sistemi di voto a influenzare il dato della partecipazione. «Nella Confederazione, così come in altri Paesi, semplici accorgimenti regolamentari non bastano a fronteggiare cambiamenti che sono molto spesso strutturali - conclude Pilotti - partiti abituati a confrontarsi con un elettorato di appartenenza, come detto, faticano con i vecchi strumenti a mobilitare un elettorato d’opinione. Ciò che serve è una revisione profonda delle strategie di comunicazione, ma anche un’attenzione costante ai mutamenti sociali e una maggiore capacità di offrire soluzioni credibili».