L'editoriale

Swisscom: dal monopolio delle PTT all'ultimo simulacro del servizio pubblico

In poco più di 20 anni l'azienda è passata da regia federale a impresa aperta ad affrontare il complicato mercato europeo della telefonia mobile
Generoso Chiaradonna
15.03.2024 20:30

Oggigiorno ci sembra normale uscire di casa e avere a portata di pollice il mondo. Le nuove generazioni neanche riescono a immaginare che una volta – poco più di un paio di decenni fa, non un secolo fa – il telefonino fosse un lusso per pochi; che servisse prevalentemente a fare telefonate o al massimo inviare brevi messaggi – ovviamente a pagamento - di non più di 140 caratteri l’uno. Il concetto di tutto incluso o di tariffa forfetarie erano concetti ancora lontani da venire. Inoltre, le compagnie telefoniche in Europa erano monopoli pubblici. Ogni paese ne aveva una. La Svizzera aveva le mitiche, ormai, PTT che stavano per Posta, telegrafo e telefono e facevano parte delle allora regie federali, come si chiamavano da noi le aziende monopoliste.  

Il 1998 è una data spartiacque per le PTT che diventano due aziende distinte e separate. Le attività telefoniche vengono integrate nella Swisscom, una società anonima di diritto pubblico, mentre quelle tradizionali di consegna di pacchi, lettere e giornali unitamente al traffico dei pagamenti e dei conti correnti (ora PostFinance) nella Posta che è un’azienda pubblica. Da allora, si può tranquillamente affermare che di strada le ex regie federali ne hanno fatta. Il governo e il parlamento hanno liberalizzato il mercato delle telecomunicazioni e nuovi attori si sono affacciati in questo ambito. L'ingresso di altri soggetti non ha determinato solo un notevole abbassamento dei prezzi delle telecomunicazioni, ma ha anche facilitato l’introduzione di ulteriori prodotti e un massiccio ampliamento della gamma dei servizi offerti. I telefonini, per rimanere a un oggetto che abbiamo in tasca tutti, sono passati dall’essere apparecchi che replicavano ciò che si poteva fare con un apparecchio fisso a protesi del nostro ufficio o della nostra stessa esistenza tout court. Ormai si può tranquillamente affermare che con queste ‘protesi’ si può anche telefonare, oltre a informarsi, pagare, investire in Borsa, ascoltare musica, vedere film, eccetera. 

Da ex monopolista partecipata al 51% dalla Confederazione (il resto delle azioni sono quotate in Borsa a Zurigo), Swisscom ha mantenuto però una posizione di mercato molto forte e questo perché su mandato della Confederazione, deve assicurare il servizio universale, ultimo residuo retaggio di quello che furono le PTT. Ciò le ha permesso di conseguire utili di esercizio notevoli. Nel 2022, per esempio, ha realizzato un utile netto di 1,6 miliardi di franchi. La ‘sorella’ Posta, pur operando in un mercato ancora più protetto ha conosciuto un’altra parabola. Pur avendo un mandato pubblico un po’ più stringente rispetto alla Swisscom, gli attuali vertici della Posta non fanno nulla per nascondere che mal lo sopportano e vorrebbero liberarsi di determinati obblighi legali minimi, come la regolare consegna di lettere e quotidiani almeno entro mezzogiorno. Le attività delle due aziende pubbliche sono infatti rette da leggi federali. Pure essendo autonome, non possono fare tutto quello che vogliono. Nel caso di Swisscom oltre alla legge settoriale sulle telecomunicazioni, vigono anche tutte le norme sulle società anonime quotate e gli obiettivi strategici fissate dall’azionista di riferimento – la Confederazione – e riviste ogni quattro anni. 

Ora Swisscom con il beneplacito del Consiglio federale fa il salto per crescere ulteriormente. Non potendolo fare in casa, vista l’esiguità del mercato nazionale ormai saturo di offerta con tre operatori di telefonia mobile (l’asta per un quarto operatore pur prevista non è mai stata realizzata), guarda a Sud con l’acquisizione delle attività italiane di Vodafone. Non è una novità assoluta. In realtà è dal 2007 che Swisscom partecipa a Fastweb, azienda pioniera nella fibra ottica. Il riassetto del mercato italiano delle telecomunicazioni è un atto quasi dovuto essendo l’unico in Europa ad avere cinque operatori di telefonia mobile con proprie infrastrutture e decine di altri operatori cosiddetti virtuali, ovvero che si appoggiano su antenne non proprie. Questo riassetto è anche la ragione per cui la casa madre britannica di Vodafone Italia ha deciso di uscirne. In Italia, spiega la multinazionale “non era possibile raggiungere un ROCE (Return On Capital Employed) superiore al costo del capitale”: banalizzando il gioco non valeva la candela. Il CEO di Swisscom Christoph Aeschlimann è invece convinto che questa operazione permetterà a Fastweb di completare l’offerta e a Swisscom di diversificare le fonti di reddito. La politica invece si interroga e si divide tra chi – l'UDC - condanna le avventure all’estero di aziende che godono di una garanzia statale, memori di quanto accadde a Swissair, e chi – Syndicom - teme la fine dell’ultimo simulacro di servizio pubblico.