«Taiwan si preparava già da mesi a un possibile blocco navale e aereo»
La Cina ha risposto alla «provocazione USA» della visita a Taipei della speaker della Camera americana Nancy Pelosi, dispiegando aerei da combattimento e navi da guerra nelle più grandi esercitazioni di sempre intorno a Taiwan. L’aspetto più inquietante è che quattro degli undici missili balistici lanciati da Pechino hanno sorvolato l’isola principale di Taiwan; un azzardo, confermato da Taipei. Il Giappone ha riferito che 5 missili cinesi sono finiti nella sua zona economica esclusiva, ciò ha spinto Tokyo a condannare l’operato cinese. Mentre i Paesi dell’ASEAN hanno espresso preoccupazione per il rischio di un conflitto. Per gli USA la reazione dei Pechino è eccessiva e irresponsabile.
In aumento le scorte di beni
Le manovre militari cinesi nei pressi di Taiwan impediscono i collegamenti navali e aerei dell’isola. Un vero e proprio blocco; con quali conseguenze se venisse prolungato? Secondo Simona Grano, sinologa e professoressa associata dell’Istituto Asia orientale dell’Università di Zurigo, le autorità di Taipei hanno iniziato ad aumentare le scorte di beni vari per far fronte a un eventuale blocco aereo e navale cinese, subito dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. «Al momento il blocco attuato dai cinesi non è totale e dovrebbe durare pochi giorni, ma in futuro il regime cinese potrebbe decidere di lanciare una guerra di annessione contro Taiwan o di bloccare a tempo indeterminato l’accesso all’isola. Il Governo di Taipei - precisa la nostra interlocutrice - aumenta quindi le sue scorte vitali, ma la capacità di stoccaggio dell’isola non è illimitata. Quindi da qualche parte i rifornimenti dovrebbero arrivare». Diversi Paesi si sono detti intimoriti dalla reazione militare cinese senza precedenti. Ma vi è solo la visita a Taiwan di Nancy Pelosi dietro le imponenti manovre militari cinesi? «Oltre a ciò - argomenta la sinologa - vi è il fatto che in passato i viaggi delle delegazioni straniere a Taiwan sono state molto meno sotto i riflettori internazionali di quello portato a termine dalla speaker della Camera. Quindi Pechino si è sentita in dovere di reagire perché tutti hanno parlato di questa visita. Inoltre, negli incontri diplomatici avvenuti a Taiwan in passato, compreso quello dello speaker a Gingrich nel 1997, i rapporti tra Cina e USA non erano tesi come quelli odierni, caratterizzati da una competizione strategica. Ogni passo mosso da Washington nei confronti di Taiwan viene interpretato da Pechino come una lesione della politica dell’unica Cina». In questi giorni Taiwan ha registrato anche l’interruzione di alcuni scambi commerciali con Pechino.
Microchip nel mirino
In particolare la Cina ha sospeso l’esportazione di sabbia verso Taipei, ossia un elemento base nella produzione di microchip, di cui l’isola è leader mondiale. Secondo Simona Grano si tratta di un colpo abbastanza duro per l’economia di Taiwan, anche se le autorità locali non hanno ancora quantificato i danni prodotti da questo blocco. «La sabbia - chiosa la professoressa di Zurigo - è importante per i microchip ma anche per il settore della costruzione. È comunque troppo presto per capire quali saranno i danni prodotti da tale misura. Il Governo di Taipei cercherà fornitori alternativi nel Sudest asiatico». Secondo alcuni analisti il controllo del mercato strategico dei semiconduttori potrebbe essere uno dei motivi che spingono Pechino a voler riportare Taiwan sotto il suo controllo. La nostra interlocutrice, invece, ritiene che per il regime di Xi Jinping sia soprattutto l’aspetto ideologico a dettare la politica nei confronti dell’isola «ribelle». «Il presidente cinese - nota la sinologa - insiste sempre sul ricongiungimento delle due famiglie cinesi e sulla riunificazione territoriale dopo gli anni delle umiliazioni perpetrate dalle potenze straniere a partire dalla Guerra dell’oppio in poi».
Il ruolo del Giappone
Tokyo ha denunciato la caduta di alcuni missili balistici cinesi nella zona economica esclusiva giapponese, un fatto mai accaduto. Ciò non favorirà i rapporti tra i due Paesi che già si contendono il controllo di alcune isole. «Negli ultimi 6-8 mesi - aggiunge Simona Grano - il Giappone si è avvicinato alle posizioni di Washington e nel Paese si è aperta una discussione su quello che potrebbe essere il ruolo di Tokyo, militare o di sostegno all’America, nel caso scoppiasse un conflitto tra Stati Uniti e Cina».