Cinema

Tanti auguri, Jerry Calà: perché la vita è un ombrellone sempre aperto

L'immaginario legato all'attore, oggi 73enne, si intreccia inevitabilmente con la stagione estiva e il retrogusto amaro dei ricordi
Matteo Generali
28.06.2024 15:02

Jerry Calà compie 73 anni. Facile scrivere «una vita di libidine», certo. Ma tremendamente vero, anzi «una vita di doppia libidine». Facile e banale. Come molte delle battute dell’attore, che però hanno conquistato l’immaginario di moltissimi di noi perché recitate con quel ghigno, il ciuffo sbarazzino e la faccia paffuta. Una vita da viveur, il mondo della notte, il cabaret e il piano bar. Un «piacione», il nostro Jerry.

Debutta con «I Gatti di Vicolo Miracoli», Smaila e compagnia. Ad oggi il ritrovo del gruppo è il «Meatball family», ristorante di Diego Abatantuono, loro tecnico delle luci al Derby di Milano. La carriera spicca il volo, apparizione in TV, album musicali. A fine anni 70 il programma «Non-Stop», registrato in «una grigissima Torino» dice Carlo Verdone nell’autobiografia «La carezza della memoria», citando il personale esordio in TV e la spavalderia dei «Gatti» davanti alla telecamera. Non fatichiamo a crederci.

Non sono bello, piaccio

Nel 1985 il gruppo si scioglie e Calà si cimenta nei cinepanettoni. Il primo «Vacanze di Natale», quello dell’83, ne ha segnato la carriera, forse la vita. Ancora oggi agli eventi si presenta come Billo. «Non sono bello, piaccio» la frase cult.

Poi «libidine» e «doppia libidine». Calà è «quello della battuta». Pochi, infatti, i monologhi di cui abbiamo memoria. Forse uno, proprio in «Vacanze di Natale 83» al pianoforte del VIP Club di Cortina, prima del ritornello di «Maracaibo». La canzone che nessuno è riuscito a far sua quanto Billo.

Jerry Calà rappresenta, a distanza di 40 anni, lo yuppie invecchiato «bene ma non benissimo»: la barba incolta, le parole mangiate, quasi bofonchiate.

Calà fu uno dei quattro yuppies protagonisti dell’omonimo film. Gli altri: De Sica, dentista; Boldi, notaio; Greggio, venditore di automobili. Calà, pubblicitario. Sgamato, smargiasso, sciupafemmine. Nel film come nella vita. Alle dipendenze, nel film s’intende, di Guido Nicheli, personaggio indimenticabile di quegli anni, rimasto iconico anche nella morte: «See you later», l’epitaffio sulla tomba.

Ma torniamo al film: uscito in sala nel 1986, «Yuppies» appare oggi come la limpida fotografia degli anni 80: crescita economica, benessere generale e un futuro da agguantare. Ad oggi l’avvenire sembra più incerto, indeciso. Quasi nebuloso, come il primo temporale di fine agosto. Quello che decreta la fine della villeggiatura estiva durata due mesi.

Il gelato sul lungomare accompagnato dal maglioncino sulle spalle e «gli odori acri delle pinete si tramutavano in folate di vento freddo» (cit. «Sapore di mare», 1983). Gli ombrelloni ordinatamente chiusi. Alti, stretti, tristi. Quasi alberi morti, per noi, abituati a vederli svettare colorati dalla sabbia.

E alla partenza verso casa, seduti sui sedili posteriori dell’auto guidata da mamma e papà, il sole all’orizzonte, ricordando le interminabili sfide di pallone, il primo amore estivo, le ramanzine del bagnino, scala quaranta aspettando l’inizio della partita dei mondiali. Ricordi che hanno il retrogusto amaro di «Sapore di mare», uscito ormai più di 40 anni fa.  

Auguri Jerry, perché l’estate non è una stagione, è uno stato d’animo.