Tax free, da oggi l'IVA italiana si riscuote con una spesa minima di 70 euro
Si parte. Da oggi, i ticinesi che faranno acquisti oltre frontiera potranno richiedere il rimborso dell’IVA italiana già a partire da una spesa minima di 70 euro, contro la soglia precedente di 154 euro.
Una mossa motivata dal Parlamento italiano (che a dicembre ha approvato la misura inserita nella legge di bilancio 2024) «con l’obiettivo di sostenere la ripresa della filiera del turismo nazionale e potenziare così il rilancio a livello internazionale dell’attrattività turistica italiana».
Per i vacanzieri dunque sarà più stimolante fare acquisti nel Belpaese. Un assist al turismo italiano, che tuttavia potrebbe spingere anche qualche ticinese in più a fare la spesa oltre confine. Ma con quale impatto sul volume degli affari dei commercianti ticinesi?
Sarà poi conveniente?
«L’abbassamento della soglia a 70 euro impatterà sicuramente sul numero di ticinesi che, almeno inizialmente, testeranno la convenienza del nuovo modello di calcolo», commenta al CdT il presidente della società dei commercianti del Mendrisiotto, Davide Rampoldi, il quale tuttavia aggiunge: «Non so fino a che punto valga effettivamente la pena. La convenienza potrebbe essere solo presunta, visto che l’IVA italiana non è al 22% su tutti i prodotti».
Di certo, Roma si sta muovendo con un’agilità che Berna può solo sognarsi. «Pregi e difetti della nostra democrazia, più lenta di quella italiana», commenta ancora Rampoldi in riferimento al progetto, messo in consultazione dal Consiglio federale, di abbassare la franchigia da 300 a 150 franchi per frenare il turismo della spesa. «Sembra quasi che l’Italia abbia risposto alla mossa di Berna. Con una sola differenza. La loro misura è già in vigore; noi siamo ancora nella fase della consultazione».
Rampoldi tuttavia resta fiducioso: «Non credo che il passaggio a 70 euro stravolgerà le sorti del turismo degli acquisti». Non le stravolgerà ma - va detto - già oggi la situazione è particolarmente pesante: gli ultimi dati raccolti nel 2019 stimano infatti in 500 milioni di franchi e 1.000 posti di lavoro la spesa annua dei ticinesi oltre confine. Un dato che oggi si somma alle difficoltà crescenti del settore, alle prese con un franco sempre più forte. «Chi viene più a fare acquisti in Ticino da fuori?», rincara Rampoldi.
Delusi e arrabbiati
Una preoccupazione condivisa anche da Federcommercio, i cui vertici, proprio ieri, hanno preso posizione sulla risposta del Consiglio di Stato ticinese alla consultazione avviata dal Consiglio federale sul progetto di riduzione della franchigia da 300 a 150 franchi. Scrive il Governo ticinese: «Ci preme segnalare che - in questo preciso momento storico segnato da un generale aumento dei costi non sistematicamente compensato da un pari rialzo dei redditi - la riduzione della soglia in discussione rischia di causare un’ulteriore contrazione del potere di acquisto dei cittadini». Nella sua conclusione, il Consiglio di Stato chiede quindi di tenere conto non solo degli interessi dei commercianti, che vedono di buon occhio la riduzione a 150 franchi della franchigia, ma anche dei consumatori, i quali invece saranno svantaggiati dalla riduzione. «Ci aspettavamo una presa di posizione più ferma in favore del commercio locale», commenta la presidente Lorenza Sommaruga. «Il commercio al dettaglio cantonale sta attraversando una crisi che si protrae da anni; la continua erosione delle cifre d’affari mette fortemente a repentaglio la sopravvivenza di molte aziende e il conseguente mantenimento dei posti di lavoro che esse generano».
Una provocazione?
A fronte di questa preoccupante prospettiva, Federcommercio si sarebbe aspettata «tutt’altra tutela da parte del Consiglio di Stato, principalmente a favore del tessuto economico locale, assicurato dal commercio al dettaglio». Più esplicito, Rampoldi: «Mi sembra una grande scivolata del Consiglio di Stato». A maggior ragione in un momento di contrazione della cifra d’affari del settore: «L’affluenza nei negozi è buona, ma lo scontrino è più basso. La flessione del volume degli affari è evidente. Per noi, questo, è il momento della resilienza. Dobbiamo tenerci i clienti, facendo tutto il possibile. Comprendiamo chi ha difficoltà economiche, ma fino a ieri la politica ripeteva la raccomandazione di fare la spesa in Ticino. Oggi, questo sostegno è venuto meno». E poi la provocazione: «Dovremmo chiedere per le regioni di confine, fino a un massimo di 7 chilometri, una zona franca senza IVA». Rampoldi non si fa illusioni: «Lo so che è difficilmente realizzabile, ma credo anche che sia l’unica soluzione per dare respiro alla nostra regione di confine, da troppo tempo sotto pressione a causa della vicinanza con l’Italia. Servirebbe una Livigno ticinese».