L'intervista

Teddy Reno: «Io e Rita, persi nei boschi della Breggia»

A 97 anni il cantante è una leggenda in Valle di Muggio – Non è raro incontrarlo all'osteria, e ascoltarlo cantare i suoi classici
Teddy Reno all'osteria di Lattecaldo © CdT/ Chiara Zocchetti
Davide Illarietti
01.10.2023 06:00

La villa è immersa nel verde e sommersa dalle rampicanti. Poco lontano ci sono ancora il bar e l’albero dove è iniziato tutto. Teddy Reno un pomeriggio di 60 anni fa era seduto con Rita Pavone allo stesso tavolo dove siede oggi da solo. «Abbiamo bevuto qualcosa e lei mi ha detto all’improvviso: dovremmo trasferirci qui» racconta il 97enne dopo un caffè e un gelato - «il solito» - sotto il solito albero. È pronto per sprofondare nei ricordi.

«L’ombra dei faggi qui è rimasta la stessa» assicura. Negli anni ‘60 i boschi della Valle di Muggio non erano così diversi da come sono oggi. C’era anche il bar-osteria di Lattecaldo, ma la proprietaria era diversa - «si chiamava Olimpia» - e la villa non c’era. Anche Pavone e Reno non c’erano, sebbene oggi sia difficile perfino immaginarlo. «Ormai anche noi facciamo parte della valle, siamo un prodotto tipico per così dire - scherza il cantautore -. Ci sono ancora dei pellegrini che vengono da fuori solo per chiedere l’autografo».

Da Milano alla Breggia

Pavone e Reno arrivarono per la prima volta in paese in un pomeriggio d’estate del 1968, ed erano entrambi molto diversi da oggi. Una delle coppie più famose e chiacchierate d’Italia, tutti i giorni sui rotocalchi, come si chiamavano all’epoca. Lei talento canoro, amata e odiata da Sanremo, la «zanzara» torinese dalla voce squillante. Lui quasi 20 anni più grande, già un matrimonio - da cui lo scandalo - e una carriera alle spalle tra musica e cinema, fuse nel capolavoro «Malafemmina» con Totò e Peppino.

La fuga dall’Italia - «chiacchierona e invadente» - è successa un po’ per caso e non li ha portati lontano. Reno ricorda come fosse ieri. «Siamo partiti da Milano per una gita fuori porta, degli amici ci aspettavano a Lugano». Pranzo in un bar sul Ceresio - «era una bella giornata di sole, forse una domenica» - e tra musica e balli scappa qualche bicchierino. «A un certo punto lei mi dice che è ora di tornare a casa e mi sono messo alla guida».

Il resto è leggenda: «Sbaglio strada, ci ritroviamo tra i boschi e ci fermiamo all’osteria. Un posto stupendo, Rita mi dice che le piacerebbe viverci» ricorda. «Un anno dopo abbiamo costruito questa villa ed eccoci ancora qui». Una scelta di cui a sessant’anni di distanza «non possiamo pentirci minimamente» assicura Reno. «Il Ticino ci ha accolti benissimo, con rispetto e discrezione e senza pregiudizi, che in quegli anni non erano scontati».

«Ul sciùr Tedy»

Ferruccio Merk - in arte Teddy Reno - oggi di anni ne ha 97, lo sguardo sotto le folte sopracciglia che nel secondo Dopoguerra facevano impazzire le nostre nonne. Cappello a larghe tese,il fare è ancora quello del viveur che ha girato il mondo , anche se oggi la strada dalla villa all’osteria di Lattecaldo potrebbe sembrare già un viaggio incredibilmente lungo, vista l’età. «Cerco di passeggiare tutti i giorni, per tenermi allenato» spiega.

Ma la vera meraviglia è la voce. Delicata e roca nel parlare - ma con una dizione perfetta, «frutto di anni d’esercizio» - subisce una trasformazione quando intona un motivetto dei tempi andati (cosa che fa spesso). Si anima come un violino sui walzer di Radio Trieste - la sua città d’origine, dove esordì cantando per le truppe anglo-americane - o sulle parole scritte per lui da Totò, impresse indelebili nella memoria. «Vengo qui spesso all’osteria e mi piace cantare per gli amici, c’è diversa gente della mia generazione che apprezza ancora i successi di un tempo».

Al secolo Ferruccio

«Wien, Wien», «Femmena, tu si na ma-la-femmena», «Accarezzame», «Sotto er cielo de Roma». La sinfonia poliglotta - in napoletano, inglese, tedesco o romanaccio - risuona un po’ come un anacronismo tra i tavolini dove si gioca a carte, mentre alla radio passa la «dance» di oggi e gli anziani del paese imprecano in dialetto. Qui «ul sciùr Tedy» lo conoscono tutti: ma per quanto naturalizzato e cittadino ad honorem della Valle, sembra inevitabilmente ancora un alieno arrivato da un pianeta lontano.

Nato l’11 luglio 1926 a Trieste da una famiglia dell’aristocrazia austro-ungarica, Ferruccio Merk Von Merkenstein (è il nome completo) ricorda benissimo la Mitteleuropa «nobile e cosmopolita» di Svevo e Joyce o le persecuzioni nazifasciste subite con la madre - «era ebrea, ci salvammo fuggendo a Cesena» - mentre la memoria gli viene meno quando parla della Valle di Muggio o fatti più recenti. «Sono gli scherzi dell’età, purtroppo». Può parlare a lungo di Konrad Adenauer, suo fan personale - «lo andammo a trovare in vacanza sul lago di Como quando c’era ancor a il muro di Berlino» - oppure di Sofia Loren, con cui una volta dormì nello stesso letto «senza approfittarne nemmeno».

Nel frattempo la vita ha fatto il suo corso. Alcuni giorni fa la Loren è caduta in casa, è stata operata per una frattura al femore. Marisa Florian, compagna di Reno sul grande schermo, è morta suicida nel 2011. Ma di questo Reno preferisce non parlare. «Il tempo passa per tutti, io mi posso ancora ritenere fortunato» dice mostrando il passo fermo e raschiando la voce per la prossima canzone. «Il mio medico è stupefatto e dice che per la mia età sono in condizioni rarissime». Sarà merito dell’aria salutare della Valle, degli alberi - «qui sotto si sta ancora benissimo come sessant’anni fa» -magari del caffè e del gelato. Sicuramente della voglia di cantare che a 97 anni non gli è ancora passata («nun te puozz’ scurdàaaa»). E tra i tavolini dell’osteria scatta un applauso affettuoso.

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