Tempesta in piscina, e quella promessa della Città...
«Garantire piena efficienza alle infrastrutture di svago quale la piscina, è un impegno preciso che Lugano assumerà appieno». 2 dicembre 2011. In tredici anni possono cambiare tante cose, ma questo è quanto scriveva al Consiglio di Stato la commissione per la fusione tra la città e Carona. Erano le famose «promesse» aggregative, e quella sul centro balneare, per almeno quattro anni, Lugano non la rispetterà. È un dato di fatto. Che sia così perché non può rispettarla o perché non vuole, è già materia del dibattito apertosi dopo la notizia che la piscina, nella sua forma attuale, non riaprirà. Un dibattito in cui abbiamo coinvolto Stefano Bernasconi, ingegnere ed ex sindaco di Carona. C’era anche lui nella commissione che aveva messo nero su bianco gli impegni di Palazzo civico. «Sono abbastanza combattuto» ammette subito il nostro interlocutore. «Molte promesse aggregative sono state disattese in un tempo relativamente breve. La nostra casa comunale, ad esempio, avrebbe dovuto rimanere un ufficio rionale», cioè una specie di Punto città, «invece pochi mesi dopo ha chiuso». «Mi dispiace anche per la piscina, che Lugano si era detta disponibile a sistemare investendo 7 milioni. Poi si era cominciato a parlare del progetto insieme al TCS». Progetto che prevede l’inserimento di un villaggio «glamping», la realizzazione di nuove vasche e di un corpo per i servizi. Progetto, lo ricordiamo, che a Carona è andato incontro a varie opposizioni. Le prime hanno portato la Città e il suo partner privato a ridimensionare i loro piani, ma nonostante ciò ne sono arrivate altre: in particolare tre contestazioni, tuttora sul tavolo del Consiglio di Stato, contro la necessaria modifica del Piano regolatore. In attesa di una decisione, Lugano non ha voluto tenere aperta la piscina, soprattutto per gli almeno 350 mila franchi che dovrebbe investire in manutenzione straordinaria. «È chiaro che alla Città queste situazioni fanno anche comodo – commenta l’ex sindaco senza intenti polemici – come è stato per l’autosilo che avrebbe dovuto sorgere vicino al Grotto Pan Perdü: allora un ricorso aveva bloccato il progetto, ma era legato a un vizio di forma, si sarebbe potuto sistemare e andare avanti». Tornando alla piscina, Bernasconi riconosce che «la Città ha cercato di portare avanti un progetto di qualità, e personalmente – critica – sono deluso da alcuni miei concittadini che fanno molte richieste, ma non si rendono conto che la situazione è cambiata. Non siamo più un Comune indipendente, le scelte vengono fatte a Palazzo civico ed è poi difficile modificarle. Il centro balneare, comunque, ha sempre fatto perdite. Quando eravamo Comune, ci costava fra il 5 e il 10 percento del moltiplicatore. L’unico anno in utile era stato il 2003. Certo, ci aspettavamo che anche la Città potesse sopportare questo onere... Un piscina bella come la nostra, non ce l’hanno in molti altri». Ora, come detto, bisogna attendere. Nel piano degli investimenti di Lugano, l’unica spesa prevista per il centro balneare è un credito di progettazione, e l’orizzonte è il 2026/27. Poi ci sarà la costruzione. Ricorsi permettendo, chiaramente.
C’è chi dice no
Intanto, si susseguono le prese di posizione. Per Philippe Blanc, membro dell’Associazione XCarona, bisogna tenere a mente tre fattori. Primo: la piscina, oltre a essere un attrattore turistico, «rappresenta un importante servizio pubblico, ideale per le famiglie e i bambini del Luganese. La sua chiusura ridurrebbe ulteriormente l’offerta, già limitata, di spazi aggregativi». Secondo: i reclami contro la variante di PR «riguardano il glamping, non la ristrutturazione della piscina. Dire che la decisione di chiuderla sia dovuta ai ricorsi, significa non volersi assumere le proprie responsabilità. La Città ha scelto di diventare la grande Lugano, e poi vuole offrire alla cittadinanza un unico lido, in città. Questa decisione dimostra totale mancanza di visione». Terzo: il nodo economico. Secondo Blanc, la scelta di chiudere la piscina per evitare di spendere circa 350 mila franchi per ammodernare gli impianti «non sta in piedi». «Lo stesso vale per il partenariato pubblico-privato. In genere, il privato interviene quando il pubblico è in difficoltà economiche. Nel caso del glamping, accade il contrario: Lugano è pronta a investire 10,5 milioni – di cui un quarto attesi dal Cantone – in cambio di un canone di concessione annuo di soli 68 mila franchi dal TCS. Il risultato è che, in quarant’anni, Lugano incasserebbe appena 2,7 milioni».