Tessa Viglezio, la ticinese che studia il cambiamento climatico al circolo polare artico

Ny-Ålesund è il villaggio più a nord del mondo sull’isola di Spitsbergen, in Norvegia. Per Tessa Viglezio oggi non c’è nessun altro posto in cui vorrebbe stare. In questo microcosmo lunare, alle isole Svalbard, la biologa luganese, classe 1997, è responsabile della stazione di ricerca artica del CNR «Dirigibile Italia». In questo luogo, a metà strada fra la Norvegia e il polo Nord, si possono vedere gli effetti del cambiamento climatico del pianeta in anticipo sul resto del mondo. Tessa Viglezio era arrivata qui per la sua tesi di master in ecologia sulla relazione tra il riscaldamento globale e la muta delle penne delle oche facciabianca. In seguito, dopo una spasmodica attesa, la biologa luganese è riuscita a ritornare a Ny-Ålesund nel 2023 come leader della stazione artica italiana del Consiglio nazionale delle ricerche. Il suo compito è offrire supporto tecnico e garantire la sicurezza dei ricercatori che approfondiscono in gran parte lo studio dell’inquinamento dell’aria, della neve e delle correnti marine calde. L’Artico ci rivela gli effetti preoccupanti del cambiamento climatico: a dicembre l’estensione media del ghiaccio marino ha raggiunto uno dei minimi storici.
L’11 febbraio si è celebrata la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza per la promozione di una loro equa partecipazione. L’iniziativa è stata istituita nel 2015 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con l’idea che la disuguaglianza di genere nelle discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) sia un ostacolo anche per il progresso dell’umanità. Sul tema del pregiudizio e degli stereotipi, dalle parole di Tessa Viglezio emerge che ci sia ancora qualcosa da fare anche se ci sono aspetti positivi da cogliere
Tessa Viglezio, a
che punto è giunto il suo incarico alla stazione di ricerca artica «Dirigibile
Italia» alle Svalbard?
«L’incarico non è ancora terminato, ma
finirò il mio lavoro tra qualche mese. Adesso sono in vacanza perché a Ny-Ålesund lavoro sette giorni su sette e quando vado in
ferie ho una pausa più lunga, rispetto alla media, per recuperare».
Che cosa fa nel
villaggio più a nord del mondo?
«Sono capo base della stazione di ricerca
artica italiana a Ny-Ålesund. Sono responsabile
della sicurezza dei ricercatori ed è mio compito fare in modo che abbiano tutto
ciò che serve loro in termini di materiale e protezione. Ogni giorno devo andare
a controllare il laboratorio atmosferico per vedere che tutto funzioni al
meglio, dalle pompe ai campionatori. Non svolgo una mia ricerca, ma raccolgo i
campioni, li congelo e li spedisco in Italia ai ricercatori del CNR e dell’Istituto
di Scienze Polari, che poi li analizzano. Questo è gran parte del mio lavoro.
Poi se ci sono dei ricercatori nella stazione ''Dirigibile Italia'', li aiuto, magari
esco e vado sul campo con loro o faccio dei campionamenti supplementari. Il
lavoro d’estate viene svolto per lo più all’esterno della stazione, mentre
d’inverno si fa all’interno».
Come vi muovete
sull’isola?
«Di solito in estate, quando non c’è neve
ed è tutto brullo, si va a piedi. Mentre d’inverno ci spostiamo con le
motoslitte oppure con gli sci, che a me piacciono molto».
Come è riuscita a ottenere questo incarico?
«Per la mia tesi di laurea magistrale in
ecologia e conservazione all’Università di Groningen mi sono occupata della
relazione tra il riscaldamento globale e la muta delle penne delle oche
facciabianca e ho vissuto per due mesi nel villaggio di Ny-Alesund. Quando sono dovuta tornare a casa, mi sono sentita letteralmente strappata da un posto in
cui volevo vivere. Per due anni ho tenuto i contatti con il manager della
stazione artica di ricerca ''Dirigibile Italia'' che, un bel giorno, mi ha scritto
dicendomi che potevo finalmente candidarmi. Una volta ottenuto il lavoro che ho
tanto desiderato, ho capito che Ny-Alesund era proprio il posto dove volevo
essere».
Quale vantaggio
offrono le Svalbard ai ricercatori?
«È interessante avere una stazione di
ricerca scientifica alle Svalbard perché si trova nel circolo polare artico.
Qui il riscaldamento climatico avviene due volte più velocemente rispetto al
resto della terra per via del fenomeno chiamato amplificazione artica. L’Artico
è coperto da una coltre bianca e i raggi solari si riflettono su questa
superficie in cui il calore non viene assorbito. Quando la temperatura è più
alta, la coltre bianca si scioglie e lascia spazio alla superficie terrestre
che è marrone, quindi gli stessi raggi solari che prima arrivavano sulla parte
bianca ora giungono sulla parte più scura e questo permette all’energia solare
e al calore di essere assorbito. Di conseguenza se il terreno è più caldo,
scalda di più la coltre bianca che si scioglie ancora di più e lascia ancora
più spazio a parti scure e questo instaura un circolo vizioso».


Dopo quasi due
anni di osservazione può dirci come sta l’Artico oggi?
«Purtroppo questo tipo di bilanci si
possono fare su decenni e non su qualche anno di osservazione. La cosa più
evidente è che qui piove davvero tanto. Il problema della pioggia a queste
latitudini è che, prima di tutto, se c’è neve, la scioglie. Secondariamente,
dopo che ha piovuto, di solito gela di nuovo e quindi si crea uno strato di
ghiaccio sulla tundra, sul terreno, e questo è terribile per gli ecosistemi. Le
renne in inverno già fanno fatica perché si nutrono dei licheni e delle piante che
sono per terra. Se c’è la neve, questi mammiferi riescono a scavare e a
raggiungere il loro nutrimento, mentre se c’è il ghiaccio non possono e muoiono
di fame. Questo influenza tutto l’ecosistema, dalla popolazione di volpi a
quella di uccelli fino alla tundra. Se
ci si trova nell’Artico è possibile vedere molto meglio le conseguenze delle emissioni
rispetto a chi vive in una città dove ci sono molti più abitanti».
Come si vive in
una stazione di ricerca alle isole Svalbard?
«Nel villaggio di Ny-Alesund ci sono le stazioni
di ricerca di varie nazioni tra cui quella italiana, dove vivo e lavoro
alternandomi con una collega con il mio stesso ruolo di responsabile per
garantire una presenza continua. Di solito non ci sono ricercatori durante l’inverno,
mentre d’estate sono molti perché i laghi, il mare e il terreno sono nelle
condizioni ideali. Nella stazione artica ''Dirigibile Italia'' dedicata alla
memoria della spedizione di Umberto Nobile, ci sono letti, bagni, laboratori e
una piccola officina. Le stazioni di
ricerca, di dieci nazioni diverse, a Ny-Alesund vanno a comporre proprio una
microsocietà: c’è una mensa unica in cui si consumano tutti i pasti della
giornata insieme alla stessa ora. Quando si va a tavola si possono conoscere
nuove persone, culture, ricerche e fare nuove amicizie. Oltre ai colleghi
italiani ci sono ricercatori provenienti da Francia, Germania, Gran Bretagna,
Olanda, Norvegia, Giappone, Corea del Sud, Cina e India».
Come sono le
giornate artiche a Ny-Alesund?
«Si dice che la notte polare è tra ottobre
e aprile, però sia a ottobre siaad aprile c’è un po’ di luce fino a quando il
sole non sale sopra l’orizzonte. Mentre direi che da novembre a febbraio a
Ny-Alesund è proprio notte fonda, è buio
anche a mezzogiorno e non vedi mai la luce, neanche un po’ di chiarore. D’estate, nelle terre artiche, c’è sempre il sole sopra
l’orizzonte e le montagne».
Si è abituata
ormai a questo modo di vivere?
«Quando c’è il sole di mezzanotte sono
molto stressata perché mi sembra che la giornata non finisca mai e si può
continuare a fare qualcosa. Inoltre, ci sono molti ricercatori e il mio lavoro è
più impegnativo».
Che tipo di
inconvenienti provoca nei ritmi quotidiani la notte polare?
«D’inverno è buio. Tu vai a pranzo e sembra
di andare a cena. Ogni tanto mi confondo durante la giornata. Se devo
parlare con dei colleghi di altre nazioni magari dico che ci vediamo a cena
anche se sono le 9 di mattina e loro mi ricordano che ci vediamo a pranzo».


Ci sono altri svizzeri
oltre a lei a Ny-Alesund?
«No, sono l’unica svizzera a Ny-Alesund: qui possono vivere permanentemente solo persone legate alla ricerca scientifica o
al benessere del villaggio. Mentre a Longyearbyen ci
sono anche due ticinesi».
Si parla tanto di
parità di genere. Ci sono ancora degli
stereotipi e dei pregiudizi nei confronti delle ragazze nel mondo della scienza?
«Quando bisogna lavorare con dei colleghi,
alcuni, ma pochi fortunatamente, fanno fatica a capire che il mio ruolo,
nonostante io sia giovane e sia una donna, è quello di responsabile. Se io dico
che non si può fare qualcosa, non è per dare fastidio, ma perché ho constatato
che non va bene. Invece, ogni tanto ricevo delle critiche o delle osservazioni
del tipo: ''Ho sempre fatto così e non vedo perché non posso farlo''. Ti trovi
in momenti difficili, in cui devi farti valere ma non vuoi essere la cattiva. Vuoi solo essere quella che viene rispettata. Ogni tanto si verificano queste situazioni
perché, appunto, sono una donna e sono giovane. Di conseguenza ho meno
esperienza, ma non per questo ho meno cervello. L’aspetto positivo in tema di
parità di genere nella realtà di Ny-Alesund è che la presenza di uomini e donne
è esattamente suddivisa al 50%. Non si sente alcuna differenza, anche tra chi
lavora, ad esempio ci sono elettriciste donne e cuochi uomini. È molto bello perché
non viene neanche in mente di notare la disparità di genere».
Lei è stata
un’attivista per il clima. In che termine è oggi il suo impegno per questa
causa?
«Ero un’attivista per il clima quando studiavo
ancora e non avevo un lavoro che mi consentiva di contribuire a questa causa.
Oggi permetto alla ricerca di portare sotto gli occhi di tutti i risultati veri
dei danni del cambiamento climatico che fanno spaventare la persone. Da quando
ho finito di studiare non ho più fatto parte dell’organizzazione Sciopero per
il clima, ma non per questo sono meno impegnata».
Ha già altri
traguardi e ambizioni dopo il suo lavoro alle Svalbard?
«L’esperienza a Ny-Alesund è temporanea per
tutti i ricercatori. Mi piace molto come lavorano in Norvegia, sarebbe
bello trovare qualcosa di interessante da fare in questo Paese in futuro».
Non pensa di
lavorare in Ticino?
«Magari, ma è un po’ difficile trovare un
posto di lavoro in Ticino in quanto biologa e soprattutto ecologa perché bisogna
aspettare che qualcuno vada in pensione. Non voglio fare la ricercatrice in
futuro, magari non sarebbe male anche aprire uno studio di consulenza ecologica».
Che cosa potrebbe fare
in Ticino?
«Le neofite che ci sono lungo i fiumi e le
palme nei boschi sopra Locarno sono piante infestanti che hanno bisogno di
essere controllate e gestite. Se ne occupano già gli uffici preposti e il Cantone
tuttavia più si va avanti e più ci saranno questo tipo di piante, ma anche
animali, come gli insetti ad esempio, da monitorare».