Theresa May è la nuova premier britannica

LONDRA - Un equipaggio con tante donne sul ponte di comando per pilotare la nave britannica fuori dall'Ue, fra gli scogli del dopo-Brexit. Theresa May è da oggi il primo ministro del Regno Unito, seconda inquilina di Downing Street 26 anni dopo Margaret Thatcher.
Il primo compito di May è stato formare il nuovo governo. Philip Hammond si aggiudica la poltrona più importante: l'ex ministro degli Esteri è stato nominato cancelliere dello Scacchiere, e quindi titolare del Tesoro, al posto di George Osborne, un fedelissimo di David Cameron, che resta fuori dal nuovo gabinetto. L'ex sindaco di Londra, Boris Johnson, capofila dei filo-Brexit al referendum del 23 giugno, è stato invece nominato a sorpresa ministro degli Esteri. Amber Rudd, già ministra dell'Energia, diventa la seconda donna più importante del gabinetto, ereditando dalla stessa May l'Home Office, cioè il dicastero dell'Interno.
May ha anche scelto David Davis, veterano del Partito Conservatore e sostenitore di Leave al referendum sull'Ue, per guidare il neonato ministero per la Brexit, cui spetterà gestire il divorzio da Bruxelles. Davis, 68 anni, si scontrò con David Cameron per la guida dei Tories nel 2005, venendo sconfitto nel ballottaggio. Era da tempo all'opposizione nel partito, in polemica su molti temi con la linea dello stesso Cameron.
Rientra nel governo, al Commercio Estero, anche un altro grande vecchio del partito, pure un 'brexiter', Liam Fox, titolare della Difesa alcuni anni fa.
La giornato, con l'addio di Cameron
L'impegno prioritario di Theresa May - giura - è per la giustizia sociale, per costruire "insieme una Gran Bretagna migliore", benigna non solo "con pochi privilegiati": non senza accettare "la sfida" del divorzio da Bruxelles con "una visione positiva" sul futuro dell'isola "nel mondo".
Per molti, l'esordio è quasi da controfigura di Angela Merkel, l'omologa tedesca con la quale - prima che con chiunque altro - dovrà negoziare nei prossimi mesi il destino del suo Paese e dell'Europa. Intanto - mentre il 'continente' reagisce annunciando un vertice Renzi-Hollande-Merkel a Roma ad agosto per preparare le sue strategie - i mercati rispondono benino.
A Londra, il passaggio di consegne è avvenuto nel rispetto scrupoloso delle tradizioni di un regno che della tradizione fa la sua bibbia. E ha avuto ovviamente il culmine a Buckingham Palace, dove la regina Elisabetta ha sbrigato in una ventina di minuti la pratica delle dimissioni di David Cameron, premier numero 12 dei suoi 64 anni di regno; poi ha accolto per il 'baciamano' di rito (in effetti una semplice stretta di mano, con genuflessione accennata) la numero 13. E infine ha "invitato" la neo premier a formare il suo governo.
Un incarico a cui nella realtà dei fatti Theresa May sta lavorando da un paio di giorni e che in pectore ha già partorito la nomina dei 'frontbenchers': ministri, e soprattutto ministre, di peso che l'affiancheranno alla Camera dei Comuni nella prima fila dei banchi governativi.
In mattinata proprio i Comuni avevano fatto da palcoscenico di congedo dei sei anni di Cameron a capo dell'esecutivo, con un ultimo question time consumatosi nel fair play generale sotto gli occhi della moglie Samantha - "l'amore della mia vita", come il premier l'ha più tardi apostrofata lasciando Downing Street con un abbraccio familiare - e i tre figli, Nancy, Arthur e Florence.
Le ovazioni si sono sprecate, con qualche lacrimuccia, nel gruppo Conservatore. E non è mancato l'onore delle armi del leader dell'opposizione laburista, Jeremy Corbyn, ancora in piedi in attesa della resa dei conti di casa sua.
"Sono stato il futuro anch'io, una volta", ha concluso con filosofica autoironia Cameron, l'uomo che ha voluto e perduto il referendum del 23 giugno, chiudendo a nemmeno 50 anni una carriera politica di cui non rinuncia a rivendicare i meriti: dall'uscita dalla crisi, alla crescita dell'economia, al rilancio di un'occupazione magari precaria, ma a livelli record, alle riforme introdotte (adozioni, matrimoni gay, scuola) per "migliorare la vita delle persone, che è la cosa che conta". "Lascio un Paese più forte", è il suo testamento. Ripetuto in dichiarazioni che aggirano con grazia, ma in un silenzio che non può non fare rumore, l'eredità storica della Brexit.
Eredità che ora spetta alla sessantenne May affrontare: senza un passaggio alle urne, cosa che potrebbe rappresentare un problema con una maggioranza di appena 12 seggi. Accompagnata dal marito Philip, compagno da una vita con 36 anni di matrimonio alle spalle, Theresa entra comunque con passo deciso nella maison simbolo del potere britannico: "è la seconda donna e per la seconda volta si tratta d'una conservatrice", ha notato il suo predecessore, elogiandone le qualità di leadership.
Una donna dal profilo non proprio innovativo, per sei anni inflessibile ministro dell'Interno e paladina della linea dura sull'immigrazione, sostenitrice non entusiasta di Remain al referendum del 23 giugno, ma che promette ora di attuare la Brexit senza ripensamenti. Convinta - dice - di poterne fare "un successo". Una donna che comunque porta con sé una ventata di modernità, riequilibrando i rapporti di forza fra generi nella compagine e disegnando un gabinetto con una presenza femminile senza precedenti per numero e qualità dei ruoli assegnati, in un Paese nel quale anche la Scozia - contraria alla Brexit e determinata ad avere voce in capitolo - le contrappone una signora 'first minister', la combattiva Nicola Sturgeon.
Una cosa appare certa: se la stagione di Margaret Thatcher fu quella di una lady (di ferro) sola al comando, il tempo della quasi altrettanto severa, ma meno carismatica Theresa May, potrebbe essere quello della città delle donne.