Ticino, infosfera religiosa affollata, ma i vari gruppi non dialogano tra loro

Il radicalismo e l’estremismo religiosi non transitano, in Ticino, sui siti e sui canali social. Quantomeno, non su quelli che tutti possono vedere e raggiungere con un banale movimento del dito sullo schermo del telefonino o sulla tastiera del computer. Ciò non significa che l’osservazione approfondita di tutto ciò che, online, riguarda Dio sia pura accademia o materia soltanto per gli esperti. Tutt’altro.
Lo dimostrano in maniera coerente i risultati dell’analisi condotta dall’Istituto Religioni e Teologia (ReTe) della Facoltà di Teologia di Lugano. Analisi - presentata questa mattina in una conferenza stampa - grazie alla quale, per la prima volta, è stata mappata «l’infosfera religiosa del Canton Ticino», è stata cioè catalogata «la presenza online di iniziative, associazioni e attività di carattere religioso» nella Svizzera italiana.
La mappatura virtuale, hanno spiegato gli stessi autori della ricerca, «fornisce uno strumento utile al monitoraggio e al riconoscimento di eventuali manifestazioni di radicalismo in ambito religioso» e integra «la mappatura fisica della presenza religiosa nel Canton Ticino», realizzata in collaborazione tra il Servizio per l’integrazione degli stranieri del Canton Ticino (SIS) e il Centro intercantonale di informazione sulle credenze (CIC) e il cui aggiornamento sarà presentato tra due settimane a Bellinzona.
Nessun reale pericolo
In realtà, come detto, l’osservazione prolungata dei siti e dei profili social «che fanno riferimento a realtà religiose localizzate» nella Svizzera italiana non ha evidenziato un reale pericolo legato a forme di estremismo o, peggio, di eversione. Ha piuttosto confermato una tendenza generale della società a esplorare di continuo ogni nuova forma di comunicazione. Propensione alla quale non si sottrae nemmeno l’àmbito legato al divino.
«I fenomeni religiosi caratterizzano le esperienze umane in forme diverse - ha detto, aprendo i lavori della conferenza stampa per un breve saluto, il rettore della Facoltà di Teologia, René Roux - e ce ne rendiamo conto quando approfondiamo la conoscenza del territorio e della vita di comunità nei suoi aspetti più problematici».
Di qui, l’importanza di indagare a fondo il rapporto tra l’esperienza religiosa e la comunicazione online. «Non soltanto, però, come forma di controllo - ha insistito Michela Trisconi, delegata cantonale per l’integrazione degli stranieri - ma come momento di valorizzazione e di conoscenza delle varie comunità spirituali. Il tema della diversità religiosa va infatti affrontato con l’obiettivo di condividere informazioni e di rafforzare la coesione sociale, anche in funzione di un arricchimento culturale più generale. Inoltre, è fondamentale capire come le tecnologie digitali abbiano cambiato o possano trasformare la comunicazione e l’esperienza religiosa, a partire dalla catechesi delegata all’intelligenza artificiale».
Alcuni numeri
Che cosa emerge, allora, dall’osservazione prolungata dell’infosfera religiosa del Ticino? Innanzitutto, una presenza numerosa e molto variegata di chiese, gruppi, associazioni. Come ha spiegato Valerio Proserpio, dottorando di ricerca all’USI in Analisi dei Processi Sociali e autore del monitoraggio, tra il febbraio e il marzo 2024 sono state identificate 491 pagine tra attive e inattive; di queste, 348 su piattaforme social e 143 su siti tradizionali. Nelle 236 pagine social attive, esplorate con continuità tra aprile e luglio 2024, sono stati poi individuati 5.211 contenuti: il 30,5% riferiti alla Chiesa cattolica, il 28,5% alle Chiese protestanti, il 10% all’islam, l’8,2% a organismi interconfessionali, il 7,8% alla Chiesa ortodossa. Il Ticino si dimostra quindi terra in cui sanno convivere pacificamente molte e diverse sensibilità religiose, come testimonia anche il fatto che siano stati almeno 18 i gruppi mappati dalla ricerca.
Molti gruppi, quindi, e diversi. Ma disinteressati a comunicare tra loro. Il 99,3% dei contenuti, ha detto Proserpio, non fa riferimento ad altre religioni. Un dato molto interessante: «Le sfere religiose digitali non sono porose. Non dialogano». Altro dato interessante riguarda il formato dei messaggi: le immagini (73,4%) e i video (23,6%) dominano sulle parole (3%). Inevitabile, forse, se si pensa alla logica della comunicazione social. Ma rivelatore pure di un cambiamento epocale, ha detto Marco Menon, filosofo morale e co-autore della ricerca: «erroneamente si pensa che i cambiamenti tecnologici siano causa del cambiamento sociale. Questo determinismo tecnologico è falso, anche in ambito religioso, dove ai comunicatori è posta una sfida: cosa cambia quando condividiamo le nostre esperienze con le immagini e non con le parole».