Abusi sulla figlia adottiva, inflitti 12 anni: «Colpa di inaudita gravità»

Dodici anni di detenzione: questa la sentenza pronunciata oggi pomeriggio dalla Corte delle assise criminali nei confronti del 67.enne del Luganese accusato di aver abusato della figlia adottiva per almeno un decennio, fra il 2012 e il 2023. «La vittima si trovava in una situazione di dipendenza affettiva nei confronti del padre. E lui ha strumentalizzato questa dipendenza. Lei si è ritrovata in una situazione senza uscita, contro la quale non poteva opporsi», ha motivato il presidente della Corte, il giudice Amos Pagnamenta, durante la lettura del dispositivo. «La sua colpa – ha sottolineato – è di inaudita gravità e il suo agire è stato mostruoso». L'imputato ha ascoltato impassibile la lettura del verdetto. Ravvisando un pericolo di fuga, la Corte ne ha disposto l'immediato arresto e la carcerazione di sicurezza. In aula, oggi, era presente anche la vittima, visibilmente commossa.
Oltre duecento episodi
Nell’atto di accusa, stilato dalla procuratrice pubblica Chiara Buzzi, figuravano, oltre all’accusa di atti sessuali con fanciulli ripetuti, anche quelle di coazione sessuale ripetuta, violenza carnale ripetuta e pornografia ripetuta: circa duecento gli episodi complessivi di violenza carnale, di cui una cinquantina da collocarsi prima della soglia dell’età del consenso, i primi dei quali risalenti a quando la vittima aveva meno di 10 anni. L’imputato durante il dibattimento, tenutosi lunedì a porte chiuse, ha però negato gli addebiti, cercando di ricondurre la vicenda a una, seppur «deviata, storia d’amore», che sarebbe nata consensualmente soltanto quando la ragazza aveva già compiuto 16 anni, in un periodo di particolare debolezza e confusione emotiva, ovvero a seguito del decesso della moglie: «Non avevo più voglia di vivere. In lei ho trovato un’ancora di salvezza. Non sono stato capace di capire che quello che stavo facendo avrebbe danneggiato mia figlia, non sono stato in grado vedere che i limiti erano stati oltrepassati», si è giustificato in aula. È su queste basi che la difesa – costituita dagli avvocati Matteo Genovini e Maricia Dazzi – ha chiesto una condanna a massimo due anni sospesi per sfruttamento dello stato di bisogno: una pena molto più mite dei dieci anni di carcere proposti dall’accusa. L’uomo ha inoltre accettato il pagamento di un indennizzo di 30 mila franchi per torto morale nei confronti della vittima.
Lei è credibile, lui no
Centrale, trattandosi di un processo indiziario, è stato l’esame della credibilità delle parti dove, come aveva sostenuto rappresentante accusatrice privata, Demetra Giovanettina, «il racconto del padre è la grottesca parodia del racconto della figlia. Ma il racconto della vittima è coerente e logico. Dietro la nuvola dell’innamoramento da lui evocata c’è un uomo che ha plasmato e devastato la figlia per il suo piacere personale». In questo senso, gli innumerevoli «non ricordo», «probabilmente», «immagino» incastonati nel racconto dei fatti proposto dall’imputato, a fronte di alcuni SMS molto espliciti risalenti al periodo precedente i 16 anni della ragazza, per il giudice sono scuse frutto di una memoria «a geometria variabile», che il 67.enne avrebbe di volta in volta adattato sulla base dalle prove emerse nel corso dell’inchiesta, sempre attento a preservare la soglia limite del consenso. «La vittima ha fornito indicazioni costanti e coerenti», ha sottolineato Pagnamenta durante la lettura della sentenza. Quando alle incongruenze invocate dalla difesa, «non è logico che chi ha subito abusi sin dalla tenera età possa ricordare con esattezza tutti gli episodi». D'altro canto, «le contraddizioni dell'imputato sono tante e tali, impossibili da ripercorrere. Ha reiteratamente mentito su molti aspetti della vicenda, riconoscendo solo quanto non poteva più negare». Anche la tesi secondo cui sarebbe stata la ragazza a provocarlo, Pagnamenta l'ha ritenuta semplicemente «insostenibile» alla base dei riscontri agli atti: «È inqualificabile averlo sostenuto».
«Non sono un pedofilo», ha sempre sottolineato l’imputato. Diversamente è stato giudicato oggi dalla Corte (composta anche dai giudici a latere Fabrizio Monaci e Paolo Bordoli e dagli assessori giurati), la quale ha confermato integralmente l’atto d’accusa.