Addio al trucco facciale: le Processioni di Mendrisio senza i «mori»
È una decisione che farà discutere; anzi, lo sta già facendo. Da una parte una tradizione secolare, dall’altra i tempi che cambiano. Nel mezzo la rappresentazione della diversità, i pregiudizi razziali, la rinuncia in molti ambienti al trucco detto blackface, ma anche in qualche modo la cancel culture. Esageriamo? A voi analisi e conclusioni. Che saranno quasi certamente diverse e divergenti, come è stato anche nel recente passato a margine di alcune cavalcate dei Re Magi organizzate in Ticino.
Ma veniamo alla scelta fatta dalla Fondazione Processioni Storiche di Mendrisio: rinunciare al trucco facciale dei «mori», gli otto figuranti della sfilata del Giovedì Santo facenti parte della fastosa corte orientale di Erode Antipa. In altre parole: i personaggi ci saranno, quattro a cavallo e quattro a piedi, ma non avranno più la pelle scura grazie a un trucco facciale.
«Al passo con i tempi»
A confermarci la decisione e spiegarci le ragioni che la motivano è il presidente del Consiglio di Fondazione Gabriele Ponti: «Le Processioni Storiche di Mendrisio sono una tradizione vivente, che rimane viva perché evolve con l’evolvere della civiltà e delle sensibilità – esordisce –. Non rinunceremo ai personaggi, non avrebbe senso, ma soltanto al trucco facciale. Le Processioni di Mendrisio sono arrivate fino ai giorni nostri perché hanno saputo stare al passo con i tempi, non conosciamo tutti gli “adattamenti” alla contemporaneità che si sono susseguiti nel tempo, ma sappiamo che ve ne sono stati molti. Basta ricordare che un tempo le donne non potevano partecipare alle Processioni e che erano uomini, con il volto interamente coperto da un lungo velo, che impersonavano le tre Marie. Nell’affrontare un tema contemporaneo come quello del blackface abbiamo deciso di interpretare al meglio l’argomento apportando un cambiamento che vuole dimostrare quella sensibilità che una manifestazione che si fregia di un riconoscimento UNESCO dovrebbe sapere dimostrare nei confronti dell’umanità. Perché di questo si parla».
Il tema è delicato, ma il cambiamento che sarà introdotto vuole inserirsi nel solco dell’apertura, dell’uguaglianza e della parità di opportunità: «La Processione del giovedì è una rappresentazione di una circostanza passata e accaduta altrove, che continuerà a mutare nel tempo per restare attuale, pur restando nella tradizione, ma saranno le future generazioni a decidere in merito. Ogni cambiamento porta a delle discussioni e questo mi sembra normale, ma è importante ricordare che questa decisione vuole segnalare, al mondo, il rispetto per le diverse sensibilità e una certa coerenza con quell’apertura che abbiamo dichiarato nel dossier di candidatura e che crediamo sia il punto di forza delle nostre Processioni».
«Tradizione denaturata»
Tutti convinti? Come anticipato no. Tra chi si è palesato subito tra gli scettici c’è ad esempio il regista delle sfilate mendrisiensi Diego Bernasconi, che sostiene la teoria della tradizione denaturata. «Le Processioni storiche sono una rappresentazione teatrale di strada che non va toccata. Credo si possa evolvere nell’organizzazione logistica o nel materiale, nelle luci, ma non nella parte teatrale. Per me la questione è semplice: ho dei profili da mettere in scena e faccio un casting cercando gli attori che si avvicinino il più possibile al personaggio da interpretare. Se non trovo l’attore ideale, faccio ricorso al trucco. È un teatro di strada».
Il dibattito è insomma lanciato e sicuramente vedrà inserirsi altre visioni. Concludiamo con un paio di domande, che possono fungere da ulteriore spunto di riflessione. Questo cambiamento è il primo passo verso una denaturazione delle Processioni? Talvolta cambiare è necessario? In fondo fino a qualche decennio fa a interpretare le tre Marie erano altrettanti uomini, con il volto coperto da un velo.