Storia

Addio all'ultimo rimasuglio della Fiera Svizzera di Lugano

La società cooperativa che la organizzava sarà liquidata nei prossimi giorni: «Non aveva più senso tenerla dormiente» - Tra il 1933 e il 1953 fu l’evento di maggior richiamo economico e culturale dell’intero cantone - Finì dopo un anno record
Nell'edizione del 1943 spiccava la Torre Caran d'Ache. ©Ufficio Patrimonio culturale/Fondo Fiera Svizzera di Lugano.
Federico Storni
25.04.2025 06:00

Sarà un momento simbolico, quello previsto il prossimo 29 aprile al Palazzo dei Congressi. In tale occasione infatti la Città dirà formalmente addio alla Fiera Svizzera di Lugano società cooperativa. Di fatto dormiente da decenni, fra gli anni Trenta e Cinquanta la società ha segnato la storia di Lugano e del Ticino e gli effetti del suo operato in città si sentono ancora oggi. È infatti in seguito al suo operato che il Campo Marzio è il Polo congressuale cittadino, dopo che per un ventennio la Fiera Svizzera di Lugano fu la manifestazione economica più importante del Cantone e l’evento culturale per eccellenza della Svizzera italiana. Poi d’un tratto finì, paradossalmente dopo il suo anno migliore a livello di pubblico ed espositori.

Perché chiuderla qui

La società cooperativa è di fatto un relitto del passato e per questo si è deciso di metterla in liquidazione, sempre che l’assemblea convocata nei prossimi giorni deciderà in questo senso (in una prima convocazione non era stato raggiunto il numero necessario di presenti per deliberare). «Non vediamo più il senso di tenerla in piedi dormiente - dice il presidente (e vicesindaco di Lugano) Roberto Badaracco. - Negli scorsi anni ci siamo detti che avremmo o provato a fare qualcosa per festeggiare quel che era stato oppure trarre le conseguenze e chiuderla. Rilanciarla in una nuova veste o forma non ha molto senso, e i progetti commemorativi si sono rivelati molto costosi in un quadro finanziario difficile. Anche riproporla per un’edizione come quelle di un tempo non ci è sembrato fattibile». E, quindi, la decisione di sciogliere la società cooperativa e di destinare il «piccolo capitale» all’Ente turistico del Luganese. Si attende, appunto la ratifica dei 18 soci rimanenti, «persone fisiche e qualche Ente». Persino ricostruire chi ancora ne possedesse delle quote - alla sua fondazione il contributo minimo era di cento franchi per farne parte - non si è rivelato essere semplicissimo.

L’evento clou dell’intero Ticino

La folla all'ingresso nel 1946. ©Ufficio Patrimonio culturale/Fondo Vincenzo Vicari
La folla all'ingresso nel 1946. ©Ufficio Patrimonio culturale/Fondo Vincenzo Vicari

Se la società sparirà senza particolari fanfare di commiato, è però anche perché la sua memoria è già stata ben valorizzata in tempi relativamente recenti. L’archivio della società è infatti confluito in una mostra e in una pubblicazione del 2013 di un ricco volume delle Pagine storiche luganesi (edite dalla Città stessa) a cura di Antonio Gili e Damiano Robbiani, con contributi di Orazio Martinetti, Carlo Piccardi, Ottavio Lurati, Pietro Montorfani, Cristina Soderegger, Riccardo Bergossi, Laura Pedrioli e Claudio Ferrata. Nelle sue 250 pagine, cariche di foto d’epoca e di illustrazioni, gli autori del volume danno il giusto valore storico all’evento, facendone rivivere gli aspetti principali e la loro importanza dal punti di vista culturale, musicale, architettonico e grafico. Ed è proprio dall’introduzione a firma Giovanna Masoni Brenni, allora capodicastero delle Attività culturali della Città, che abbiamo preso le informazioni in entrata e queste che seguono: nata nel 1933, la Fiera nel 1937, al secondo tentativo, fu «riconosciuta ufficialmente dalla Confederazione come la terza per importanza in Svizzera e parificata a quelle nazionali di Basilea e Losanna». Questo perché, «oltre a svolgere la sua funzione economica e commerciale, assolveva anche a compiti culturali, facendo da punto di raccolta di tutte le principali attività creative di Lugano e del Ticino; dalle mostre d’arte a quelle del libro, dalla stagione lirica agli spettacoli di vario generi, composti da musica concertistica e danza coreografica; ospitava inoltre le sedute delle associazioni più disparate e persino congressi nazionali». Un grande calderone d’attività, insomma, in un «giusto equilibrio tra cultura arte e bassa», impreziosita dalla stampa dei manifesti a cui lavorarono le firme più note della cartellonistica di allora. Un calderone a cui non mancò mai di fare visita un consigliere federale.

Il tutto, in un villaggio creato e smontato per l’occasione. Si trattava infatti di padiglioni temporanei, disegnati di anno in anno - come ricostruito da Riccardo Bergossi - dall’architetto luganese Augusto Guidini Junior, che, assieme al collega Attilio Marazzi, cercò negli anni Cinquanta anche di dare una sede stabile alla Fiera. Ma la montagna partorì solo un topolino, nel 1948: il Padiglione Conza, a firma proprio di Guidini junior. Padiglione intitolato al presidente della rassegna Giovanni Conza che nelle intenzioni doveva essere la prima tappa di una sede fieristica stabile.

Una brusca fine

La cosa si fermò lì, però, perché si fermò la Fiera stessa. L’edizione del 1953, in pieno boom economico e dopo un record di partecipanti (150.618) ed espositori (541) fu infatti l’ultima. L’anno di pausa che la Società cooperativa si prese, anche per ripensare la formula, dato che le continue ricostruzioni del villaggio pesavano assai sulle finanze, si trasformò in decenni. Questo perché non si riuscì a trovare l’accordo con il Comune per finanziare la sede definitiva, e anche per la concorrenza della neonata OLMA di San Gallo, le cui date peraltro coincidevano. E «di quel buffissimo villaggio dal sapore di castello di carta» non è così rimasto che un ricordo.