L’inchiesta

Al via i processi per la truffa dei garage

Si è aperta la stagione dei tribunali per gli inganni alle assicurazioni perpetrati da due officine del Luganese e da tre del Mendrisiotto - Abbiamo fatto il punto con il sostituto procuratore generale Andrea Maria Balerna - Due anni a un trentatrenne
I modi in cui venivano simulati gli incidenti per ingannare le assicurazioni erano molteplici. © CDT/CHIARA ZOCCHETTI
Federico Storni
29.07.2021 06:00

Una quindicina di persone finite in manette nel 2017, più di quattro anni d’inchiesta «estremamente difficile», oltre un centinaio di decisioni già prese, soprattutto riguardo ai clienti, due filoni praticamente chiusi, fra i 70 e i 180 casi truffaldini per officina, un migliaio di atti istruttori. Sono alcuni dei numeri della cosiddetta «truffa dei garage», che ha coinvolto cinque attività (due nel Luganese e tre nel Mendrisiotto) e che ieri è approdata per la prima volta in un’aula penale (si veda più sotto per la cronaca processuale). Ne abbiamo approfittato per fare il punto con il sostituto procuratore generale Andrea Maria Balerna, titolare dell’incarto.

Una gestione complicata

Il nostro interlocutore, in particolare, sottolinea la mole dell’inchiesta: «Per ogni garage coinvolto abbiamo dovuto analizzare centinaia di operazioni e individuare fra esse quelle fasulle. E tecnicamente ognuna di queste è un procedimento a sé, che comporta recuperare e analizzare i documenti assicurativi e interrogare il cliente e gli impiegati del garage coinvolti. Tipicamente in questi casi abbiamo a che fare con un singolo episodio, ma qui ogni garage ne ingloba fra la settantina e i 180. È dunque stato estremamente difficile gestire l’inchiesta, che è poi stata suddivisa in cinque filoni».

© CdT/Chiara Zocchetti
© CdT/Chiara Zocchetti

Due titolari presto a processo

Per fare tutto ciò ci sono voluti più di quattro anni, ma ora se ne vede la fine. Per quanto riguarda le fattispecie che riguardano i due garage luganesi, Balerna ha già emanato tutte le decisioni del caso: «Ad alcuni decreti d’accusa è stata fatta opposizione e restano pendenti due atti d’accusa». In altre parole, «entro fine anno» andranno a giudizio i titolari delle due officine. Per quanto riguarda i tre garage momò, invece, «c’è ancora da tirare le somme per quanto riguarda gli autori principali: i titolari e i loro bracci destri o i capiofficina».

Come funzionava

A emergere dall’inchiesta sono state centinaia di truffe assicurative. Vale a dire, in sostanza, l’annuncio di danni inesistenti o di riparazioni a prezzi gonfiati alle compagnie assicurative, con la complicità dei clienti. In tal modo il garage poteva fatturare più di quanto gli spettasse, con vantaggi anche per il cliente compiacente, che veniva ricompensato in vari modi per essersi prestato al gioco. Più dettagli qui.

La prima condanna

La prima persona coinvolta nel caso ad approdare in aula non è stato uno dei titolari, bensì l’uomo che quasi per caso ha dato il là all’inchiesta. Si tratta di un 33.enne italiano, fermato a fine 2016 a bordo di un’auto rubata. Incarcerato per quattro mesi, l’uomo ha rilasciato alcune dichiarazioni che hanno messo sulla buona strada gli inquirenti, poi ampliate da altre persone. L’uomo - difeso d’ufficio dall’avvocato Riccardo Balmelli e assente scusato dal procedimento - è stato descritto da Balerna come una persona «pasticciona che cercava di tirare a campare con piccoli espedienti». Piccoli espedienti illegali.

Gli stipendi gonfiati

In sostanza l’uomo, sull’arco di due anni, si è macchiato di nove casi di truffa con la correità di alcuni garage. In un caso, per esempio, ha finto un incidente con un complice (un uomo condannato nel 2019 per una serie abbastanza impressionante di furti). Il garage ha così fatturato riparazioni inesistenti, il complice ha incassato 1.000 franchi per aver messo a disposizione la sua RC e l’italiano cento franchi per essersi prestato. In un altro caso ha gonfiato con certificati di salario falsi il reddito del padre per ottenere un’auto in leasing che non poteva permettersi. Auto che poi ha venduto a terzi in Italia. Una procedura che ha poi ripetuto anche con la moglie.

Per tutto ciò l’uomo è stato condannato a due anni sospesi e all’espulsione per sette dal giudice Amos Pagnamenta.