Amalia Mirante, da piccola monella ai capelli fucsia

Chi è Amalia Mirante? Economista, già PS e ora motore del movimento Avanti con Ticino&Lavoro. Ma c’è molto di più di inedito da scoprire. L’abbiamo incontrata.
«Non credo di avere mai ospitato giornalisti a casa mia». Questa la frase pronunciata da Amalia Mirante nei giorni precedenti l’incontro-chiacchierata per la rubrica «Pubblico&Privato»: un po’ come dire «guarda che si tratta di qualcosa di eccezionale». Passiamo oltre ed eccoci alla mattina di venerdì 3 novembre, alle ore 8.45 arrivo a casa Mirante a Taverne-Torricella dove l’esponente di Avanti con Ticino&Lavoro è cresciuta e dove vive con mamma Rosa: «Con mamma io sto bene, ma sto pensando di trasferirmi a Lugano» (ndr. le elezioni comunali del 2024 ovviamente non sono estranee a questa scelta). Inutile però tentare di approfondire il tema, almeno fino a domenica 19 novembre. «Sono rimasta con mamma dato che non ho marito o compagno e qui sono sempre stata bene, non l’ho voluta lasciare sola. Ma la donna di casa è lei, io non amo cucinare, ma adoro mangiare».

La Calabria e la valigia in cartone
A fare gli onori di casa c’è mamma che ci crede a digiuno da settimane proponendo olio d’oliva, salame piccante e melanzane alla parmigiana. Amalia la frena: «Mamma, tutto a posto, non ti preoccupare» (ndr. ma l’olio di mamma Rosa non me lo sono lasciato scappare). E poi si rivolge a me: «Lei è così, l’accoglienza deve essere sempre perfetta e la generosità è nella sua natura». E allora, chiediamo, è per questo che a 45 anni Amalia non è ancora uscita di casa? Il capitolo che si apre con questa domanda non è solo gioioso e porta alla vita e al vissuto della famiglia Mirante. «Mio papà Francesco, è emigrato dalla Calabria giovanissimo, ancora adolescente, con una valigia in cartone. Era partito dopo la morte della mamma, non c’erano prospettive, non c’erano alternative. Ha fatto molti lavori, prima come sarto dalla ditta Ghezzi che faceva le divise militari e per la Posta». «Viviamo qui da 54 anni, mi sono sposata, sono venuta in viaggio di nozze e sono rimasta – ci dice mamma Rosa – che d’inverno e d’estate torna comunque un po’ in Calabria». Amalia, nata e cresciuta in Ticino, è la seconda di tre figli (il maggiore Giuseppe, la minore Stefania) di una famiglia italiana che si è radicata e integrata da noi. E il percorso della nostra interlocutrice oggi politica sulla cresta dell’onda, lo dimostra senza ombra di dubbio. Il racconto torna a papà, scomparso nel 2009 colpito da un male incurabile, che è rimasto il fulcro, l’esempio e la guida della famiglia, nonostante sia scomparso da anni. «Ha svolto tanti lavori ed è stato protagonista di molte avventure, da quando ha raggiunto il fratello a Cademario. Ma per una settimana ha dormito alla stazione di Lugano perché non aveva nulla. Da immigrato italiano non era così ben accettato e non è stato tutto facile per lui. Poi storicamente è stato dipendente come meccanico di precisione, concretamente si trattava delle biglie delle penne, fino a quando, con orgoglio e passione si è messo in proprio con 7-8 dipendenti. Anche mamma ha sempre lavorato, perché c’era da mandare avanti la famiglia».
L’appellativo di «compagna»
Ma veniamo ad Amalia, che appare un po’ ovunque incorniciata sulle pareti di casa, compreso il volantino della campagna del 2019, l’ultima con il PS: «Ecco, qui si vede il logo del partito, lo dico tanto per ricordarlo a chi affermava che avevo fatto campagna senza mostrare il partito». E oggi, lontana dal suo ex partito, le manca non essere più chiamata «compagna Amalia»? «Da coloro che non erano veri compagni non mi manca affatto, ma ho ancora ottimi rapporti con i compagni veri».

Regole fatte per essere violate
E cosa si può dire della piccola Amalia? «Ero una peste», più o meno di oggi? rilanciamo, «indubbiamente di più, oggi sono molto tranquilla rispetto ai primi anni e alla pubertà. Da piccolina, in particolare, era poco ubbidiente, di fronte alle regole ho sempre avuto una ferrea abitudine, quella di violarle. Sono stata sempre tosta, e anche incline ad alzare le mani. Se dovevo bisticciare e fare a botte (senza badare al genere dell’antagonista) non mi sono mai tirata indietro». Qualcuno si lamentava con mamma, «che rispondeva semplicemente “dica a suo/a figlio/a di dargliele indietro”». Aneddoti o ricordi? «Beh, la mia infanzia è stata contraddistinta dal lavoro dei miei genitori. Avete in mente i bambini con la chiave al collo?». Ecco, Amalia e i suoi fratelli erano tra questi. «Una realtà che ho toccato di persona, il rientro a casa, il Tam-tam sul tavolo, giocare con gli amici all’aperto e un poco di tv in attesa dell’arrivo di mamma e papà e il fratello più grande si doveva fare carico di entrambe le sorelle» aggiunge Mirante. E con la sorella, più piccolina, com’era? «Era un po’ come un giocattolo, fortemente viziata, avevamo un istinto protettivo. E, ancora oggi, il nostro rapporto è ottimo, in particolare con Stefania, il legame è fortissimo».
Bigiare e non farsi beccare
«Odiavo andare all’asilo, se potevo schivavo. Alle elementari ero molto brava, ma frequentare non mi piaceva, capitavano pertanto mal di pancia o otiti (finte o vere)». E alle medie? «Le ho frequentate a Camignolo e mi sono resa conto che impegnarsi a scuola era importante, una forma di rispetto verso i miei. Credo che sia così per molti figli di immigrati. Era fondamentalmente l’occasione che loro non avevano avuto. In casa nostra non mancava nulla, ma non c’erano i vestiti firmati. Ma non ero interamente coscienziosa e le Medie non sono state un periodo splendido. Ero piuttosto solitaria, sempre ribelle nei confronti del sistema, tante le discussioni e nessuno avrebbe scommesso su di me 5 centesimi. Discutevo e mi scontravo con i docenti e, lo ammetto, bigiavo pure. Ma mai mi hanno beccato».
Voleva fare il meccanico
Siamo ai tempi del motorino, «un Ciao di colore viola, con sella rossa e cerchi gialli». Colori forti, come d’altronde è ancora così per una donna che adora il fucsia e non lo nasconde. «Ah, il motorino, adoravo anche fare un po’ il meccanico, come pulire la candela (lo faccio ancora con il tagliaerba). In quarta Media volevo fare il meccanico, ma l’orientatrice non mi aveva trovato un posto per lo stage di tre giorni in un’officina». E papà era generoso con Amalia? «Molto e io ero un poco, ma non fraintendetemi “manipolatrice”. Riuscivo ad ottenere quanto chiedevo. Puntualizzo poi che ogni lavoro manuale faceva per me, anche montare lampade o prese, ma non mi è mai piaciuto usale il trapano per forare i muri».

Top manager spietatissima
Il Liceo a Trevano è scivolato via, come dice Amalia «per inerzia scolastica, sapevo che dovevo passare, ma avevo perso il piacere di andare bene a scuola, anni contraddistinti anche dall’età e sentivo di essere in un mondo non propriamente mio». E, tornando a papà, «sono riuscita a farmi comprare il cinquantino (ndr. scooter)». Alla fine della quarta è stato subito amore per l’economia? «No, io volevo fare il medico». Dottoressa Amalia? «Esatto, ero affascinata dalla medicina d’urgenza e poi di andare con Medici senza frontiere. Ho fatto un anno di Medicina a Losanna, ma non ho superato gli esami. Il mio primo insuccesso, difficile da gestire. Ho cambiato e sono rientrata in Ticino, optando per la Facoltà di economia all’USI». Un salto da un capo all’altro parlando di genere di formazione? «Esatto, diciamo che le mezze misure non fanno per me. Nel frattempo avevo fatto la scuola esercenti perché papà aveva aperto un bar». E l’idea cosa era? «Diventare una top manager spietatissima. Poi invece mi sono un po’ calmata, con la voglia di affrontare le teorie economiche e ho approfondito la macroeconomia. Mi sono laureata molto bene con il professor Mauro Baranzini che ancora oggi adoro e abbiamo un rapporto stupendo». Ha lavorato all’IRE, è stata un anno in Belgio, ha insegnato all’USI e alla SUPSI, dove oggi lavora all’85%. «L’insegnamento mi ha affascinato, il contatto con le persone e la voglia di trasmettere qualcosa, e di confrontarsi con le domande e i dubbi che ha chi vuole apprendere. Fornire gli strumenti per essere liberi, per crearsi una propria opinione. L’aula è il mio mondo, ossigeno puro».
La prima tinta ai capelli
Chiacchierando e osservando Amalia, viene spontanea una domanda del suo essere-apparire. Perché i capelli color fucsia? «Ah, questo non me lo ha mai chiesto nessuno. In natura sono scuri, poi a 19 anni un giorno li ho tinti di rosso. A quell’età ho dovuto fare un intervento maxillo facciale, in precedenza ero una ragazza che rifiutava la sua femminilità, dopo l’intervento mi sono riscoperta donna. Prima mi vestivo con magliette larghe e il chiodo e ho cambiato anche il modo di presentarmi». E il fucsia? «Arriva dopo l’Università, dove in economia tutti erano vestiti seriamente e tendenzialmente di blu, io ho voluto distinguermi. Io non volevo rinnegare il mio essere donna, ma esaltarlo. Io sono donna, ci tengo a che mi sia riconosciuto questo dato di fatto. Ho iniziato dalla custodia del PC, una sciarpa o altro di color rosa. Poi, ci sono state le varianti cromatiche. La forza di essere fucsia, la forza di essere donna». E sul vestito bianco spicca la spilletta della Campagna nastro rosa, icona della lotta al tumore: «Non la indosso saltuariamente, ma sempre. Solo così è vera solidarietà».

La visita quotidiana
Saliamo sull’auto di Mirante per un giretto a Taverne-Torricella, passando per i luoghi che hanno contraddistinto la sua carriera politica, come il Municipio, ma anche il cimitero «dove è sepolto papà e dove mi reco tutti i giorni per un saluto. Ero davvero legata a lui». I fiori sono freschi e luminosi: «Talvolta mi siedo sulla tomba e resto come per fargli compagnia». Poco più in là tre operai sono al lavoro e la salutano amichevolmente, uno si dichiara politicamente: «Amalia, in famiglie i quattro voti sono tutti per te, contaci». Lei ringrazia. Ma ci crede davvero all’elezione agli Stati? «E perché mai dovrei mettermi sotto pressione? Lasciamo arrivare domenica 19, poi ne parliamo». Un bel dribbling, non c’è che dire.
Ripensamento a sinistra
Ci dirigiamo verso casa della sorella, «il quartiere generale della mia campagna, lei è una macchina, non le sfugge nulla», prima dell’aperitivo ad Agno. Ma pensa ancora al PS? «Ma che domanda Righinetti, preferivo quella sui capelli» afferma con un briciolo di ironia. «Sono loro che non mi hanno più voluta, ma ho sentito, proprio alla sua trasmissione “La domenica del Corriere” che c’è stato un po’ di ripensamento. Mi permetta di fare una battuta: io guardo Avanti (con Ticino&Lavoro), stiamo vivendo un’esperienza fantastica. Io sto bene, noi stiamo bene, a loro non penso più».