Votazione

Aperture dei negozi che dividono: opportunità oppure inganno?

Il 18 giugno in Ticino i cittadini si esprimeranno su alcune misure volte a dare maggiore flessibilità al settore della vendita: la quarta domenica di apertura generalizzata, un'ora in più nei festivi non parificati e l'aumento del limite di superficie per le deroghe nelle località turistiche
© CdT/Chiara Zocchetti
Red. Ticino&Svizzera
20.05.2023 06:00

Doppia intervista ad Alessandro Speziali (favorevole) e Giangiorgio Gargantini (contrario).

Alessandro Speziali: «Una modifica ragionevole per dare una mano ai commerci e al turismo»

Per quale motivo bisognerebbe votare sì alla modifica della legge sui negozi?
«Per dare una mano ai commerci, per rafforzare l’attrattiva turistica del nostro Cantone e per animare maggiormente le nostre vie, in Valle e nelle Città. È una modifica ragionevole, attuale e coerente. I negozi potranno aprire una domenica in più ed estendere la propria superficie di vendita, perché i bisogni della clientela evolvono: il Ticino va ben oltre i boccalini e i souvenir anni ’80. Il turismo che sceglie il Ticino dispone spesso di un potere di acquisto interessante, con esigenze diverse e con una particolare sensibilità per i prodotti locali. Desideriamo dare maggiore libertà, tenendo ben presenti le difficoltà vissute durante la pandemia con le sue numerose restrizioni. E non da ultimo, i commerci oggi devono competere e lottare con le realtà online e l’offerta oltreconfine. Ecco perché occorre votare sì».

Questa legge, però, è fresca-fresca. È entrata in vigore solo tre anni fa dopo lunghi negoziati. Perché concedere già oggi un’ulteriore liberalizzazione del settore?
«Per un Ticino moderno e dinamico, perché le esigenze e le abitudini evolvono nel tempo. Ripetiamolo comunque ancora: si tratta di un allentamento molto ragionevole delle regole. Nulla di selvaggio o indiscriminato, anzi. Non scalfiamo la legge federale sul lavoro e non vogliamo nemmeno mettere ulteriormente sotto pressione il mercato del lavoro. Stiamo parlando di modifiche al passo coi tempi, ben accolte anche dai negozianti che s’impegnano tutto l’anno, non senza fatica nel far quadrare i conti. Ho accennato ai periodi difficilissimi dei lockdown e delle limitazioni, ma non dimentichiamo che stiamo attraversando un periodo di crisi internazionale: ogni boccata d’ossigeno è positiva. Ecco perché occorre aggiornare la legge e guardare ai prossimi anni».

Già oggi la legge concede una grande libertà, soprattutto nelle località turistiche. Una libertà che però spesso i piccoli commerci non sfruttano, probabilmente perché non conviene. Così non rischiamo di avvantaggiare solo i grandi commerci che possono organizzare la turistica dei dipendenti in maniera più flessibile?
«No. La cultura dell’apertura impiega il suo tempo per conquistare le abitudini, sia tra i commercianti sia tra i clienti. È una possibilità, un’opportunità, una libertà. Non un obbligo. Le grandi catene di distribuzione hanno superfici ben oltre i metri quadrati che proponiamo di aprire. Inoltre, sappiamo che c’è un circolo virtuoso tra negozi, grandi commerci, ristoranti e altre attività. E mi sia concessa un’osservazione: se ci sono attività che restano chiuse la domenica, ve ne sono moltissime che tengono aperto, che si impegnano, alzano le saracinesche e accendono le luci, facendo vivere i nuclei, i portici e le strade dei nostri Comuni. Di esempi ce ne sono tanti, e ne fioriranno parecchi. Ne guadagnerà anche l’economia locale, fatta di piccoli produttori ai quali si rivolge sempre più attenzione». 

E con la protezione dei lavoratori come la mettiamo? Davvero un futuro in cui tutti lavorano la domenica è desiderabile?
«Non intendiamo allentare leggi che proteggono il lavoro, ci mancherebbe. E non diventeremo Ibiza o New York, con una società tarata sulle 24 ore. Con le nostre proposte intendiamo semplicemente dare un po’ più di libertà, capace di generare nuove opportunità di lavoro, in un Cantone che ha bisogno di dinamismo e crescita. Personalmente sono da sempre convinto dell’importanza della protezione del mercato del lavoro, specialmente alle nostre latitudini. Il contratto collettivo di lavoro è uno strumento fondamentale per la pace sociale e per il progresso, soprattutto quando sentiamo la fortissima concorrenza d’oltrefrontiera. Mi auguro che possa essere confermato anche in futuro. Votare sì rende il Ticino più desiderabile per i commercianti, i residenti, i turisti e tutti coloro che hanno bisogno di lavorare di più. Al di là delle retoriche massimaliste, questa proposta è pragmatica, concreta e vicina al territorio. Ecco perché guardo con fiducia al voto del 18 giugno, dove ognuno potrà dare il suo contributo per un Ticino un po’ più… aperto». 

Il presidente del PLR, Alessandro Speziali. © CdT/Chiara Zocchetti
Il presidente del PLR, Alessandro Speziali. © CdT/Chiara Zocchetti

Giangiorgio Gargantini: «Una legge pericolosa, si vuole sdoganare il lavoro domenicale»

Per quale motivo bisognerebbe votare no alla modifica della legge sui negozi?
«Perché la legge federale sancisce il divieto del lavoro domenicale, a tutela di tutti i lavoratori e le lavoratrici. Sono ovviamente previste eccezioni per le attività ritenute essenziali, al cui personale vanno garantite dovute tutele, che purtroppo non esistono in un settore contraddistinto da salari bassi e precariato. Voler aprire 365 giorni all’anno per 16,5 ore al giorno i negozi con una superfice fino a 400 m2 significa aggirare questo divieto e sdoganare il lavoro domenicale nella vendita, con conseguenze in molti altri settori professionali. Una legge pericolosa quindi, e inutile, perché contrariamente a quanto dicono i suoi fautori, non porterà alla creazione di posti di lavoro e non contrasterà il turismo degli acquisti. E che ovviamente non concerne soltanto “un’ora in più per una manciata di giorni”, come scritto nell’opuscolo informativo dai favorevoli alla nuova legge, bensì fino a 45 ore settimanali di aperture supplementari. E una legge, inoltre, che metterà in grande difficoltà i piccoli commerci. È dimostrato dall’esempio italiano che queste aperture trasferiscono sulla domenica buona parte delle vendite settimanali, senza aumento della cifra d’affari globale. Questo significa che chi potrà garantire queste aperture modificando il piano d’impiego del personale avrà la possibilità di aprire, contrariamente ai piccoli che non potranno imitarli e perderanno quindi cifra d’affari rispetto alla grande distribuzione (che significa gruppi internazionali o catene alimentari, indipendentemente dalla superficie di vendita della filiale in questione!). Per questa ragione, già oggi la maggioranza dei piccoli commerci rifiuta di seguire le direttive ricevute dalle associazioni di categoria e dalla destra politica del cantone, scegliendo di non aprire nei giorni concessi dalla legge entrata in vigore nel 2020 (i giorni festivi non parificati alla domenica, vale a dire San Giuseppe, Lunedì di Pentecoste, Corpus Domini, Immacolata e SS. Pietro e Paolo, oltre alle aperture generalizzate 7/7 per i negozi fino ai 200m2). Ma ora che la nuova legge beneficerà anche ad una parte importante di grande distribuzione, i rischi di perdita di cifra d’affari saranno più alti, mettendo in difficoltà il tessuto economico locale, in particolare nelle zone periferiche»

Ma così facendo non rischiamo di svantaggiare i negozi nella concorrenza con quelli italiani e soprattutto con quelli online?
«La grande maggioranza di chi fa spesa in Italia lo fa per ragioni economiche, visti i bassi salari ticinesi: basta guardare le colonne di auto in uscita il sabato. Quella della concorrenza sugli orari è una scusa di chi non vuole ammettere che si spende sulla base di quanto si ha in tasca e non di quante ore siano aperti i negozi! Promozione e vendita online fanno oramai parte delle nostre abitudini, e il commercio deve cercare di sfruttare questa opzione (come per altro fanno già in molti, con ottimi risultati) invece di pensare di contrastarlo». 

I favorevoli, però, fanno anche notare che la protezione dei lavoratori è “blindata” dai vari contratti collettivi, nonché dalla stessa legge. Perché la protezione dei lavoratori dovrebbe essere a rischio se essa è garantita da legge e CCL?
«La legge prevede che i dipendenti firmino un accordo specifico per lavorare la domenica, ma tutti sanno che si tratta di una formalità alla quale è impossibile opporsi. Chi non firma è fuori! In assenza di ogni minima tutela contro il licenziamento, chi parla di protezione o blindatura è in perfetta malafede. E sfido chiunque a cercare un eventuale forma di protezione all’interno del CCL in vigore del settore: ancora una volta, chi lo dice mente sapendo di mentire». 

Voi dite che, seguendo la “tattica del salame”, a questa modifica ne seguiranno altre, verso l’apertura generalizzata 7 giorni su 7, per 16 ore al giorno. Ma le aperture domenicali sono regolate a livello federale. Non state esagerando da questo punto di vista?
«La legge federale prevede un massimo di quattro aperture domenicali. Ma fatta la legge, trovato l’inganno: le aperture per determinati ambiti “straordinari”. Nell’ordine, prima ne hanno beneficiato le zone di confine, poi quelle “a traffico intenso”, poi le stazioni ferroviarie, e infine le stazioni di servizio. Poi si è passati “soltanto” alle zone turistiche, salvo poi definire che in Ticino le stesse rappresentano più di 2/3 del territorio cantonale! Nelle quali nel 2020 si era messo un limite a 200m2 di superficie dei negozi, che ora si vuole raddoppiare a 400m2. La prossima tappa sarà l’abolizione della metratura, che sarà presentata come “oramai anacronistica” (lo dico già oggi, a futura memoria). Tutte evidenti e incontestabili “fette di salame”. A questo punto, l’ultima fetta di salame che resta è quella sugli occhi di chi nega ancora questa indiscutibile realtà». 

Il segretario generale di UNIA, Giangiorgio Gargantini. © CdT/Chiara Zocchetti
Il segretario generale di UNIA, Giangiorgio Gargantini. © CdT/Chiara Zocchetti
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