Asperger, una sindrome e due facce della stessa medaglia

Oggi, il 18 febbraio, si celebra la Giornata mondiale della sindrome di Asperger, che prende il suo nome dal pediatra austriaco - Hans Asperger - che agli inizi degli anni ‘40 diagnosticò per la prima volta il disturbo, annoverato fra quelli dello spettro autistico. Per l’occasione, abbiamo sentito Michel Rapelli, responsabile del Gruppo Asperger Ticino (GAT) e membro del comitato di Autismo Svizzera e di Autismo Svizzera italiana, e raccolto la testimonianza di Riccardo (nome d’invenzione, la vera identità è nota alla redazione), portatore della sindrome.


Partiamo dal Gruppo Asperger Ticino. Signor Rapelli, da quanto è attivo il gruppo e quante sono le adesioni?
«Il nostro è un gruppo piccolissimo. È stato fondato due anni fa e si rivolge a persone con la sindrome di Asperger, ma anche ai loro amici, colleghi o persone interessate. Abbiamo all’incirca 40 persone che ruotano intorno al gruppo. Ma quando ci riuniamo, spesso siamo una decina. Questo da un lato perché è un’iniziativa del tutto nuova. D’altro canto anche perché gli autistici in generale, e gli Asperger forse in modo ancora più marcato, hanno una tendenza molto forte a rimanere sulle loro, senza farsi vedere, senza farsi conoscere. Sono persone spesso estremamente discrete. Faccio un paragone: gli autistici rappresentano circa l’1% della popolazione. Anche i rappresentanti della comunità omosessuale sono l’1-2% circa. La popolazione è pressoché identica quindi in fatto di numeri, ma ci sono invece grandi differenze a livello di visibilità: l’autistico non vuole farsi vedere e fa fatica a promuovere la conoscenza della sua particolarità. Il gruppo quindi inizia a svilupparsi poco a poco».
Quali sono gli obiettivi del gruppo?
«Cerchiamo di non orientarci ad argomenti specifici, come la scienza o la tecnologia. Siamo solo un gruppo di amici nato per riunire gli Asperger e per permettere alle persone che cercano informazioni sulla sindrome di venire e avere di fronte a sé delle persone che vivono questa particolarità».


Oggi la sindrome è sempre più nota, anche grazie alla presenza di personaggi più o meno famosi, come ad esempio Greta Thunberg, che hanno contribuito a divulgare informazioni in proposito. C’è ancora qualche forma di esclusione per le persone che ne sono toccate?
«Come detto c’è la tendenza delle persone che hanno l’Asperger di isolarsi e rimanere in disparte. D’altro lato, se ci si trova in una situazione di vita comune, il fatto che non si veda esternamente che c’è una particolarità in una persona Asperger, non permette alla gente di rendersi conto. Se, quindi, si è confrontati con una difficoltà di comunicazione o di comprensione, la gente pensa di avere a che fare con qualcuno di capriccioso, disdegnoso, o magari con qualcuno che cerca di creare conflitti. Eppure non è così. Questo spesso induce una sorta di fraintendimento».
Quello di Asperger è un disturbo che spesso, soprattutto in passato, è stato difficile da identificare, come mai?
«Ci sono due motivi. Prima di tutto perché questo disturbo è stato scoperto di recente: le prime diagnosi risalgono a 20 o 30 anni fa solamente. Prima non se ne conosceva l’esistenza. L’altro motivo è il fatto che quando c’è un segno esterno molto visibile è facile orientarsi verso una determinata diagnosi. Ma in molti casi non c’è assolutamente niente all’esterno che faccia capire che ci sia una particolarità. Dunque nessuno si rende conto che la persona ha l’Asperger. La gente pensa solo ad un tratto caratteriale e non considera la possibilità di indagare oltre».
Pensa ci siano ancora tante persone toccate che non hanno una diagnosi?
«Sì, tutte quelle nate prima che si identificasse l’esistenza dell’Asperger e che quindi hanno vissuto gran parte della loro vita senza aver avuto la possibilità di essere diagnosticate. E poi tutte le persone - ed è uno schema standard con l’Asperger - che tendono ad essere discrete e che però hanno qualcosa. Nel nostro gruppo, per esempio, ci sono dei giovani sui quali anche gli specialisti si interrogano chiedendosi se corrisponde o non corrisponde con l’Asperger. Questo proprio perché il ventaglio di comportamenti è così ampio, vasto e irregolare, che diventa difficile applicare una chiave di lettura omogenea su tutte le persone. Questa è la difficoltà».


Oggi la diagnosi è più facile?
«La parola ‘’facile’’ forse non è adeguata: possiamo dire che oggi la diagnosi è molto più ‘’precoce’’. Per l’autismo ci sono delle strategie che ora permettono di identificarlo anche nei neonati. Questi primi elementi di riconoscimento della problematica consentono di fare dei passi avanti. Il disturbo quindi viene individuato in anticipo e intorno ai sei anni si ha una visione abbastanza chiara della situazione. Tra le persone Asperger ci sono quelle che hanno difficoltà comportamentali o difficoltà cognitive. Nelle persone ad ‘’alto potenziale cognitivo’’, che è pure una forma di Asperger, è esattamente il contrario: sono persone orientate verso la formazione e hanno tanti interessi diversi».
Come può una persona che non è stata diagnosticata riconoscere di avere questa particolarità?
«Non sono la persona adatta per dare un consiglio e tanto meno una diagnosi. Quello che posso suggerire è di partecipare ai nostri incontri per discutere con noi, senza per forza avere l’intenzione di indagare. Con più informazioni sulla nostra vita, sulle nostre reazioni, si può scoprire in che modo siamo arrivati alla diagnosi e magari orientarsi su un percorso da seguire».
La testimonianza di Riccardo, persona con la sindrome di Asperger
Ogni Asperger è diverso da un altro. Difficile quindi definire in modo chiaro questa sindrome. Per capire meglio di cosa si tratti, Riccardo (nome di fantasia) ci ha offerto la sua testimonianza. «Non molti sanno che nello spettro dei disturbi autistici, che sono vari, c’è questa particolare sindrome, quella di Asperger, e nell’Asperger c’è poi quello che è definito ‘’alto potenziale’’. Nel mio caso sono anche ‘’alto potenziale’’ che rende la situazione ancora più complessa», spiega.


«Ho ricevuto la diagnosi a 56 anni», racconta. «Fu una liberazione. È sempre importante mettere una parola su una particolarità o su un comportamento. Lo è ancora di più per una persona Asperger, che ha la tendenza innata a cercare, indagare e capire. Poter dare una definizione vuol dire, almeno per una piccola parte, aver capito».


«Così, mi è stato permesso di capire come mai c'è sempre stata distanza, a scuola, nell'adolescenza e durante la mia vita adulta e professionale tra il gruppo sociale nel quale mi trovavo e me», dice Riccardo, aggiungendo che «la scuola è stata terribilmente noiosa per anni, non riuscivo a capire perché il mio interesse per la tecnica e l'elettronica facesse fuggire i miei compagni di classe. All'epoca la televisione era appena diventata onnipresente nelle case e nei discorsi dei giovani in classe o in cortile. Io non la guardavo dall'esterno ma dentro, come oggetto di sperimentazioni tecniche. Quando una ragazza mi parlava del film e degli attori che voleva vedere, rispondevo con nozioni sul materiale utilizzato per realizzarlo».
«All'epoca - prosegue - la diagnosi di Asperger non esisteva. Né gli insegnanti né i miei genitori capivano in che mondo stessi vivendo. Ero estremamente curioso di tutto ciò che riguardava la tecnica, la fisica, la scienza, e ancora di più per la gente che lavora in questi campi. Questa curiosità mi ha fatto seguire un percorso professionale molto atipico ma alquanto affascinante: meccanica generale, elettricità, ricerca in microelettronica, informatica di gestione, consulenza informatica, insegnamento d'informatica, poi ho seguito la formazione di pilota di linea ed ora sono studente universitario di teologia protestante. Questa curiosità è stata presente anche nella mia vita sociale, con un impegno in molti contesti locali. Sono cofondatore di un asilo nido a tempo pieno, vicepresidente del mio comune di domicilio, presidente della commissione delle finanze dello stesso comune e altro ancora. Per non parlare delle lunghe serate di ricerca nel campo dell'astrofisica».


Per un individuo ad ‘’alto potenziale’’ tuttavia non è tutto rose e fiori. «Dietro a tutto questo c'è una grande difficoltà relazionale, con compagni di scuola, colleghi, datori di lavoro, amici di società e anche nell’ambito del rapporto di coppia», racconta Riccardo. Una difficoltà, dice, che «usualmente è dovuta all’incomprensione di fronte ad una persona etichettata come ‘’genio’’. Ma non sono un genio, solo una persona che pensa in un altro modo: dico ciò che penso in un altro modo, solitamente basandomi sui fatti, senza risentimento, senza tutte le sfumature convenzionali e i codici sociali. Questo crea regolarmente delle difficoltà. Quante volte mi è stato detto: ‘’Tu che sai tutto, perché non sai questo?’’. No, non so tutto, e più vado avanti nella vita, più ho bisogno di comprendere e scoprire», afferma Riccardo. «La mia vita è fatta contemporaneamente di punti forti e deboli, facilità difficili, con un’ampiezza superiore alla media, e la gente continua a credere di far bene guardando solo i momenti ‘’alti’’, credendo che siano sinonimo di successo. Questo non è affatto vero, sennò avrei un lavoro da sogno, una grande fama e una situazione invidiata da molti. Il bambino che continua a vivere in me, nel fisico di un pensionato, rappresenta bene questa dualità di momenti», spiega.


Un’altra particolarità che Riccardo racconta di sé: «Se m'incontri per strada, non avrai la possibilità di intuire la mia particolarità, il mio fisico ed il mio comportamento non lasciano trasparire niente, benché tanti odori e rumori, anche all’apparenza discreti siano troppo forti per me. E parlando di incontrarsi per strada: se non ti riconosco e passo senza dirti ‘’buongiorno’’, non prenderla male: il mio cervello non memorizza i visi. Sono soggetto a prosopagnosia abbastanza forte».