Il bilancio

Capanne, un anno difficile

Una dopo l'altra, le strutture alpine ticinesi stanno chiudendo per l'arrivo dell'inverno – I pernottamenti sono in calo un po' ovunque a causa del maltempo ma la situazione non desta preoccupazione – Sul tavolo ci sono numerosi progetti, anche per ridurre l'impatto ambientale
©CAS LOCARNO
Giona Carcano
04.11.2024 06:00

Una dopo l’altra, le capanne alpine ticinesi stanno chiudendo per l’arrivo dell’inverno. I gestori sistemano la cucina, le stanze, le sale, la dispensa. Verificano che il rifugio invernale sia dotato dello stretto necessario, e poi scendono a valle. Nelle scorse settimane, complice anche il meteo non incoraggiante, quasi tutte le strutture hanno terminato l’attività. Una stagione, diciamolo subito, sottotono: la neve rimasta fino a inizio estate, il maltempo che ha colpito molte zone del Ticino fra giugno e luglio e un autunno umido non hanno certo aiutato. Eppure, nel tracciare il bilancio dell’annata, i gestori non vogliono sentir parlare di crisi. Anzi, visto il contesto, i numeri delle presenze in capanna non sono da buttare. 

Sotto i 10mila

«In generale, la perdita complessiva si aggira sul 30% rispetto al 2023», ci spiega Richard Knupfer, responsabile delle capanne per la sezione ticinese del Club Alpino svizzero (CAS). Ma è difficile trarne un giudizio generale, perché ognuna delle sei strutture di proprietà del CAS ha peculiarità uniche. «Il Cristallina ha subito la dinamica peggiore, con un -40% di pernottamenti», prosegue. «Ciò è dovuto principalmente a due fattori: da un lato, l’enorme quantità di neve caduta lo scorso inverno ha impedito l’accesso alla capanna per diverse settimane. Dall’altro, c’è stata l’alluvione in Vallemaggia». La chiusura della strada per Robiei è stato un duro colpo. Discorso simile, per quanto riguarda la quantità di neve, anche per la storica capanna Campo Tencia. «Qui parliamo di un -25% di pernottamenti rispetto all’anno precedente», rileva Knupfer. «Un dato ancora accettabile, alla luce anche del cambio di gestione». Con il segno meno anche la Motterascio (-7%), l’Adula (anche qui da segnalare una nuova gestione) e la Monte Bar (-25%), mentre ha retto la Baita del Luca. «Nel 2023, sulle sei strutture, avevamo totalizzato 13.400 pernottamenti, quest’anno non so se arriviamo ai 10mila», osserva Knupfer. «Abbiamo già avuto stagioni simili, influenzate dal meteo». Non si può dunque parlare di crisi, anche perché questo tipo di attività è evidentemente legata a doppio filo al clima. Inoltre, in generale, la tendenza è chiara: dopo la pandemia, molte più persone scelgono la montagna per trascorrere il loro tempo libero. «L’escursionismo e le racchette sono diventate di moda», rileva il membro del CAS. «Ciò comporta anche una certa educazione, e non lo dico in maniera negativa. Bisogna però rendere attente le persone nella gestione dei rifiuti o dell’acqua, ad esempio. Un processo che richiede tempo».

Si fa quello che si può

Di «lieve flessione» dei pernottamenti in capanna parla invece Giorgio Matasci, presidente della Federazione alpinistica ticinese (FAT), che raggruppa sotto il suo cappello la maggior parte delle capanne sparse sulle nostre cime (più di 30). «Prendiamo ciò che passa il convento», aggiunge con un sorriso. «Certo non abbiamo raggiunto i numeri del 2023, ma ci accontentiamo». Settimana scorsa, in una riunione di tutti i presidenti sezionali della FAT, è emersa una certa soddisfazione per l’andamento della stagione. «Anche se mancano ancora dati ufficiali», avverte Matasci. Per quanto riguarda le persone che frequentano la montagna, il presidente entra più nei dettagli. «I ticinesi rappresentano circa il 20-30% del totale di chi pernotta in capanna», spiega. «Tutti gli altri sono svizzero tedeschi, romandi, tedeschi. Basta dare un’occhiata ai registri delle capanne per rendersi conto che la maggioranza dei visitatori non proviene dal Ticino». Secondo Matasci, la visibilità che negli anni hanno ricevuto le capanne ticinesi è positiva. «Anche perché senza il pubblico ‘‘straniero’’ potremmo tanto chiudere la porta e mettere la chiave sotto lo zerbino». Un mondo che quindi resiste, anche grazie al tanto volontariato presente nelle sezioni regionali. «Ci diamo da fare e prendiamo le cose come arrivano, senza pensarci troppo», aggiunge il presidente della FAT. «Quest’anno per molte strutture la stagione è iniziata a luglio. Ma va bene anche così». Bilancio tutto sommato soddisfacente anche per l’Unione Ticinese Operai Escursionisti (UTOE) sezione di Bellinzona, una delle società alpinistiche più grandi del cantone. «Per le nostre cinque capanne, la stagione è stata corta a causa del maltempo. Inoltre, la struttura del Tamaro è stata chiusa anticipatamente per via dei lavori alla cabinovia», ci racconta Giorgio Riberi. Pure il presidente sottolinea l’aspetto positivo delle presenze straniere, perché «permettono di far conoscere il nostro territorio anche al di fuori dei confini cantonali». Tuttavia, Riberi ultimamente ha notato un aumento del carico burocratico per i «capannari». «Abbiamo chiesto un incontro con il Cantone proprio per capire in quale direzione si sta andando», dice, prima di sottolineare gli ingenti costi di gestione delle capanne. Senza contare le ore di lavoro da parte dei tanti volontari nel corso dell’anno.   

L’acqua, un bene non scontato

Sì, il sostegno dei volontari è fondamentale per mantenere viva questa attività. Un’attività che richiede tempo, passione, progettualità. Il CAS, ad esempio, sta concludendo i lavori per il nuovo impianto per lo smaltimento delle acque reflue. «Un progetto iniziato un paio di anni fa e che ha richiesto un accordo con i due patriziati proprietari del sedime», ricorda Knupfer. «I lavori sono iniziati lo scorso agosto, ora siamo in fase di rifinitura». Altre opere di miglioria sono stati effettuati alla capanna Adula. Ad ogni modo, è il tema dell’approvvigionamento di acqua a essere al centro delle preoccupazioni di chi gestisce le capanne. «Può sembrare scontato avere sempre acqua a portata di mano nelle Alpi, ma non è così», sottolinea Knupfer. Al CAS, proprio per cercare delle soluzioni a questo problema, è attiva una commissione speciale. «Stiamo analizzando le portate di tutte le sorgenti», spiega. «In Ticino, è stata inoltrata una domanda di costruzione per la messa in sicurezza di una sorgente alla capanna Motterascio. La Cristallina e la Tencia godono invece di un bacino imbifero importante. Speriamo che la situazione rimanga buona anche nei prossimi anni. Ma due-tre anni di siccità possono creare problemi a chiunque». Un altro tema riguarda la riduzione dell’impatto ambientale delle capanne. Ancora il membro del CAS: «In Ticino abbiamo fatto diversi investimenti, anche grazie a un fondo speciale creato dal CAS nazionale, per quanto riguarda le rinnovabili. Sarà difficile arrivare a una completa autosufficienza, ma lavoriamo per limitare il più possibile l’impatto energetico».