Capoeira di casa a Locarno
Il sole è calato già da un po’ e i corridoi delle scuole medie di Locarno, in via Varesi, sono deserti. In lontananza, però, si sente della musica. Arriva dalla palestra. Il ritmo e i suoni ricordano vagamente il mondo della foresta amazzonica, e infatti… Patrick Paolinelli sta terminando di impartire l’allenamento di «capoeira» a un gruppetto di bambini. Paolinelli pratica questa disciplina, di origine brasiliana ma che affonda le sue radici nell’Africa, da parecchi anni (guarda il video).
«La filosofia è quella di ‘cadere sempre in piedi’, come i
gatti – spiega mentre i piccoli lasciano l’area dedicata alle attività fisiche
per tornare a casa –. Ci si muove usando tutto il corpo. Quando lavoro con i
clienti nel mio salone (nella vita è parrucchiere, ndr), io stesso mi
‘sorprendo’ a compiere qualcuno dei passi, per esempio se devo girarmi per
afferrare qualcosa. Un po’ per abitudine, ma anche perché è il modo migliore di
muoversi». Intanto ecco Davide Bigotta, maestro che insegna agli allievi più grandi
(giovani e adulti). L’occasione è speciale perché si celebra il suo trentesimo
compleanno.
Su una panca sono già appoggiati una serie di strumenti
caratteristici che gli atleti, a turno, suonano durante gli incontri: il
berimbau (un filo d’acciaio teso su una bacchetta alla cui estremità una ‘zucca’
fa da cassa di risonanza), l’agogo (una campana da percuotere con un legnetto)
e l’atabaque (una sorta di grande tamburo).
Un paio di studenti hanno varcato il Monte Ceneri per essere
qui con il loro monitore. Alcuni indossano una comoda tuta leggera
completamente bianca, con il logo «Goya Capoeira». Hanno già iniziato
l’allenamento per conto loro, prima della «roda»: così si chiama il momento in
cui—in cerchio—si canta, si suona e si ‘combatte’ a turno, due a due, usando le
movenze tradizionali. Dopo alcuni saltelli, ecco il ‘ripasso’ delle mosse di
base. Il gruppo si muove in quel che sembra a tutti gli effetti una specie di
danza ipnotica e inaspettata. Un giro a destra, uno a sinistra, le braccia
vanno da una parte, il tronco dall’altra… un meccanismo ben rodato, come la
molla di un orologio. «Sì, sono bravi i miei allievi!», dice soddisfatto
Bigotta, il cui «soprannome da capoeira« è «Gafanhoto», «cavalletta» in
portoghese, che nella vita è docente.
«Il nome è assegnato al battesimo della
capoeira, quando si ricevono anche delle corde che segnano la ‘scala di
esperienza’ in questa disciplina. Normalmente è il nome di un animale». Nel
gruppo di oggi ci sono quindi Gato, Abelha (ape), Uncihna (giaguaro), Amazonas
(amazzone) e Viola, dal nome della ‘zucca’ più piccola che può avere il
berimbau. Proprio quest’ultima è una ragazza tedesca che ha praticato la
capoeira in Germania. Si è unita al gruppo di Locarno perché si trova qui in
Ticino per uno stage.
«La capoeira è un’arte marziale che abbraccia uno stile di vita. Qui si impara l’equilibrio fisico ma anche spirituale. Cerchiamo di seguire un codice etico e morale scritto anni fa dall’educatore sportivo brasiliano Bimba. Si imparano delle canzoni, quelle da eseguire durante la roda, si suonano le percussioni caratteristiche. Ci si muove tanto e si cerca di costruire un’intesa con il gruppo. Quando siamo in cerchio, durante la roda appunto, c’è molta libertà e armonia. Ci si muove, si cambia posto o si fa cambio con qualcun altro quando si suona uno strumento, chi vuole può sfidare o rendersi disponibile per una sfida. Lo scopo del combattimento non è ovviamente quello di colpire l’avversario, quanto di mimare le mosse di attacco e difesa, sfiorando da vicino chi sta di fronte a noi», dice Bigotta, mentre raggiunge i suoi studenti per concludere l’ultima sequenza di allenamento.
È il momento di una pausa prima della «roda». Annarita, 28 anni, è studentessa alla Supsi. «Mi piace molto, l’ho scoperta qualche anno fa grazie al mio compagno, che mi ha fatto appassionare», dice entusiasta. «Trovo che faccia molto bene e mi aiuta a trovare la giusta distanza tra tutti i pensieri. Mi alleno anche a casa, per conto mio. Non ripasso solo con le coreografie, ma anche le canzoni. Mi capita di suonare il berimbau magari alla sera, dopo una giornata particolarmente piena».
Ora sono tutti in cerchio. È il momento. Davide ringrazia il
gruppo di amici. Applausi, sorrisi. L’atmosfera è leggera e senza pensieri. Inizia
a suonare il berimbau, partono anche le altre percussioni. E sembra di essere
su un altro pianeta.
I primi sfidanti iniziano a scambiarsi i passi di
«danza-combattimento». Un paio di ragazze si muovono in maniera rapidissima.
Ruote, piroette, calci circolari… ben piazzati e sempre studiando i movimenti
dell’avversario, ma a distanza di sicurezza. I partecipanti, soprattutto quelli
che combattono, si divertono da matti e si vede che, nonostante il sudore e la
fatica, l’interazione è molto piacevole. Appare evidente sui loro volti.
Il maestro non può ovviamente sottrarsi agli incontri. E parte spontaneo, dal gruppo, una melodia familiare suonata con gli strumenti della capoeira: è «Tanti auguri a te», cantata in portoghese…