Caprino, risarcimento milionario

Si è chiuso l’ultimo capitolo della vicenda giudiziaria dell’aggressione ai danni di una giovane turista tedesca avvenuta davanti a Caprino, in territorio italiano, nell’ottobre del 2004. Dal profilo penale, la questione si era chiusa da tempo con la condanna dell’aggressore, allora minorenne, al collocamento con presa a carico educativa e psicoterapeutica. Era però rimasta aperta la questione del risarcimento: la vittima era stata colpita con una spranga e aveva perso l’occhio destro. Nel 2009 aveva chiesto all’aggressore e ai genitori adottivi un indennizzo di circa 1,47 milioni di franchi. Undici anni dopo, la Pretura di Lugano le aveva dato parzialmente ragione, condannando l’aggressore al pagamento di 1,6 milioni di franchi e respingendo le pretese a carico dei genitori. La ragazza, patrocinata dall’avvocato Roberto Haab, aveva ricorso in appello ottenendo ragione: il 6 febbraio 2023 la I Corte civile ha accertato la responsabilità solidale dei famigliari e ha calcolato in 1,78 milioni (più interessi) il risarcimento totale da versare. I genitori adottivi, rappresentati dall’avvocato Andrea Lenzin, avevano impugnato al Tribunale federale la sentenza di secondo grado.
L’Alta Corte federale ha però dato loro torto. Con sentenza del 27 marzo scorso, pubblicata ieri, i giudici di Mon Repos hanno confermato la decisione di Appello e, in particolare, l’applicazione del diritto italiano, più restrittivo per quanto concerne la responsabilità dei genitori. L’aggressione (i colpi di spranga) era infatti avvenuta, seppur per pochi metri e poco tempo, proprio in territorio italiano (la successiva colluttazione e la fuga erano avvenute in territorio elvetico).
In estrema sintesi, al pari della Corte di Appello anche il Tribunale federale ha stabilito che non era possibile imputare ai genitori una carente educazione del figlio. Tuttavia, gli stessi, «non hanno adeguatamente vigilato sullo stato psicofisico e sul comportamento del figlio e hanno omesso di prendere provvedimenti per curare la sua salute, ciò che sarebbe bastato per portare la prova positiva, richiesta dal diritto italiano applicabile, di aver esercitato una diligente sorveglianza».