Ticino

Carlo Battaglini torna a parlare: «La politica torni a essere una corsa di doveri»

Grazie alla ricerca storica e all’intelligenza artificiale, il Circolo Liberale di Cultura Carlo Battaglini celebra i suoi 60 anni dando voce al grande liberale ticinese dell’800
©Chiara Zocchetti
Mattia Sacchi
09.02.2025 10:00

Analizzare il passato per guardare il futuro: è proprio così che il Circolo Liberale di Cultura Carlo Battaglini ha voluto celebrare il suo 60° anniversario, con un dialogo senza tempo tra la presidente Morena Ferrari Gamba, Giovani Zavaritt e il grande politico ticinese Carlo Battaglini.

Lo scorso 29 gennaio, presso l’ex Asilo Ciani di Lugano, il pubblico ha potuto così assistere a un’intervista decisamente particolare, nella quale sono state riportate in vita il pensiero e le parole di una delle figure più rilevanti del liberalismo ticinese dell’800.

Grazie a un importante e attento lavoro di ricerca, studio e di ricostruzione storica condotto dagli organizzatori, all’ausilio dell’intelligenza artificiale grazie all’aiuto di Jonas Marti, che ha animato e pure prestato la voce al «ribelle di Cagiallo», le risposte di Battaglini sono state ricostruite a partire dai suoi scritti originali, lettere e documenti storici, con il supporto dell’Archivio Storico della Città di Lugano.

Un dialogo immaginario, quello tra Battaglini e Ferrari Gamba, che riproponiamo di seguito.

Buonasera Avv. Battaglini e benvenuto nel 21° secolo. Siamo davvero felici di accoglierla per questa speciale ricorrenza: 60 anni del nostro Circolo.
Buonasera cara Presidente. Sono contento che il Circolo porti il mio nome, vuol dire che qualcosa di buono ho fatto!

Partiamo da un preconcetto, un luogo comune spesso usato nei suoi confronti: quello di essere stato un «mangiapreti», per via delle sue idee sulla laicità e sulla netta separazione tra Stato e Chiesa. In realtà non ha però mai messo in discussione il valore della religione e della spiritualità, giusto?
Per quelle idee nel 1859 mi hanno quasi fatto la pelle a sassate. Organizzai una parte importante del mio lavoro legislativo nel segno della laicizzazione dell’istruzione e della secolarizzazione dei beni della Chiesa, lavoro culminato nella legge civile-ecclesiastica del 1855. Ho avuto idee molto radicali - questo è chiaro - e Franscini mi ha anche sgridato ogni tanto, specie per le mie posizioni rispetto all’Austria cattolica. Tuttavia, come scrissi al buon Frate Giocondo poco dopo l’attentato: «Io non ho mai detto né scritto: non ho religione. Se lo dicessi, mentirei al mio intimo sentimento», perché «semplicità e purità cristiana sono in fatto di religione il mio ideale». La religione, come la intendo, non è avversa alla libertà, anzi. Il Vangelo non è per me un libro di disputazioni e sottigliezze teologiche, è il codice dei doveri e dei diritti sociali, la costituzione futura dell’umanità. Non è un fatto di forma, ma di spirito e sostanza.

L’indifferenza e il disprezzo nei confronti dei valori umani, morali e sociali, stanno intaccando la società, in primis la politica. I partiti faticano a comunicare con il popolo, che si sente rappresentato solo quando gli viene data ragione. Si tende a privilegiare l’individuo rispetto alla società, l’interesse privato su quello pubblico. Sembra che la libertà venga ceduta in cambio della protezione di leader forti. Non è questo un concreto rischio di despotismo?
Il despotismo delle maggioranze è il peggiore, poiché maschera la sua natura autoritaria con una facciata di legalità. Per me un popolo libero ha tre garanzie fondamentali: la libertà di stampa, il diritto di petizione e il diritto di associazione. Senza la libertà di stampa si soffoca il dibattito pubblico, senza il diritto di petizione si limita la voce del popolo nella legislazione, senza il diritto di associazione si priva la società di uno strumento essenziale per influenzare la politica. Senza questi tre pilastri, la libertà è in pericolo.

Anche se in Svizzera questi principi sono relativamente garantiti, la democrazia rischia di essere compromessa dall’astensionismo e dalla crescente disaffezione verso la politica.
La democrazia vive di confronto e i partiti non devono scomparire. E’ fondamentale che i partiti resistano e anzi si sviluppino, che ci sia pluralità e discussione; l’omogeneità e la moderazione porta all’indifferenza. Un partito non muore se ha leader capaci e idee che trovano ascolto. Ma la libertà richiede sacrificio. I destini della libertà non si compiono in un giorno, ma richiedono tempo e impegno. La democrazia, per prosperare, ha bisogno di un'opposizione attiva. La politica non è solo una lotta di interessi, ma una corsa di doveri. Un paese non può essere rappresentato degnamente se non ci sono persone di valore nella sua rappresentanza. La scarsità di intelligenza e moralità nella politica è la causa di leggi confuse e contraddittorie. Guai a un popolo che affida il suo destino a chi non ha purezza d’intenti! È un problema serio.

Recentemente, il consigliere di Stato Christian Vitta ha sottolineato le difficoltà economiche e strutturali che il Ticino sta affrontando e poco ascoltato da Berna.
Da tempo siamo abituati a essere fraintesi da Berna. La loro mancanza di conoscenza delle nostre realtà ci ha fatto spesso sorridere, ma non possiamo perdonare la loro tendenza a seminare sospetto e diffidenza nei nostri confronti. La nostra situazione geografica e le differenze culturali non sempre vengono comprese. Vogliamo essere buoni confederati, perché crediamo che questa sia la migliore garanzia per la libertà, ma non dobbiamo dimenticare le nostre radici storiche e snaturarci per compiacere gli altri.

Secondo lei come può la Svizzera sopravvivere di fronte ai tanti cambiamenti geopolitici di questi tempi e tenere vivo il suo spirito?
Lo si tiene vivo continuando a credere davvero al Patto federale: noi siamo federalisti, federalisti per coscienza, per il profondo convincimento che la Svizzera non può rinnegare la propria natura e storia, perché non possiamo neppur concepire una Svizzera unitaria. Il Patto è questo: non scemare la sovranità dei Cantoni, ma aggiungere forza al potere centrale. Come tante verghe poste in un fascio. La Svizzera non può essere altrimenti che questo, una confederazione di diversità, composta da due elementi: gli stati e il popolo. La Svizzera sarà immobile sulle antiche sue libertà, nobile e durevole esempio, degno d’imitazione, se la forza e la virtù dei suoi cittadini non verranno meno.

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