«Chi pensa che il sacerdote sia solo un celebrante non ha capito il suo ruolo»
«È importante comprendere che c'è un tempo per tutto». Parole, queste, pronunciate da Don André, lo storico sacerdote dei comuni di Carona e Carabbia, che ormai da qualche settimana si sta preparando a passare il testimone nelle mani di Don Fabrice. Dopo 28 anni al servizio della comunità, il parroco lascerà il suo posto a un sacerdote congolese fresco di dottorato, conseguito grazie al sostegno di una borsa di studio delle parrocchie dei due comuni ai piedi del monte San Salvatore. La loro storia ci ha incuriosito e ci ha spinto a raggiungerli a Carona dove, fra un ricordo e l'altro, i due parroci ci hanno raccontato la loro esperienza e le loro sensazioni. Quelle di chi si prepara a salutare «la sua casa» e quelle di chi, invece, ha appena cominciato questo viaggio.
Ventotto anni dopo
«Sì, sono passati 28 anni. Ma quando ci penso, mi chiedo come sia possibile», inizia a raccontarci con voce emozionata Don André. L'ormai ex parroco di Carona è arrivato dal Belgio quasi trent'anni fa, in un primo momento con un obiettivo leggermente diverso. «Inizialmente mi sono trasferito in Ticino per insegnare all'università. Poi, però, dopo un anno, mi hanno chiesto se volessi spostarmi a Carona come parroco». Un'opportunità che Don André non ha saputo non cogliere, pur continuando a esercitare anche la professione di docente presso la facoltà di Teologia di Lugano. «Che sia stato il caso o la provvidenza, sono arrivato fino a qui». Ma, ci confessa, il suo percorso non è stato sempre rose e fiori. «Non è facile coniugare le due funzioni, di parroco e di professore. Non è sempre stato semplice riuscire a rispondere a tutti i bisogni della gente». Da lì, quindi, l'idea. «È stato il vescovo emerito, monsignor Grampa, a suggerirmi di farmi affiancare da un prete africano. La proposta mi è piaciuta, abbiamo dato il via a questo progetto, e insieme abbiamo cercato qualcuno che potesse aiutarmi ad accompagnare umanamente e spiritualmente Carabbia e Carona».
Il ruolo di sacerdote
Ma prima di parlare di questo progetto, Don André sposta la nostra attenzione sull'importanza della figura del sacerdote. «Bisogna capire che il ruolo del parroco non è legato solo alla celebrazione della messa. Qui a Carona e a Carabbia, il sacerdote è amato. C'è bisogno di lui, e non parlo della mia persona, ma della sua figura. È una persona che accompagna, che ascolta, che è parroco di tutti». E Don André lo sa bene, perché per primo ha vissuto questa dimensione. «Andavo nelle case, a mangiare nei ristoranti, incontravo le persone come faceva Gesù, praticando anche il concetto di "chiesa in uscita" di cui parla Papa Francesco. Oggi, chi vuole ridurre la funzione del prete a quella di solo celebrante non ha capito cosa sia davvero un sacerdote». Non solo un funzionario di chiesa, di Stato, o del culto, «ma una persona che vive tra le case. Questa è l'idea fondamentale. E significa divertirsi insieme, andare in vacanza insieme, essere vicino alla gente, piangere insieme, ma anche rallegrarsi e pregare». Non a caso, Don André ci confessa che in questi 28 anni è stato «il parroco di tutti». «Anche dei non credenti, perché io penso che ogni persona cerca il senso della vita. Non sono l'unico che può aiutare a trovarlo, ma posso comunque indicare una direzione cristiana. Per questo penso che il ruolo di sacerdote non sia sostituibile».
Ed è proprio da questa idea che è iniziato il percorso che ha condotto Don Fabrice fino a Carona. «Abbiamo deciso di cercare un sacerdote in una diocesi in Africa, creando una borsa di studio con l'aiuto di generose persone di Carabbia e Carona, per consentirgli di venire a studiare qui. Ed è così che è nato quello che oggi chiamiamo "progetto Don Fabrice"», ci dice sorridendo Don André. «Un progetto che in fondo è qualcosa di molto originale, pur non entrando in contraddizione con lo spirito cristiano, ecclesiale e cattolico della Chiesa». Oggi, «Don Fabrice è uno di noi», ci ripete l'ex parroco di Carona e Carabbia, mentre sfogliamo un album di fotografie confezionato in occasione del dottorato conseguito dal nuovo sacerdote lo scorso mese, sulla cui copertina c'è stampata proprio questa frase. Al suo interno ci sono tantissime foto ricordo del giorno della proclamazione, ma anche scatti di altri momenti passati insieme, con la comunità di Carona e Carabbia. Ci sono foto di feste, montagne, giri in bicicletta, tra paesaggi ticinesi e svizzeri. E tanti sorrisi.
Dal Congo al Ticino
Poi prende la parola Don Fabrice. «Dopo quasi sei anni a Carona sono commosso, e non è facile riassumere quello che ho vissuto qui. Ma mi ricordo tutto, da quando il mio vescovo del Congo, a Brazzaville, è venuto a dialogare con me. Inizialmente sarei dovuto andare a Roma, ma dopo qualche mese ha cambiato idea e mi ha proposto la Svizzera italiana. Io di questo Paese conoscevo appena appena Ginevra e Losanna, tant'è che sono andato a cercare qualche informazione in più su internet», ci racconta ridendo. «Ma il progetto è stato avviato e io sono arrivato qui. Ho dovuto imparare molte cose, ma sono stato fortunato, perché il Signore mi ha concesso la grazia di essere circondato da gente speciale, che mi ha aiutato a vivere bene». Don Fabrice, ci confessa, qui a Carona ha trovato la sua casa. «Nessuno mi ha mai trattato male, e non sono mai nemmeno stato considerato straniero. Anzi, si fermano tutti per salutarmi. Anche le persone che non vengono in chiesa. Tanti si fermano con la macchina, per scambiare due parole». Si è creata, insomma, una rete di amicizie. Come la definisce Don Fabrice. Un traguardo, questo, che come ricordiamo è stato raggiunto partendo da un percorso accademico. «L'obiettivo iniziale è stato raggiunto, ma al di là degli studi c'è anche la vita umana. Che va dai legami con le persone che non frequentano la chiesa, alle gite in bicicletta che facciamo d'estate con don André e Carlo Canonica, presidente del consiglio parrocchiale. Qui in Ticino, addirittura, ho imparato a sciare!».
Ma ritorniamo alle origini, ossia alla scelta di successione di Don André. «Sono rimasto un po' senza parole», ammette Don Fabrice. «Non ho detto niente, ma dentro di me pensavo: "La mia vita qui in Ticino è un romanzo". Sono partito da una semplice idea, sono arrivato qui e ora sto diventando parroco». È ancora emozionato Don Fabrice, mentre ripensa ai traguardi raggiunti proprio sul suolo luganese. E a questo punto, gli chiediamo quale sia il ricordo più bello, tra le esperienze vissute fino ad ora. «È difficile, difficilissimo. Non ce n'è solo uno. Ma uno in particolare è quello delle messe che abbiamo celebrato durante il COVID, quando abbiamo creato un canale YouTube apposito. E poi il primo giorno alla facoltà, o il primo giorno a Campra, quando mi hanno portato a vedere la neve per la prima volta».