«Ci hanno fornito le spiegazioni, ora siamo soddisfatti»
Era la giornata dei chiarimenti; e in parte sono arrivati. La Commissione giustizia e diritti aveva agendato da tempo l’incontro con il Consiglio della Magistratura per fare il punto sui vari dossier legati al cosiddetto «caos al TPC». Nel frattempo, però, a cambiare le carte in tavola è intervenuta la decisione dell’organo di vigilanza di destituire i giudici Siro Quadri e Francesca Verda Chiocchetti. Una decisione che ha modificato il canovaccio dell’incontro. In primo luogo, la Commissione ha chiesto delucidazioni proprio sulla destituzione dei due magistrati del Tribunale penale cantonale (TPC). E così, al termine di una giornata campale, nel tardo pomeriggio il presidente della Commissione Fiorenzo Dadò (Centro) – accompagnato dalle vicepresidenti Cristina Maderni (PLR) e Sabrina Aldi (Lega) – si è presentato alla stampa per un resoconto dell’audizione.
A precisa domanda se le motivazioni fornite dal CdM sulla destituzione dei due giudici siano state esaurienti, il presidente si è limitato a uno stringato «abbiamo preso atto delle spiegazioni forniteci dal Consiglio della Magistratura». Sollecitato sull’esito dell’incontro, il presidente ha poi aggiunto: «Ci hanno fornito le spiegazioni di cui avevamo bisogno e pertanto ci riteniamo soddisfatti». Dadò ha quindi ammesso che «non si può mai essere tranquilli di fronte a decisioni di questa portata». E ancora: «È evidente che ci fossero delle preoccupazioni, dato che il Consiglio della Magistratura ha adottato una decisione senza precedenti per il nostro cantone. Ora, tuttavia, possiamo sentirci più rassicurati». Lo «shock» iniziale, almeno in parte, è stato quindi riassorbito: «Quella iniziale è stata una reazione a caldo. Con il passare dei giorni e una maggiore comprensione delle motivazioni del CdM, pur rimanendo un profondo rincrescimento per quanto accaduto, lo shock è stato gradualmente assimilato».
«La CPI non è stato un tema»
Di chiarimenti, quindi, ce ne sono stati; e ciò a tutto vantaggio del rapporto tra l’organo di vigilanza sulla magistratura e la politica. Un rapporto sempre delicato, messo duramente alla prova negli scorsi mesi dall’intricata sequela di segnalazioni, controsegnalazioni e denunce penali tra i giudici del TPC. «La fiducia però non è mai stata messa in discussione», ha sottolineato Dadò in riferimento all’operato del CdM. Nonostante qualche divergenza di veduta, quindi, la fiducia – ha ribadito il presidente – non è mai stata messa in dubbio.
Di qui, la decisione di non dare seguito, almeno per il momento, alla richiesta giunta dall’MPS di istituire una Commissione parlamentare d’inchiesta. «La CPI non è mai stata un tema», ha dichiarato Dadò. «La richiesta è attualmente sul tavolo, presentata da alcuni colleghi deputati; di conseguenza, la affronteremo». Per quanto riguarda invece un possibile audit esterno, Dadò ha spiegato che è «prematuro parlarne, in quanto bisogna aspettare la conclusione di tutte le procedure in atto».
Anche il mobbing
Sul tavolo della Commissione giustizia e diritti, però, non c’era solamente la destituzione dei giudici e l’audizione del CdM. In mattinata, i deputati hanno infatti incontrato anche la Commissione amministrativa del Tribunale d’Appello. All’ordine del giorno c’era il caso di mobbing, recentemente smentito dallo stesso Tribunale sulla base degli accertamenti svolti dall’avvocato Maria Galliani su mandato del Governo. In particolare, la Commissione voleva essere informata sugli «aspetti di minore gravità» che il rapporto aveva tuttavia evidenziato. Su questo punto, il presidente della Commissione si è detto parzialmente soddisfatto: «Oggi sono stati forniti alcuni dettagli in più», ha riconosciuto il presidente. «Non è escluso che la Commissione possa accedere agli atti alla fine di tutta procedura. Per il momento, non essendo ancora finito l’iter, non è il caso». Dadò ha preferito non entrare nel merito dei chiarimenti ricevuti, ma ha riconosciuto di aver acquisito qualche informazione in più: «Le parole della Commissione amministrativa ci hanno rassicurato. Anche per noi, senza un quadro completo della situazione, era ed è difficile formulare un’opinione», ha concluso il presidente.
«I cittadini vogliono risposte»
«È andata bene». Per il giudice Damiano Stefani, presidente del Consiglio della Magistratura, l’incontro con la Commissione giustizia e diritti è stato proficuo. «Abbiamo avuto una discussione franca, aperta e cordiale. Abbiamo spiegato ai commissari la nostra posizione e le difficoltà in cui ci troviamo a operare». Alla luce della destituzione di due giudici su cinque del TPC, i deputati hanno chiesto chiarimenti anche sull’operatività. «Ci sono delle ipotesi, formulate dalla Commissione amministrativa del Tribunale d’Appello», ha spiegato ancora Stefani uscendo da Palazzo delle Orsoline. «Probabilmente si farà ricorso a forze interne, utilizzando anche i giudici supplenti. In particolare si cercano figure all’interno del Tribunale d’Appello disposte a lavorare al TPC, anche se sarà difficile perché tutte le Camere sono molto oberate. In seconda battuta, la ricerca si allargherà al resto della Magistratura». Sulle tempistiche, è ancora difficile sbilanciarsi. Ma una cosa è certa. «Non possiamo permetterci di andare troppo in là con i tempi: i cittadini, gli imputati e gli avvocati aspettano una risposta», ha spiegato Stefani. Le soluzioni, condivise con il Consiglio di Stato (a cui spetta la nomina), sono attese entro fine settimana.
Pronto il ricorso del legale Broggini
Il ricorso contro la decisione di destituire i giudici Siro Quadri e Francesca Verda Chiocchetti è quasi ultimato e verrà inoltrato in queste ore. Lo ha dichiarato al Corriere del Ticino il loro legale, l’avvocato Marco Broggini. Il quale ha ribadito alcuni argomenti di fondo. In primo luogo, secondo il legale, la decisione dell’organo di vigilanza viola il principio della proporzionalità. In seconda battuta, Broggini ha ricordato che il Consiglio della Magistratura si trova attualmente sotto ricusa. Da ultimo, l’impianto ricorsuale contesta soprattutto l’accusa secondo cui i suoi assistiti avrebbero agito (denunciando i colleghi) pur sapendo che il reato non sussisteva. «Non è affatto scontato», ha detto Broggini. «Inoltre, è un dato di fatto che l’immagine di cui parliamo sia di natura pornografica».