Processo

«Codardo, crudele, a sangue freddo»: 17 anni di carcere per assassinio

Il 28.enne somalo che la mattina del primo marzo del 2024 ha ucciso un 50.enne in un appartamento di via Pestalozzi è stato condannato a 17 anni di detenzione oltre all’espulsione per quindici – La Corte: «Motivi tanto futili da risultare incomprensibili»
©Francesca Agosta
Stefano Lippmann
17.04.2025 21:00

«Ha ucciso una persona che gli aveva permesso di entrare in casa». Lo ha fatto «agendo da codardo, agendo di sorpresa». Per la Corte delle Assise criminali – presieduta dal giudice Amos Pagnamenta – non vi sono dubbi: quella mattina del primo marzo 2024, nell’appartamento di via Pestalozzi a Chiasso, si è trattato di assassinio. Ed è per questo motivo che la Corte, nel tardo pomeriggio, ha condannato il 28.enne somalo a 17 anni di reclusione (oltre all’espulsione dalla Svizzera per 15). Uomo che, quella mattina, ha inferto 18 fendenti – con un coltello da bistecca che aveva con sé da tutta la notte, passata in discoteca – a un 50.enne che, appunto, gli aveva aperto la porta di casa. Il movente? «Motivi tanto futili – ha commentato Pagnamenta durante la lettura della sentenza – da risultare incomprensibili». Ovvero la droga. Dopo la serata trascorsa alla discoteca Blu Martini di Lugano (vedi sotto) il 28.enne – come ricostruito dal procuratore pubblico Zaccaria Akbas – ha provato a recarsi dal 50.enne per cercare della cocaina. «Non ottenendo quanto da lui voluto o sperato, ha reagito» ha detto il giudice in aula. L’assassinio si configura quando movente, scopo e modalità sono particolarmente perversi, quando si è di fronte a una particolare mancanza di scrupoli. «Movente e scopo si sovrappongono: voleva ottenere una dose» ha sentenziato Pagnamenta ribadendo «i motivi futili e banali». E le modalità? «Le numerose coltellate» dimostrano «il modo di agire perverso». Di più: nel motivare la sentenza la Corte ha parlato di «crudeltà e sangue freddo», evidenziando come il 28.enne abbia dimostrato «totale disprezzo per la vita umana» infierendo, oltretutto, quando «la vittima si trovava già a terra». Nei suoi confronti, va detto, nella commisurazione della pena si è tenuto conto della perizia psichiatrica che ha ravvisato una scemata imputabilità di grado medio. Il 28.enne, al momento dei fatti, presentava un’intossicazione acuta da cocaina.

Diciassette anni di carcere, s’è detto. L’accusa sostenuta dal procuratore pubblico Akbas, mercoledì durante la requisitoria, aveva chiesto una pena di 18 anni e 6 mesi (oltre all’espulsione dalla Svizzera per 15 anni) sottolineando, tra le altre cose, l’atrocità dell’atto compiuto con «freddezza e accanimento».

La difesa, sostenuta dall’avvocata Marina Gottardi, durante l’arringa si era invece battuta per derubricare l’ipotesi di reato di assassinio a omicidio intenzionale (per dolo eventuale). «Non vi è stata efferatezza nelle modalità di esecuzione dell’atto» aveva sostenuto esortando a non «trascurare la compromissione psichica» del suo assistito.

Due famiglie distrutte

Oggi, in aula, al momento della sentenza erano presenti i familiari del condannato: il padre, i fratelli e la madre. Scossi, provati ma anche consapevoli – questo è emerso dalle parole scambiate con un fratello – che si debba giustamente fare i conti con la giustizia.

C’era anche una parente della vittima la quale, al termine del dibattimento, con le lacrime agli occhi, ha potuto scrivere la parola «fine» alla vicenda. Non c’era la madre del 50.enne, costituitasi accusatrice privata. Donna che, come dichiarato dal suo legale – Samuel Maffi – non ha avanzato alcuna richiesta risarcitoria. Una famiglia che non ha cercato alcuna vendetta, piuttosto un «riconoscimento chiaro e autentico del dolore che ha vissuto». Nessuna richiesta di denaro perché – ha detto l’avvocato – «nessun risarcimento può sostituire un figlio».

«Nessun insegnamento dalle precedenti condanne»

Il 28.enne non era l’unica persona seduta al banco degli imputati. Con lui c’erano un 30.enne svizzero, un coetaneo boliviano e un 32.enne di origini cubane. Il «branco», com’è stato definito dal sostituto procuratore generale Moreno Capella. Già, perché la Corte si è dovuta chinare anche su altri reati che, a vario titolo, hanno visto coinvolti i quattro imputati. Uno su tutti: l’aggressione ai danni di un uomo andata in scena al Blu Martini la notte del 28 gennaio 2023. Per la Corte, quella notte le botte – «lesioni che hanno messo in pericolo la sua vita» – non le hanno inferte tutti e quattro gli imputati chiamati in causa. Colpevoli – e recidivi, visto un fatto analogo avvenuto anni prima nello stesso locale pubblico – sono stati giudicati il 30.enne svizzero e il coetaneo boliviano. Quest’ultimo – chiamato a rispondere di altri reati oltre all’aggressione – è stato condannato a 4 anni e 3 mesi di carcere, oltre all’espulsione per 10 anni. Il trentenne svizzero, dal canto suo, si è visto infliggere una pena di 36 mesi, la metà dei quali sospesi per un periodo di prova di cinque anni. Infine il 32.enne cubano, che a suo carico aveva accuse di lesioni semplici, minaccia ripetuta, violazione di domicilio e coazione. «Ha intimidito un testimone, ha tenuto un atteggiamento strafottente e non ha tratto alcun insegnamento dalla precedente condanna». Da qui la pena di 20 mesi da espiare; senza dimenticare la precedente espulsione dalla Svizzera, ancora in essere. Prima, però, il carcere: il 30.enne boliviano e il 32.enne cubano – che erano a piede libero in attesa della sentenza – sono stati arrestati.