«Col franco forte più lavoratori italiani attratti dalla Svizzera: ora attendiamo Roma»
Una zona logistica semplificata per evitare la fuga in Svizzera dei lavoratori della fascia di confine. La proposta è arrivata negli scorsi giorni dal consigliere regionale Angelo Orsenigo per cercare di tutelare le imprese comasche. Non è la prima volta che si cerca di trattenere i lavoratori che mirano, in particolare, al Ticino. Nel 2018 il Varesotto aveva cercato di frenare la perdita di manodopera con il progetto Aree di Confine, promosso da Confartigianato Imprese Varese. L'iniziativa, poi presentata alla Camera come proposta di legge dall'allora deputato Matteo Bianchi, mirava all'introduzione di un regime fiscale con incentivi per i lavoratori italiani residenti entro 20 chilometri dai valichi svizzeri. Oggi Bianchi non è più a Roma e dal 2018 in Italia sono cambiati tre governi. A che punto siamo?
Massimo Mastromarino, presidente dell'Associazione Comuni di frontiera e sindaco di Lavena Ponte Tresa, spiega: «La legge Aree di Confine non è più andata avanti. Sicuramente oggi, con il franco forte, il problema del depauperamento della forza lavoro nelle fasce di confine è ancora più evidente, soprattutto nel settore manifatturiero e in quello sociosanitario. Chi lavora in questi ambiti è portato ad andare in Svizzera, visto che i salari sono sicuramente più convenienti, anche se non al livello di quelli che percepisce un residente svizzero». Mastromarino aggiunge: «Con la legge Aree di Confine si proponeva una trattenuta alla fonte più leggera per far sì che la busta paga del lavoratore fosse più pesante, incentivandolo così a restare in Italia. Si voleva offrire una situazione salariale migliore alle persone che altrimenti finiscono a lavorare in Svizzera, come quelle impiegate nella sanità. Regione Lombardia, le Province e le associazioni di categoria si muovono da anni in questa direzione, solo che parliamo di materia fiscale la cui competenza alla fine è in mano allo Stato. In qualche modo anche l’accordo fiscale sui frontalieri nel lungo periodo potrebbe portare al riequilibrio del mercato del lavoro, al di qua e al di là del confine».
Mastromarino puntualizza: «La nostra è un’economia transfrontaliera, e questo è un discorso ineludibile: non si può pensare a due mercati del lavoro separati e che non si parlano. È un'unica realtà economica dove "esportiamo lavoratori e importiamo consumatori": questo è un dato di fatto. Detto questo, è comunque importante andare a cercare dei correttivi per evitare di perdere forza lavoro nelle fasce di confine». Il presidente dell'Associazione Comuni di frontiera fa un esempio: «Si dice che l’extragettito dell'accordo fiscale potrebbe essere addirittura superiore ai ristorni dei frontalieri. Questo dovrebbe essere utilizzato nella fascia di confine per azioni a sostegno del sistema sociale e produttivo. Se con questi soldi, dico la prima cosa che mi viene in mente, riesco a garantire gli asili nido gratis, una famiglia italiana può avere interesse a restare a lavorare qui, perché ha meno spese da sostenere e dunque può puntare a uno stipendio "meno svizzero"».
Un «ministro dei frontalieri»?
Le cose, in Italia, potrebbero cambiare con il nuovo governo. Mastromarino evidenzia: «Bisogna riuscire a creare un ponte con i ministeri competenti, altrimenti il nostro rimane un messaggio lanciato nel vuoto. I vari interlocutori del Varesotto e del Comasco che andranno a Roma devono riuscire a portare avanti queste iniziative interrotte più volte. Io come presidente dell'Associazione Comuni di frontiera ho già incontrato molti di loro, facendo presente qual è la situazione. Ora aspettiamo che si formi il governo: se l'onorevole Giorgetti, che è di Varese, dovesse diventare ministro dell’economia, avremo sicuramente un interlocutore privilegiato che può occuparsi di queste tematiche. Lo stesso Matteo Salvini in campagna elettorale disse che avrebbe voluto un ministro dei frontalieri. Ora, mi pare una figura eccessiva, però magari un sottosegretario con la delega ai problemi transfrontalieri e delle aree di confine potrebbe essere un valido supporto».
Il sindaco conclude: «Ci sono le condizioni perché si porti avanti in primis l’accordo fiscale, che bisogna andare a chiudere, perché ha già fatto dei passaggi importanti nelle commissioni. Poi, in quest’ottica, si può fare un ragionamento più ampio sugli strumenti diretti e indiretti per evitare l'impoverimento del mercato del lavoro nella parte italiana del confine».