Luganese

Condannata per i fotomontaggi hot

Pena pecuniaria per una donna rea di averne calunniata un’altra creando finte immagini pornografiche col suo volto e condividendole - Lei si dichiara innocente e ha già annunciato ricorso: «Non conoscevo la vittima»
(Foto Reguzzi)
Federico Storni
17.07.2019 20:51

BELLINZONA - È una vicenda inusuale, quella che il giudice della Pretura penale Marco Kraushaar è stato chiamato a dirimere la scorsa settimana. Sul banco degli imputati sedeva una giovane donna del Luganese accusata dalla procuratrice pubblica Chiara Borelli, tramite decreto d’accusa (a cui la donna ha fatto opposizione), di coazione, ripetuta calunnia e ripetuta pornografia. Accuse dietro le quali si celerebbe una forma particolare di stalking.

L’imputata, sull’arco di più tempo, sino a inizio del 2018, avrebbe infatti molestato un’altra ragazza, inviandole più volte via e-mail dei fotomontaggi a carattere pornografico che la riguardavano. Fotomontaggi che sarebbero poi stati pubblicati anche su internet. In concreto, l’imputata avrebbe sovrapposto il volto della vittima a quello di donne ritratte nude o impegnate in attività sessuali e avrebbe diffuso le sue creazioni.

Delle volte era altrove

Che questi fotomontaggi esistano, è un dato di fatto. Che siano effettivamente stati creati dall’imputata, meno, almeno a mente della difesa. La donna, rappresentata dall’avvocato Daniele Timbal, ha infatti affermato di essere estranea ai fatti, di non conoscere la vittima e di non avere motivi di risentimento verso di lei. Si è in sostanza proclamata innocente. Timbal, che è subentrato come legale dell’imputata in tempi relativamente recenti, ha inoltre prodotto nuova documentazione in aula per perorare il proscioglimento della sua assistita dalle accuse. Documentazione che dimostrerebbe che la donna in occasione di alcuni invii del materiale calunnioso si sarebbe in realtà trovata altrove (e dunque non le sarebbe stato possibile mandare le e-mail).

Un altro dato di fatto è che gli inquirenti hanno ricondotto gli invii calunniosi al router (il dispositivo di rete internet) dell’imputata. Timbal ha però sottolineato come questo non fosse protetto da password e dunque virtualmente accessibile anche ad altre persone: «Sono nuovi documenti di prova che secondo me avrebbero potuto essere raccolti durante l’inchiesta, che mi sembra sia stata fatta in maniera un po’ univoca», ci ha detto il legale.

Riassumendo, dunque, per la difesa mancherebbero sia la certezza che le e-mail siano effettivamente state mandate dall’imputata, sia un movente, dato che imputata e vittima hanno detto di non conoscersi. Un anello di congiunzione fra le due, comunque c’è: un uomo, compagno prima della vittima e poi dell’imputata.

Indizi sufficientemente chiari

Alla luce di tutto ciò il giudice Kraushaar si è preso qualche giorno per riflettere sulla vicenda, dati gli elementi nuovi. Questi non sono tuttavia bastati a convincerlo dell’innocenza della donna. La sentenza, comunicata venerdì scorso, ha in praticato confermato il decreto d’accusa. A mente del giudice, malgrado gli sforzi della difesa, non è stato sufficientemente provato che fotomontaggi e invii siano stati fatti da qualcun altro. O, in altre parole, il quadro indiziario è stato ritenuto sufficiente per affermare che sia stata effettivamente l’imputata a produrre e distribuire il materiale pornografico calunnioso. La donna è stata quindi condannata a una pena pecuniaria sospesa pari a 90 aliquote giornaliere e a una multa da 4.000 franchi.

Del caso si tornerà comunque a parlare. L’avvocato Timbal ha già annunciato che ricorrerà contro la decisione della Pretura penale. A chinarsi sula vicenda sarà dunque la Corte d’appello e di revisione penale fra qualche mese.StF