Processo

Condannata per la dolce morte: «Fu umanità, ma anche egoismo»

Pena pecuniaria sospesa per la donna che tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017 accompagnò al decesso sette persone a Chiasso – Per la Corte la 67.enne «si è creata un’opportunità egoistica grazie alle differenze legislative con l’Italia»
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Lidia Travaini
23.10.2024 17:52

È una sentenza che sembra destinata a fare giurisprudenza quella pronunciata dalla Corte delle Assise correzionali di Mendrisio presieduta dal giudice Mauro Ermani. Perché la materia al centro del dibattimento andato in scena oggi – il suicidio assistito – in Svizzera è raramente approdata in un’aula di Tribunale e la giurisprudenza sull’argomento è scarsa, ma anche «la Legge non dà indicazioni di dettaglio sui motivi egoistici».

Sì perché in aula si è parlato soprattutto di quelli, dei motivi egoistici che «portano» un suicidio assistito in campo penale. Ci spieghiamo meglio: in Svizzera la pratica, se portata avanti con certi criteri e controlli medici, è permessa. Diventa illecita se infrange l’articolo 115 del Codice penale Svizzero che eleva a punto cardine l’egoismo del gesto, cioè il lucro o il vantaggio per sé stessi come conseguenza preponderante dell’accompagnamento al decesso.

Un egoismo che la Corte ha ravvisato nel comportamento della 67.enne comparsa alla sbarra perché accusata di istigazione e aiuto al suicido in 7 casi di «dolce morte»verificatisi a Chiasso tra l’ottobre del 2016 e il febbraio del 2017. Casi ammessi dalla donna che però negava con fermezza l’egoismo del suo operato. «Assolutamente no» ha detto più volte in aula quando le è stato chiesto se lo ha fatto per soldi. Risposta che però mal si sposava con altre dichiarazioni: «Quando lavoravo per le altre società (Exit e Liberty Life, ndr) loro mi davano 500 franchi a caso e si tenevano il resto del bottino tutto per loro», ha ad esempio affermato, aggiungendo che la cosa «le dava fastidio» che era «anche un bel bottino». Con Exit, a Zurigo, ha detto di aver accompagnato alla morte circa 100 persone in 13 anni. Nel 2016 la donna si era quindi messa in proprio – dopo un litigio con l’ex socia – , creando l’associazione Carpe Diem. Anzi, credendo di aver creato, perché l’associazione non è mai davvero stata fondata, è stato spiegato in aula.

Il «bottino» a cui ha fatto riferimento non era fisso, ma arrivava a oltre 11 franchi. «In un caso l’ho fatto gratis, la persona era povera. Lo facevo per umanità e compassione», ha detto la donna, svelando da una parte un ottavo caso e confermando dall’altra che le tariffe potevano cambiare. Tolti i costi per l’azienda funebre e spese varie, alla donna rimanevano tra i 2.000 e i 3.000 franchi a caso. Abbastanza per classificare l’attività non come aiuto altruistico, ma come gesto dettato dall’egoismo?

«Spinta da cupidigia»

Per l’accusa la risposta è sì, senza dubbio: «La giurisprudenza sull’argomento è poca, ma stabilisce comunque che il rimborso massimo per ogni accompagnamento è di 500 franchi, tutto è il resto è profitto egoistico. Non per niente Exit e le altre associazioni riconoscono questa cifra ai loro collaboratori. E questo l’imputata lo sapeva bene. Però 500 franchi non le bastavano e qui subentra la cupidigia», ha dichiarato la procuratrice pubblica Chiara Buzzi, che si è occupata dell’inchiesta. Buzzi che ha anche elencato alcune caratteristiche della vicenda: i pagamenti obbligatoriamente in contanti e la distruzione di alcuni documenti. «Lei sapeva che le cifre che chiedeva erano esorbitanti e illecite, non ha agito per motivi altruistici ma per lucrare sulle spalle di chi voleva morire. Inoltre, se non fosse stata fermata dal Municipio di Chiasso per motivi edilizi, avrebbe continuato», ha aggiunto chiedendo la conferma dell’atto d’accusa. Atto d’accusa in cui si è tramutato il decreto a cui si è opposta la donna e che ha portato al processo. Per quanto concerne la pena proposta, Buzzi ha chiesto «non meno di 6 mesi, sospesi» (pena tratteggiata anche nel decreto).

«Tariffe da mercato»

L’avvocato della difesa Stefano Pizzola si è invece battuto per l’assoluzione. «Per poter confermare i motivi egoistici l’autore deve essere determinato ad agire per lucro – ha chiarito dopo aver citato il pesante fardello di cui si carica chi decide di accompagnare qualcuno alla morte –, il disegno di lucro deve essere preponderante. In questo caso la mia assistita ha però ripreso le tariffe delle altre realtà che operano in questo campo, se i prezzi sono conformi al mercato risulta difficile capire dove stiano i motivi egoistici e il dolo». Il via subordinata Pizzola ha chiesto una pena non superiore ai 3 mesi sospesi e una multa di 1.000 franchi.

«Opportunità egoistica»

Come anticipato, la Corte ha ravvisato i motivi egoistici per una condanna. «Ha approfittato di scelte libere di persone malate e che venivano in Svizzera dall’Italia per morire, visto che oltre confine è proibito. Si è quindi creata un’opportunità egoistica grazie alle differenze legislative. Si è messa in proprio dopo un litigio per ragioni economiche e ha continuato ad applicare gli stessi prezzi guadagnando di più. E questo malgrado avesse già altre attività lavorative che le fruttavano bene». La Corte ha optato per una pena pecuniaria di 150 aliquote da 40 franchi e una multa di 500, sospese per due anni. Una tipologia di pena giudicata più efficace per quanto concerne il rischio di recidiva.

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