La storia

Da Morcote al Messico sfidando (anche) l'uragano Milton: «Che gioia ridare la vista a questi pazienti»

Il dottor Theo Signer e i colleghi della Swiss Foundation Against Blindness in Mexico opereranno all'ospedale di Cancun fino al prossimo 19 ottobre
Marcello Pelizzari
12.10.2024 20:30

Poco più di un anno fa, nell’aprile del 2023, un incendio si era portato via circa 400 mila franchi di strumentazione. Ora, a minacciare l’operato dei medici è stato nientepopodimeno che Milton, passato con tutta la sua furia distruttiva anche da Cancun, in Messico. Theo Signer, però, sorride. Specialista FMH in oftalmologia, primario e direttore medico del Centro Avanti, nonché primario del Gruppo Vista, ha raggiunto la rinomata località turistica dello Stato di Quintana Roo dalla sua Morcote. Con lui, altri medici oftalmologi parte dell’associazione Swiss Foundation Against Blindness in Mexico che, fino al 19 ottobre, opereranno agli occhi su base volontaria oltre 500 pazienti.

Dottor Signer, lei e i suoi colleghi siete partiti lo scorso 5 ottobre. Pochi giorni fa, tuttavia, siete stati investiti pure voi dall’uragano Milton. Che esperienza è stata e, soprattutto, come state?
«Bene, nonostante tutto. Fino a lunedì 7, direi, tutto si è svolto normalmente. Certo, viste le condizioni meteo quel giorno erano arrivati meno pazienti in ospedale. E questo perché non potevano proprio raggiungerci. Martedì, invece, complici le direttive delle autorità messicane eravamo letteralmente barricati. Tutti. Era vietato perfino uscire di casa. Passato l’uragano, giovedì abbiamo ripreso con le operazioni. Ritrovandoci, va da sé, un numero maggiore di pazienti vista la chiusura forzata. Oltre un terzo rispetto a quelli preventivati per una singola giornata».

La vostra attività, quindi, ne ha risentito?
«No, non direi. È vero che i pazienti si sono accumulati. Ma stiamo vivendo questo surplus molto serenamente. Anche perché c’è una bellissima collaborazione fra la nostra squadra e lo staff locale. Detto in altri termini, riusciamo a svolgere il nostro lavoro senza problemi. E come previsto».

L’uragano, quindi, nel vostro caso ha fatto meno danni rispetto all’incendio del 2023.
«È arrivato e se n’è andato. In un istante, quasi. Certo, l’ospedale ha sofferto: la struttura mostra i segni del passaggio di Milton, ci sono alberi spezzati un po’ ovunque. Ma, nell’angolo a noi riservato, funziona tutto. Abbiamo acqua, corrente, strumentazione».

L'accoglienza? La governatrice statale e la direttrice del Dipartimento della sanità sono venute a trovarci. Abbiamo pure ricevuto un invito istituzionale per una cena. Il nostro lavoro, però, è apprezzato anche dai pazienti stessi

Detto della forte richiesta e dei tanti, tantissimi pazienti che si rivolgono a voi, quanto è importante la vostra presenza in questo angolo di Messico?
«Lo è, in effetti, basti pensare al fatto che il nostro arrivo è stato parecchio mediatizzato in Messico. La governatrice statale e la direttrice del Dipartimento della sanità sono venute a trovarci. Abbiamo pure ricevuto un invito istituzionale per una cena. Il nostro lavoro, però, è apprezzato anche dai pazienti stessi».

Di quali disturbi alla vista soffrono, principalmente, le persone che operate?
«Di cataratte che, alle nostre latitudini, in Ticino, sono estremamente rare. Le troviamo, magari, in alcune valli. Cataratte dovute, principalmente, alla forte esposizione alla luce solare. Ci accorgiamo di quanto soffrano queste persone proprio mentre operiamo: inizialmente, siamo portati a pensare che si tratti di un intervento di routine, ma poi ci accorgiamo di quanto sia importante la perdita di trasparenza del cristallino. Parliamo, d’altro canto, di pazienti ipovedenti. E in generale di situazioni e malattie, appunto, inimmaginabili in Svizzera».

Facciamo un passo indietro: quanto è stato difficile risollevarsi dopo l’incendio del 2023 e, soprattutto, trovare nuova strumentazione?
«Ogni membro dell’associazione Swiss Foundation Against Blindness in Mexico ha dato il suo contributo, in questo senso. Grazie ai nostri lavori, in Svizzera, e ai buoni contatti siamo riusciti a ricevere parecchio materiale. Ma, dicevo, ognuno di noi ha fatto del suo meglio e, così facendo, siamo riusciti a recuperare un sacco di strumentazione».

Era importante ripartire al più presto, dopo l’incendio. È vero, però, che abbiamo dovuto noleggiare i microscopi, ad esempio, a prezzi decisamente alti per una fondazione come la nostra. Il prossimo 21 novembre, proprio pensando all’incendio, abbiamo organizzato una serata benefica al Docks di Lugano

Tradotto: ci avete rimesso di tasca vostra…
«Era importante ripartire al più presto, dopo l’incendio. È vero, però, che abbiamo dovuto noleggiare i microscopi, ad esempio, a prezzi decisamente alti per una fondazione come la nostra. Il prossimo 21 novembre, proprio pensando all’incendio, abbiamo organizzato una serata benefica al Docks di Lugano. Lo scopo è raccogliere donazioni. Il bello della Swiss Foundation Against Blindness in Mexico è che non ci sono spese amministrative. Chi partecipa alle spedizioni in Messico, per dire, lo fa prendendosi un periodo di vacanza dal lavoro. Siamo, in sostanza, una fondazione piccola. Il che significa, banalmente, che ogni franco versato finisce al paziente».

Riuscite, al di là dei tantissimi interventi, a fare anche prevenzione?
«Sì, ne facciamo. Spiegando di indossare degli occhiali protettivi. Ma la luce solare, qui, è un problema. Queste persone sono esposte da mattina a sera ai raggi UV. È un altro mondo rispetto all’Europa. Detto ciò, abbiamo notato altresì un problema di nutrizione. Il tasso di pazienti con diabete è importante. E il diabete, beh, favorisce malattie come la cataratta. È vero che i messicani spesso vivono con poco, ma consumano una grande quantità di bevande zuccherate. È pieno, pienissimo di chioschi con questi bottiglioni da due litri. Una cosa esagerata».

Che rapporto si instaura fra voi e i pazienti? Che effetto fa ridare la vista a così tante persone?
«È qualcosa di bellissimo. Ma è qualcosa che difficilmente si può spiegare a parole. Durante l’intervento, i pazienti sono tesissimi. Hanno la pressione arteriosa molto alta, proprio per via di questa tensione. Poi, quando magari mettiamo su un po’ di musica messicana, musica che piace anche a noi perché mette allegria e allevia lo stress quotidiano, ecco che cambiano espressione in viso. È un mondo quasi surreale, quello messicano. La cosa più bella, in ogni caso, sono le lacrime di gioia, sia dei pazienti sia dei loro famigliari, all’indomani dell’operazione, durante le tradizionali visite post-operatorie».

Le lacrime dei pazienti sono comprensibili: parliamo di persone che, negli ultimi tre, quattro o cinque anni, non vedevano nulla. Persone che, da un giorno all'altro, grazie alnostro intervento riacquistano la vista

Lacrime più che comprensibili e condivisibili…
«Sì, perché parliamo di persone che, negli ultimi tre, quattro o cinque anni, non vedevano nulla. Ripeto: nulla. Persone che, da un giorno all’altro, riacquistano la vista grazie al nostro intervento. E che, quindi, possono tornare ad avere un futuro e a non dipendere necessariamente dai famigliari».

Un’ultima domanda: ha citato l’evento benefico di novembre, come giudicherebbe la sensibilità del Ticino e dei ticinesi rispetto alla vostra missione in Messico?
«Il Ticino è un cantone davvero aperto e solidale. Un cantone che risponde sempre presente. E a cui piace, come dicevo, il fatto che siamo noi ad andare in prima persona sul posto a operare. Offrendo un servizio importante per 5-600 pazienti».

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