Da una punta di freccia

Chi l’avrebbe mai detto che una delle scoperte più importanti del Ticino (per non dire dell’intera Svizzera) è stata facilitata da una talpa e da tanti rotoli di carta igienica? Ebbene sì, se oggi Mendrisio ha il suo Parco archeologico è grazie a un piccolo animale e all’intuito di Alfio Martinelli. A lui il merito (l’intraprendenza e la perseveranza) di aver dato il la alla scoperta del Castello di Tremona, storico villaggio la cui presenza è attestata – grazie ai numerosi ritrovamenti effettuati negli anni – sin dal neolitico (all’incirca dal 5000 avanti Cristo). Sopra l’abitato di Tremona, in posizione strategica e rialzata, giaceva infatti un patrimonio storico sostanzialmente sconosciuto ai più. Fino alla fine degli anni ‘80 del secolo scorso, quando Martinelli, come detto, diede il via alla campagna di scavi. Che, a conti fatti, hanno restituito un villaggio, migliaia di reperti (dal neolitico al 15-16.esimo secolo) e un migliaio di monete di epoche diverse. Ma come si è arrivati alla scoperta? Alla fine degli anni ‘80 i suoi sopralluoghi hanno rivelato la presenza di almeno una cinta muraria. In realtà, c’era molto di più. A partire dal primo oggetto trovato dall’archeologo Alfio Martinelli, una punta di freccia di selce che i geologi dicono arrivi dalla zona intorno Verona. «Era su un mucchietto di terra smossa da una talpa» ci racconta. Così come dei «frammenti di ceramica preistorica». Segno che era pronto ad essere svelato un mondo. «All’epoca, arrivando sul luogo (il Castello di Tremona, ndr) non si vedevano che alberi e mucchi di sassi. Mucchi un po’ strani – fa presente il nostro interlocutore – che creavano avvallamenti e collinette, corrispondenti ai muri di quelli che si scopriranno essere edifici». Il nostro interlocutore, a questo punto, ci fa vedere una fotografia di un rilevamento effettuato con l’aereo: si notano linee bianche a tratteggiare quelle che poi si rileveranno essere le abitazioni del villaggio. «La foto è stata scattata mettendo carta igienica sulle collinette e sui sassi. Con questo sistema siamo arrivati ad individuare 47 strutture». Ma perché la carta igienica? La risposta è più semplice di quanto si possa pensare. All’epoca i droni ancora non c’erano: «Abbiamo utilizzato la carta perché innanzitutto è facilmente biodegradabile e poi perché sorvolando con l’aereo il contrasto era più nitido».

Tra volontari ed educazione
Dall’inizio degli anni ‘90 ai giorni nostri, il sito archeologico non ha fatto altro che restituire la Storia. Oltretutto «è forse l’unico villaggio scavato interamente in Europa – sottolinea Alfio –. Sono riemerse 53 case anche grazie al fatto di non aver avuto problemi di finanziamenti». Già, perché al lavoro – sotto la direzione dell’Associazione ricerche archeologiche del Mendrisiotto (ARAM) – c’erano unicamente volontari, senza dunque pesare sulle casse dello Stato. «Per me – confida Martinelli – è molto importante la parola volontari. Parliamo di persone non necessariamente formate nel campo specifico che hanno potuto avvicinarsi all’archeologia, conoscere il passato e quindi diffonderlo. Il merito di Tremona è che è stato raggiunto lo scopo lavorando con gente di tutte le categorie». Di più: «Tremona permette, alle scuole di avvicinarsi a questo mondo. E lo si potrà fare con quella che è chiamata la valigetta dell’archeologo: si tratta di un concetto inglese che mette a disposizione un certo numero di oggetti e documenti che i maestri possono prendere a tempo determinato. Se già dalle elementari puoi avere in mano un oggetto e non limitarti a guardarlo attraverso un’immagine, non te lo dimenticherai mai». Per l’archeologo questo aspetto è di primaria importanza: «L’educazione è fondamentale, sia per comprendere il nostro passato, sia per capire che la gente in vita all’epoca non aveva il telefonino ma sapeva comunque pensare e ragionare. Educazione importante anche per il turismo e il patrimonio culturale che ha il Mendrisiotto. Dobbiamo farlo capire ai bambini (e non solo) e per nostra fortuna sono tante le classi che visitano Tremona».
Quante domande
L’archeologia porta con sé tante domande. E non sempre le risposte sono pronte, esaustive o, addirittura, possibili. Una, in particolar modo, Martinelli continua a porsela e riguarda la punta di freccia di migliaia di anni fa: «nel Medioevo posso capire che si vada sulle colline per proteggersi dalle guerre tra Como e Milano. Non riesco a capirlo nel neolitico. Il Mendrisiotto era in gran parte paludoso, perché hanno deciso di andare in cima a una collina nel Neolitico? A quell’epoca c’erano forse poche decine di persone in tutto il Mendrisiotto». Ma c’è un altro quesito: «Perché nel Medioevo sono andati in cima a una collina dove non c’è nemmeno una goccia d’acqua?». L’unica fonte di acqua era infatti in zona Guana, il torrente Gaggiolo, ben distante dall’insediamento. «Pozzo o cisterne le abbiamo cercate invano per 20 anni. Se non hai una goccia d’acqua vai in ginocchio dal nemico dopo una settimana. Ecco, una risposta ancora non c’è».
E quante monete
Oggi sappiamo che il Castello di Tremona è stato verosimilmente abbandonato in fretta e furia. Resti carbonizzati indicano un incendio, forse dovuto a un attacco. Durante gli scavi, da un ripostiglio monetale situato nell’edificio centrale, sono riemerse centinaia di monete. Fuori dal ripostiglio ne sono state trovate molte altre. Di epoche diverse, così come diversa era la provenienza (coniate a Como, Milano, Bergamo, Venezia, Cremona e Brescia per fare alcuni esempi). «Numero che stupisce», ammette, e che lascia intuire «quanti contatti avesse il Castello di Tremona». Ma allora, cos’era l’insediamento? Era solo un villaggio di agricoltori? Presto Martinelli darà ulteriori delucidazioni. È infatti in dirittura d’arrivo un nuovo volume che si preannuncia ricco di novità e di scoperte. Non sveliamo nulla per il momento: lasciamo che lo faccia, prossimamente, l’archeologo.

L'aiuto fondamentale da Nottingham
Lo scavo di Tremona-Castello è il risultato di un progetto realizzato dall’Associazione Ricerche Archeologiche del Mendrisiotto in collaborazione con il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Nottingham (dove ha studiato Alfio Martinelli) nella persona del professor Jeffrey May (scomparso nel 2006) e con l’Ufficio dei Beni Culturali.

Le pubblicazioni, la didattica e gli occhiali 3D
Il Parco Archeologico di Tremona-Castello è raggiungibile in una quindicina di minuti a piedi dal centro di Tremona. Oltre a poter osservare con i propri occhi il frutto di anni di ricerche, è pure possibile conoscere la sua storia attraverso numerose pubblicazioni. Ne citiamo due: «Tremona Castello - Dal V millenio a.C. al XIII secolo d.C.» (Edizioni All’insegna del Giglio) e «Il Castrum di Tremona: una finestra sulla storia» (di Elena Percivaldi). La storia dell’insediamento si può consultare anche sui siti internet www.parco-archeologico.ch e aram-ti.ch.
Ma c’è di più. Dal 2017 è possibile effettuare una visita del parco indossando dei particolari occhiali 3D che immergono il visitatore nella realtà aumentata. Gli occhiali possono essere prenotati all’infopoint che si trova a Tremona, in via al Castello 10.