Giustizia

Dai «muli» ai «cavallini», i nuovi addetti allo spaccio

Condannato un 21.enne albanese che, nell’arco di pochi mesi, ha spacciato nel Mendrisiotto all’incirca 150 grammi di cocaina – Da qualche tempo è cambiato il modus operandi: lo spacciatore (il «cavallino») si fa ospitare nelle case dei consumatori e offre alcune dosi di stupefacente in cambio di un posto dove dormire
© CdT/ Chiara Zocchetti
Stefano Lippmann
13.07.2022 19:42

Un tempo, alle nostre latitudini, si sentiva parlare di «muli». Ovvero le persone che trasportavano stupefacenti ingerendo ovuli zeppi di sostanza al fine di eludere eventuali controlli delle forze dell’ordine. Da qualche tempo a questa parte, in Ticino si è sviluppato un nuovo modus operandi. Ora le organizzazioni criminali – soprattutto quelle che operano dall’Albania – fanno capo ai «cavallini». E, quest'oggi, è stato proprio un «cavallino albanese» a comparire davanti alla Corte delle assise criminali presieduta dal giudice Marco Villa. Il nuovo modus operandi, in sostanza, prevede che le organizzazioni criminali assoldino persone in Albania e le inviino in Svizzera per vendere lo stupefacente. Gli spacciatori – solitamente persone alla ricerca di denaro – una volta giunte in Svizzera vengono ospitate da consumatori locali i quali offrono alloggio in cambio di qualche dose. Come nel caso del 21.enne – difeso dall’avvocato Eero De Polo – che è stato condannato a 21 mesi di carcere interamente sospesi per un periodo di prova di due anni e all’espulsione dal territorio elvetico per i prossimi 5 anni.

Quantitativi da rivedere

La Corte lo ha condannato per infrazione aggravata (e contravvenzione) alla Legge federale sugli stupefacenti, riciclaggio di denaro nonché infrazione alla Legge federale sugli stranieri. Il giudice Marco Villa ha quindi parzialmente accolto l’atto d’accusa stilato dalla procuratrice pubblica Chiara Buzzi non aderendo, però, all’impianto accusatorio. L’accusa, infatti, sosteneva che il 21.enne avesse detenuto e spacciato – tra il gennaio e il marzo di quest’anno operando a Stabio, Rancate, Riva San Vitale e in altre località del Distretto – quasi mezzo chilo di cocaina e avesse riciclato denaro per un ammontare di circa 52.000 franchi (ovvero il provento delle vendite). Cifre che sono state notevolmente ridimensionate dalla Corte la quale si è sostanzialmente allineata alla tesi della difesa. Di dimostrato, stando alle risultanze, v’è la vendita (e la detenzione) di all’incirca 150 grammi di cocaina e il riciclaggio effettivamente provato (e ammesso dall’imputato) di 2.000 franchi. A poco è valso, dunque, il conteggio fornito dall’accusa la quale si è basata sull’attività di spaccio dei giorni precedenti l’arresto dell’imputato e poi ha ricostruito i quantitativi andando a ritroso nel tempo, fino a gennaio. «Quella della pubblica accusa – ha spiegato il giudice Villa – è solo una supposizione». Motivo per il quale la proposta di pena della procuratrice pubblica – 2 anni e mezzo di carcere e almeno sei mesi da espiare, oltre all’espulsione per 6 anni – è stata anch’essa ridimensionata.

I guadagni celati in un muretto

Ma il provento dell’attività di spaccio – ovvero il contante – come veniva consegnato agli addetti dell’organizzazione criminale? Stando a quanto ricostruito dall’inchiesta l’imputato, una volta venduta la cocaina, si recava a Riva San Vitale in riva al lago. Non per una passeggiata o per contemplare il paesaggio, bensì per nascondere le banconote all’interno di un muretto.